Tag: Giappone

“Goodbye Madame Butterfly”: sei storie per scoprire la nuova donna giapponese

Dolce, remissiva, a tratti sottomessa: questa è l’immagine stereotipata che molti uomini occidentali hanno della tipica donna giapponese. I tempi, però, sono cambiati, e a farlo notare a chi non se ne fosse accorto ci pensa Kawakami Sumie, autrice di Goodbye Madame Butterfly. Sex, Marriage and the Modern Japanese Woman (Chin Music Press, pp. 224, 20 dollari comprese le spese di spedizione dal sito dell’autrice; disponibile in inglese ora a prezzo scontato su Amazon.it a questo link).
Come s’intuisce già dal titolo, obiettivo del volume è sfatare pregiudizi e luoghi comuni sull’universo femminile nipponico; per raggiungere la sua meta, l’autrice racconta sei storie reali, senza perbenismi, vissute talvolta nell’ombra, talaltra con orgoglio. Troviamo Ai, divorziata, in tresca con il suo capo, contrario a lasciare la moglie, che decide di dare una svolta alla sua vita dopo aver conosciuto un altro uomo; c’è Emi, che scopre di essere incinta proprio quando lo è l’amante del marito; e poi ecco Mitsuko, che a cinquantotto anni s’innamora di una pop star coreana; e ci sono anche ragazze, rispettabili signore, mogli di preti Shinto che cercano – ciascuna a suo modo – amore, sesso, attenzioni, o soltanto un po’ di felicità.

Raccontatemi le vostre idee per il gruppo di lettura virtuale

Finalmente, dopo aver rimuginato a lungo su come impostare il gruppo di lettura virtuale, ho trovato una soluzione facile da gestire e adatta anche a coloro che non hanno grande dimestichezza col computer. Ora rimane soltanto una questione: scegliere il primo libro da leggere e commentare insieme.
Vi chiedo, quindi, di proporre qui sotto nei commenti uno o più volumi che vorreste condividere con gli altri; fra qualche giorno, poi, unendo i vostri spunti alle mie idee, vi sottoporrò un sondaggio per scegliere l’opera. Quella che otterrà il maggior numero di preferenze sarà la protagonista del gruppo di lettura a novembre.
Nel frattempo, vi ricordo che chiunque voglia può partecipare al giveaway (lotteria) del blog; il regolamento è disponibile a questo link.
Sono felicissima nel constatare che avete partecipato in tanti (al momento in più di cento!), non limitandovi a spendere due parole sul libro, ma raccontando un frammento di voi stessi, della vostra vita, del vostro universo, e di ciò vi sono profondamente grata. 🙂

Bisbigliare amore dal centro del mondo

Un giorno andai all’ospedale e Aki stava ancora dormendo. Era sola, non c’era nemmeno sua madre a farle  compagnia. Seduto vicino a lei studiavo il suo viso mentre dormiva: era pallido per l’anemia. Le tende color crema erano tirate. Aki, con gli occhi chiusi, era leggermente voltata sull’altro lato, per evitare la luce che filtrava, volteggiando per la stanza come minuscole ali di farfalla che si posavano sul suo volto donando alla sua espressione gentili sfumature. Continuai a osservarla come se stessi ammirando un bene prezioso. Poi mi prese l’inquietudine.
Sembrava che da quel sonno tranquillo si alzasse un seme di papavero, una piccolissima morte, quasi invisibile. Nell’ora di disegno, se uno fissava il foglio candido sotto il sole splendente, aveva l’impressione che si ricoprisse di piccolissimi puntini neri. Ecco, la sensazione era la stessa.
Chiamai il suo nome: << Aki>>.
Una volta e un’altra ancora. Tante volte. Allora lei si mosse appena, quasi lo cercasse, quel nome.

(Katayama Kyōichi, Gridare amore dal centro del mondo, pp. 94-95)

Prima di leggere Gridare amore dal centro del mondo di Katayama Kyōichi (Salani, pp. 162, € 9,90; in offerta su Amazon.it a 8,50 €; ne esiste anche una versione manga con disegni di Kazui Kazumi e un film), desumevo dal titolo che trattasse di una storia accesa, bruciante: gridata, appunto. In realtà, si è rivelato un romanzo sommesso, bisbigliato tra un ricordo e l’altro.
A prima vista la trama è quanto di più facile si possa immaginare: la giovanissima Aki scopre di essere ammalata di una grave forma di leucemia, e il suo ragazzo Sakutarō – anch’egli liceale – non riesce a farsene una ragione. Non può accettare che il loro amore – semplice e contraddittorio come solo quello adolescenziale sa essere – sia incapace di evitare una catastrofe simile; non vuole trascorrere il resto dell’esistenza con la speranza di potersi ricongiungere ad Aki in un improbabile aldilà, come da cinquant’anni sta facendo il suo nonno paterno, costretto in gioventù a rinunciare alla donna che avrebbe voluto sposare.
Chi muore in età precoce è caro agli dèi, credevano gli antichi greci, ma qui non c’è alcuna traccia di divinità; anzi, in alcuni momenti sembrerebbe che tutto l’universo sia ostinatamente sordo alle preghiere innalzate al cielo per trattenere la fanciulla ancora un po’ su questa terra.
La sostanza del libro sembra però essere altrove. Non dimora nella disperazione delle famiglie, né nel racconto d’un autunno inesorabile che si specchia nel nomen omen (il nome-destino) di Aki*, e neppure forse nello stato di apatia e incertezza esistenziale che opprime Sakutarō. Il succo vivo e agrodolce dell’opera è distillato piuttosto nelle istantanee che scandiscono un amore profondo e in evoluzione: gli appuntamenti quotidiani attesi con trepidazione, i baci dati di nascosto, il desiderio e il timore di scoprire il corpo dell’altro.
Quali siano le ingenuità da imputare agli schietti sentimenti del giovane e quali alla penna d’uno scrittore che sa bene quali corde del cuore del lettore toccare, probabilmente non è dato saperlo. I simbolismi troppo evidenti (un amore che trionfa in primavera ed è funestato dalla morte alle soglie dell’inverno; la speranza di una nuova vita che risorge con la fioritura dei ciliegi; etc.) e i segnali d’un’ingiusta predestinazione forzano la narrazione; è difficile però rimanere del tutto freddi dinanzi a una storia che risveglia  le nostre più intime paure.

*Aki, infatti, significa ‘autunno’ in giapponese. Nel romanzo è però detto che l’ideogramma con cui è scritto il nome della ragazza vuole in realtà riferirsi a hakuaki, l’era cretacea. Spiega infatti al fidanzato:  <<Fra le ere geologiche è quella in cui sono nate e prosperate nuove specie di piante e animali. Come i dinosauri o le felci. Mi hanno chiamato così con l’augurio che anche io, come questi esseri, potessi prosperare.>>.

 

Due testimonianze di Tawada Yōko e Murakami Haruki sull’11 marzo

Circa sei mesi fa, un violento terremoto – con tutto ciò che ne è conseguito – ha sconvolto alcune aree del Giappone. Oggi, dopo molte polemiche e molto dolore, voglio presentarvi le testimonianze di due importanti scrittori nipponici, Murakami Haruki e  Tawada Yōko (di cui mi sono occupata già in un altro post). Il contributo del primo è stato pubblicato qualche giorno fa nel <<Corriere della sera>> ed è consultabile a questo link (ringrazio Elena per la segnalazione); quello dell’autrice è invece riportato qui sotto. Il brano è stato tradotto da Mariano Manzo e tratto dal sito Le Rotte:

LA CALMA NELLA TEMPESTA
La parola “catastrofe” ha un suono diverso per le orecchie giapponesi

Da bambini abbiamo imparato a mantenere la calma in caso di una catastrofe naturale. Infatti quando sento la parola “catastrofe naturale” divento calma.
L’11 Marzo, poco dopo essermi svegliata mi ha chiamato una conoscente tedesca e mi ha chiesto se fosse successo qualcosa alla mia famiglia a Tokyo. Non sapevo ancora di cosa parlasse. Durante il giorno ero sempre più impressionata dalle tante persone dalla Germania, Francia, Italia, Stati Uniti e altri paesi che con apprensione mi telefonavano o mi scrivevano e-mail. Ho quindi provato a contattare da Berlino mia madre a Tokyo, ma subito ho realizzato che telefonicamente non ci sarei riuscita. Così ho inviato un’e-mail a mio padre e mia sorella per sapere se tutto andava bene.
Mio padre mi ha subito risposto che la metropolitana avrebbe ripreso a funzionare il giorno dopo e che quindi sarebbe potuto andare all’antiquariato per procurarmi quel libro che volevo. Questa è stata la prima cosa che mi ha scritto e non ho potuto fare a meno di ridere. Il libro mi serve urgentemente, certo, ma per quanto riguarda il terremoto? Mi sono ricordata lentamente che in queste situazioni bisogna concentrarsi su cose concrete, piccole e quotidiane come un libro, invece di pronunciare frasi ad effetto.
In giapponese non esiste una corrispondenza precisa alla parola “catastrofe”. Questo termine importato dal tedesco viene usato per la natura e in politica. Ciò dà la possibilità alle persone in caso di catastrofi naturali di pensare subito alla politica. Mio padre mi ha scritto poi che non poteva tornare a casa e che perciò avrebbe pernottato nell’ufficio della sua casa editrice. Sette scaffali erano caduti e i libri giacevano sul pavimento, ma non era successo niente.
In Giappone ci sono spesso terremoti sia lievi che forti e quindi non è per niente inusuale che gli scaffali cadano.
Fin dall’infanzia mi è stato detto continuamente che nell’arco della mia vita sarebbe arrivato un forte terremoto a Tokyo. Nel mio piccolo ero in qualche modo preparata, ma, attraverso le drammatiche riprese delle onde dello tsunami e di altre scene che si possono vedere su internet, sono stata improvvisamente messa di fronte a una paura fuori portata che si è impressa nei miei occhi. Questo non l’avevo calcolato.
La mia personalissima previsione era più prosaica. Ho sempre pensato che anche se tutta la casa o tutta la città venisse trascinata via, qualche sopravvissuto avrebbe cominciato, con un calzino o con una tazza, a ricostruire la vita nuovamente. Evitare il drammatico e concentrarsi sui piccoli oggetti che si possono toccare.
Ci sono alcune cose che mi hanno meravigliata. Per esempio non ho capito perché si parla della mancanza di energia elettrica come fosse il problema principale. Ho persino il sospetto che determinate persone usino questa situazione per dimostrare l’importanza delle centrali nucleari.
“Gente, se le centrali nucleari non lavorassero, la vita sarebbe così buia! Non è terribile?”
In Giappone il sole brilla più spesso e più forte che in Germania ma ci sono meno persone che credono che dal sole si possa ottenere energia. Naturalmente anche a Fukushima ci sono molte persone che si sono battute contro la costruzione delle centrali nucleari ma le loro voci non sono presenti nella stampa giapponese e sul pericolo della radioattività non si è mai parlato chiaramente.
Si parla di catastrofe naturale riguardo alla morte per radioattività ma la natura non ne è responsabile.

A Roma primo appuntamento del gruppo di lettura di Biblioteca giapponese

Grazie alla collaborazione con la sala da tè Fiorditè (via Raffaele de Cesare 98, fermata Furio Camillo, Roma; tel. 0688653263; www.fiordite.it), una volta al mese curiosi e appassionati avranno l’occasione per riunirsi e chiacchierare con me a proposito di libri d’origine giapponese, nell’ambito del gruppo di lettura Fiorditè, fior di parole, interamente dedicato al Sol Levante.

Il primo incontro è intitolato “Bellezza e distruzione: Il padiglione d’oro di Mishima Yukio” e si terrà presso Fiorditè venerdì 16 settembre, alle ore 18,45; è prevista anche una degustazione gratuita del tè giapponese  tostato Houjicha, prodotto con le foglie del raccolto autunnale 2009.

Potrete inoltre cogliere l’occasione per dare un’occhiata alla bellissima oggettistica proveniente dal Sol Levante (set per la cerimonia del tè, teiere in ghisa, tazze…) o lasciarvi tentare dal ricco assortimento di tè giapponesi.

Per maggiori informazioni sull’evento, potete telefonare allo 0688653263 (risponde Fiorditè) oppure mandarmi un’email all’indirizzo bibliotecagiapponese@gmail.com.

Il giornalista americano che sfidò la yakuza: “Tokyo Vice” di Jake Adelstein

«Un libro fantastico. Con umorismo sardonico e stile hardboiled, Adelstein accompagna il lettore in un viaggio appassionante nel mondo del crimine giapponese, esaminando i rapporti spesso ambigui tra giornalisti, poliziotti e gangster». Così George Pelecanos, significativo scrittore noir statunitense, ha commentato Tokyo Vice di Jake Adelstein (Einaudi, pp. 466, € 19,50), volume da poco uscito in Italia e ispirato a una storia vera dalle tinte forte. Questa la presentazione dell’editore:

La storia di Jake Adelstein, per dodici anni, dal 1993 al 2005, cronista di nera per lo «Yomiuri Shimbun», il piú grande quotidiano del Giappone, e dal 2005 al 2007 investigatore capo del Dipartimento di Stato americano e responsabile di una colossale inchiesta sul traffico di donne nel Sol Levante.
Un’indagine rigorosa sul crimine organizzato giapponese, tra estorsioni, sfruttamento della prostituzione, collusioni con la politica. E il resoconto emozionante delle vicende che hanno portato Adelstein a incrociare le armi con uno dei piú grandi boss della yakuza fino a rischiare la vita (al punto di entrare per piú di un anno nel programma protezione testimoni).
Un libro indispensabile per comprendere l’anima nera del Giappone, ma anche per penetrare nei meccanismi piú reconditi del crimine, e scoprirli vicini, a volte fin troppo simili a quelli di casa nostra.

Quel non dire fluttuante: recensione di M. Soldo a “Qualcosa di simile”

Avete presente quelle storie che, una volta terminate, continuano a vivere in voi, meglio se in una zona ombrosa e un poco torbida della coscienza? Ecco, a me questo capita soprattutto con Ogawa Yoko e, non a caso, con i racconti riuniti in  Qualcosa di simile di Francesca Scotti (ed.  Italic Pequod, pp. 144 , €  14; sito ufficiale: www.qualcosadisimile.it) che alla scrittrice nipponica (e non solo a lei) si ispirano, serbando però una decisa impronta personale. Ma lasciamo parlare Mariella Soldo, che del libro ci offre una bella recensione:

Quel non dire fluttuante

 

Ci sono scritture e trame che emergono con forza dal vaso confuso della letteratura contemporanea, scritture che hanno un compito difficilissimo: raccontare con maestria il mondo e permettere al lettore, paradossalmente, di allontanarsi da esso.

Quando ho aperto la raccolta di racconti di Francesca Scotti, Qualcosa di simile, senza leggere una frase o una singola parola, avevo già la sensazione di essere altrove. Forse è l’effetto di un titolo, indicatore di quell’imprecisione che serve alla letteratura per poter andare oltre, come qualcosa di simile che sfugge per diventare parte del tutto.

I dieci racconti della Scotti non hanno titolo, ma sono contrassegnati da un numero. L’assenza di un’indicazione apre finestre che si sovrappongono l’un l’altra. Alcuni riferimenti ritornano, nei racconti, riferimenti indicibili, misteri irrisolti, enigmi senza nome, quindi, perché nominarli?

Non farò riferimento alle trame, preferisco piuttosto dare rilievo all’essenza della scrittura dell’autrice, in cui si avverte l’influenza di quel mondo fluttuante, che rappresenta una caratteristica della letteratura giapponese.

L’economia della parola non tradisce la profondità del senso e l’inafferrabilità dello svolgimento dell’azione. Frasi nitide, che hanno bisogno di quella semplicità perfetta per poter non dire, sospendono la scrittura, proiettandola in quella fessura invisibile del mondo, in cui l’indicibile è la chiave della narrazione.

Follia, violenza celata, chiaroscuri dell’anima, sentimenti velati, masochismo e sadismo sono alcuni dei temi che l’autrice tocca, con abile maestria.

Dopo aver terminato l’ultimo racconto, il lettore conserverà per giorni le melodie dei racconti di Francesca Scotti, perché è proprio la musica, con le note di un violoncello o di un piano, a rendere quelle atmosfere dalla sensualità silenziosa e velata.

Mariella Soldo

Un Giappone color seppia: “L’uccello nero del Sol Levante” di Paul Claudel

All’inizio del secolo scorso, raggiungere il Giappone si profilava un’impresa ardita, che richiedeva settimane di viaggio e una grande determinazione. Buona parte dei coraggiosi si spinsero fino ai confini del mondo soltanto per ragioni economiche; nello sparuto gruppo dei curiosi – che pur esisteva ed aveva una sua dignità – figurava anche Paul Claudel, poeta, drammaturgo e diplomatico francese, che dalla fine del 1921 sino quasi alla primavera del 1927 risiedette (con qualche interruzione) nel Sol Levante, in veste di ambasciatore.
Nato nel 1868 – l’anno che inaugurò l’era Meiji e il rapido processo di modernizzazione -, Claudel giunse in Giappone ormai maturo, dopo aver risieduto e lavorato in molte nazioni; ciò gli permise di guardare alla cultura nipponica con un’ampiezza di vedute certamente poco comune all’epoca, come ben testimoniano i numerosi saggi raccolti ne L’uccello nero del Sol Levante (a cura di Maria Antonietta Di Paco Triglia, ed. il Cerchio, pp. 148, € 15).
In queste pagine trovano ospitalità gli argomenti più disparati, in grado di far breccia nella vita e nell’animo dello shijin taishi (il diplomatico-poeta, come veniva chiamato): e così ci si avventura tra le cronache dei solenni funerali dell’imperatore o fra quelle della devastazione, fisica ed emotiva, provocata dal terremoto di Tokyo del settembre 1923; si rimane incantati dalle affascinanti leggende degli autoctoni e dalla poesia nipponica, allora semisconosciuta in Europa. E ancora: si riflette sulla politica, la letteratura, l’antropologia e le forme di devozione locali, tanto differenti da quelle del cattolicissimo Claudel. Una consistente parte degli scritti raccolti nel volume, infine, è dedicata ad uno dei più grandi amori dell’autore, il teatro: i principali espedienti narrativi, scenici e drammatici del kabuki, del e del bunraku vengono analizzati con acume e vivo interesse.
Lo sguardo dell’autore d’oltralpe vaga qua e là per l’orizzonte giapponese, riuscendo a cogliere i tratti salienti dei fenomeni, per portarli poi alla luce con sincera ammirazione attraverso una prosa ricca e suggestiva, capace di fecondare la fantasia del lettore, sino a farlo immergere nel Giappone fantasmagorico e nostalgico dei lontani anni Venti.

Andiamo al distributore a prenderci un ebook?

In Giappone – come al solito – sono avanti. Molto avanti. Mentre da noi iniziano solo ora a diffondersi (ma ancora in modo piuttosto timido) gli ebook, circa un mese fa ha avuto luogo l’E-book Expo Tokyo, giunta addirittura alle sedicesima edizione, la più grande fiera mondiale dedicata al settore.
Qui sono stati presentati i distributori automatici di testi in formato elettronico: una volta acquistato il libro, viene erogata una ricevuta con un Qr code (un tipo di codice a barre), leggibile grazie a un apparecchio, che permette di scaricare da internet il volume desiderato, per poi leggerlo comodamente sul proprio e-reader o sul cellulare.
I nipponici non sono nuovi a queste invenzioni:  già qualche tempo fa avevano dato prova di creatività e intelligenza dando vita ai distributori automatici di libri (di cui ho parlato qui).

Un ricordo del terremoto del 1 settembre 1923

Una toccante pagina di Paul Claudel (poeta e ambasciatore della Francia in Giappone durante gli anni Venti del Novecento), frutto di un’esperienza in prima persona, in occasione del terremoto del 1 settembre 1923 che sconvolse Tokyo e Yokohama:

I mercanti di crespi e di broccati, la via dei mercanti di ninnoli, Nakadori, con i suoi ammassi di tesori, Nihonbashi, Shimbashi, il quartiere dei ristoranti e delle case eleganti da tè, Kanda, il quartiere delle Scuole, l’Università imperiale, Asakusa, il campo dei divertimenti popolari con il suo Yoshiwara e il suo tempiodi Kwannon, poi, dall’altra parte della Sumida, Riyogoku, la grande arena dei lottatori, e quegli immensi quartieri senza fine dove viveva a fior d’acqua nella risaia appena riempita, nell’aria greve delle esalazioni chimiche, tutto un popolo miserabile e rassegnato, la capanna del paria, il negozio dell’incisore di sigilli, la roulotte del pulitore di pipe, e accanto i grandi teatri, il museo Okura stivato di lacche d’oro e stoffe reali, i ristoranti bellissimi che in fondo al loro tokonoma espongono ogni giorni una pittura differente di Koorin e di Sesshuu, tutto questo è stato spazzato dalle fiamme. E’ il vecchio Giappone che sparisce in un sol colpo per far posto all’avvenire in un olocausto paragonabile alla distruzione di Alarico. Dei tram, in mezzo alle strade, non resta che un ammasso di ferraglie e un groviglio di pali e di fili. Ha spirato un grande alito di fuoco. Anche l’acqua degli stagni si è messa a bollire […]. Ma è a Honjoo, nel quartiere più miserabile della metropoli industriale, che si è trovata preparata la trappola più grande, una vasta piazza vuota in un’antica costruzione per equipaggiamento militare dove trentamila disgraziati avevano cercato riparo. Il fuoco li ha circondati da tutte le parti, sono morti. L’acqua nera e stagnante intorno a loro è coperta da uno strato di grasso umano. Sopra, in un piccolo commissariato di polizia in un edificio in cemento armato, si vedono cinque cadaveri ripiegati su se stessi. Sono gli agenti che si sono lasciati bruciare sul posto piuttosto che abbandonare il proprio ufficio.
(Paul Claudel, L’uccello nero del Sol Levante, trad. a cura di M. A. Di Paco Triglia, ed. Il Cerchio, pp. 38-39)

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