La loro presenza nella letteratura nipponica è discreta, ma costante; le tracce che hanno seminato sono numerose e variegate. D’altronde, è impossibile quantificare il numero di
gatti che da secoli popolano ogni genere letterario giapponese. Una cosa, però, è certa: sono senza dubbio le creature più amate da scrittori e scrittrici.

Proprio a loro Fabiola Palmeri ha dedicato il volume A ogni gatto il suo autore. Gatti e scrittori nel Giappone contemporaneo (Lindau, 2022), ricco di spunti e curiosità.


Il capofila, naturalmente, non poteva che essere l’anonimo protagonista di Io sono un gatto di Natsume Sōseki, uno dei più importanti romanzi dell’intera produzione giapponese. Il grande letterato prestò il suo lucido sguardo a questo animale ironico e filosofico, consapevole che:

“Il suo gatto sì, lui avrebbe potuto attingere al pensiero libero e criticare senza peli sulla lingua la società giapponese, così come esprimere riflessioni feline su tanti altri temi, come il comportamento e le idee delle persone del tempo, la vita familiare con i suoi obblighi e le sue consuetudini. Da felino perspicace avrebbe avvertito bene il greve influsso della cultura occidentale, ascoltato le opinioni del professore Kushami e dei suoi illustri amici sull’arte e la letteratura, la vita e la morte.”

E come dimenticare, poi, i moltissimi gatti di Murakami, a partire dalla sua opera d’esordio, Ascolta la canzone del vento, sino al racconto autobiografico Abbandonare un gatto?

Che siano bianchi o neri, sornioni o scontrosi, vivaci o malandati, nella produzione letteraria almeno dell’ultimo centinaio di anni, i felini, ci racconta Palmeri, hanno assunto tanti, significativi ruoli: catalizzatori di storie e aneddoti, alter ego dei personaggi, ispiratori.

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