Sanno raccontare amori, conflitti, devozione con un linguaggio fatto di dettagli e colori: sono gli emaki, anche noti come emakimono, ossia rotoli che, attraverso una serie di illustrazioni o una combinazione di testi e immagini, narrano una storia.
Se le loro radici affondano in Cina, India e Corea, queste opere si svilupparono però pienamente in Giappone già nell’era Heian (794–1185) grazie all’impulso dello yamato-e, uno stile pittorico affermatosi in quest’epoca, come ci spiega Marco Milone nel suo recentissimo Per un’introduzione sugli emaki (Mimesis, 2020, pp. 182, € 16).
Il volume intende avvicinare i lettori italiani a tali manufatti in maniera sintetica e chiara tracciandone la storia, descrivendone le correnti e le tecniche principali, fornendo numerosi esempi che spaziano dai già nominati primordi sino al periodo Meji (1868-1912). Non mancano neppure necessari e utili raffronti con la Cina, destinati a mettere meglio a fuoco le peculiarità degli emaki. Come spiega Milone:
se infatti i rotoli cinesi avevano principalmente lo scopo di illustrare i principi trascendentali del buddismo e paesaggi sereni, suggerendone la grandezza e la spiritualità, quelli giapponesi, invece, concentreranno la loro attenzione sulla vita quotidiana e sull’uomo, trasmettendo dramma, umorismo e romanticismo, e traendo ispirazione dalla letteratura, dalla poesia, dalla natura e soprattutto dalla vita quotidiana, forgeranno una nuova arte intima, a volte in contrapposizione alla ricerca della grandezza spirituale cinese. (19)
Non a caso, anche capolavori della letteratura giapponese, quali l‘Ise monogatari o il Genji monogatari, furono trasformati in emaki.
Il libro di Milone ci conduce, dunque, all’esplorazione di questo affascinante universo artistico, in cui l’incanto degli occhi si sposa con maestria all’affabulazione.