Categoria: arte e architettura

L’architetto innamorato delle stampe giapponesi: Frank Lloyd Wright

A lungo ho apprezzato l’architetto Frank Lloyd Wright – il creatore, tanto per capirci, della casa sulla cascata o il Guggenheim Museum di New York-, ma non sapevo spiegarmi il perché. Un libro però potrebbe probabilmente contenere la risposta: Le stampe giapponesi. Una interpretazione dello stesso Frank Lloyd Wright,  con saggi di Francesco Dal Co e Margo Stipe (Electa, 2008, pp. 126, € 45; in offerta su Amazon.it a 38,25 € cliccando qui).
Questa la presentazione tratta dal sito dell’editore:

Nel 1893 venne inaugurata a Chicago l’Esposizione Colombiana. Si concludeva il secolo che aveva visto il formarsi della nazione americana e ne iniziava un altro durante il quale gli Stati Uniti erano destinati a conquistare la supremazia mondiale. L’Esposizione mobilitò risorse enormi e segnò una tappa fondamentale anche per la storia dell’architettura americana. Tra gli artefici di secondo piano della costruzione dell’Esposizione vi fu Frank Lloyd Wright (1867-1959).
Wright era destinato, come il Paese in cui era nato, a diventare una figura dominante nella scena dell’architettura mondiale del Novecento. Se ebbe un ruolo marginale nella costruzione dell’Esposizione, Wright fu però uno dei visitatori più attenti dei Padiglioni che la costituivano. Tra questi ve ne era uno di modeste dimensioni, l’Ho-o-den, un tempio giapponese ricostruito su un’isola artificiale. L’impressione che l’Ho-o-den esercitò sul giovane architetto fu enorme e l’accompagnò per tutta la vita. Wright aveva già avuto modo di conoscere l’arte e la cultura giapponesi grazie al suo primo datore di lavoro, Joseph L. Silsbee, collezionista di stampe giapponesi e frequentando le conferenze tenute dal grande iamatologo Ernst Fenellosa.
Da allora Wright non soltanto compì diversi viaggi in Giappone, ma divenne anche uno dei più autorevoli tra i collezionisti americani di stampe giapponesi. Nel 1912 pubblicò The Japanese Print. An Interpretation, un testo da allora imprescindibile per tutti gli studiosi e i cultori dell’arte giapponese, ma non meno fondamentale per comprendere il significato dell’opera che Wright realizzò.
Questo testo viene ora tradotto per la prima volta in italiano e proposto in una preziosa edizione in facsimile, accompagnato da un saggio che ne spiega l’importanza, di Margo Stipe, una studiosa che ai legami che Wright venne tessendo con la cultura giapponese ha dedicato studi accurati e preziosi. Che il precoce incontro con l’Ho-o-den abbia segnato l’intera opera di Wright lo conferma questa confessione che l’architetto fece ai suoi allievi negli ultimi anni della sua vita, nel 1954: “Non vi ho mai confessato in che misura le stampe giapponesi mi abbiano ispirato. Non ho mai cancellato quella mia prima esperienza e mai lo farò. È stato per me il grande Vangelo della semplificazione, quello che porta all’eliminazione del superfluo”.

Nella foto:  facciata del Frank Lloyd Wright’s Imperial Hotel, Meiji Mura, vicino Nagoya, in Giappone.

Proposte da “Più libri, più liberi” (ed. 2011)

Ed ecco, come promesso, una brevissima carrellata delle opere che oggi alla fiera Più libri più liberi hanno colpito la mia attenzione, non necessariamente nel bene o nel male. Non ho purtroppo avuto il tempo di esaminare molte di loro con attenzione, dunque mi limiterò nella maggior parte dei casi a presentarle con le parole dell’editore. Nei prossimi giorni aggiungerò nuovi titoli.

*Narrativa*

  • Madam Butterfly [sic] di John Luther Long, a cura di Riccardo Reim (Avagliano, 2009, pp. 96, € 10; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a € 8,50). “Madam Butterfly di John Luther Long è il racconto al quale Giacomo Puccini si ispirò (dopo aver assistito a Londra, nel luglio 1900, alla tragedia che David Belasco ne aveva tratto a sua volta) per il soggetto della sua sesta opera – Madama Butterfly, per l’appunto – che ancora oggi viene trionfalmente replicata ogni anno in tutti i teatri del mondo. Praticamente sconosciuta in Italia, questa “novella giapponese” rappresenta una vera e propria ghiottoneria non soltanto per gli appassionati del genere, ma per tutti coloro (e sono milioni) che abbiano ascoltato almeno una volta Un bel dì vedremo o il celebre coro a bocca chiusa. Il racconto di Long, inoltre, riserva una grossa, imprevedibile sorpresa: un finale del tutto diverso (meno ad effetto, ma assai più moderno) da quello del melodramma pucciniano, uno “scioglimento” che non mancherà di sconcertare e divertire il lettore.”

*Poesia*

  • Il mangiatore di cachi che ama gli haiku di Masaoka Shiki (La Vita Felice, pp. 176, € 12; traduttore P. O. Norton; libro ora in offerta su Amazon.it a € 10,20 cliccando qui). “Shiki ha spesso affermato che un grande maestro di haiku non scriveva durante la sua vita di poeta che duecento o trecento haiku autentici. Di quelli che sono portatori di un’intuizione profonda della realtà immediata ed evidente. Di quelli che ci permettono di sentire, di sondare l’indicibile profondità, di gustare il sottile sapore dell’esistenza umana, colta nell’eternità dell’istante presente. Di quelli che traducono, senza specificare, ma solamente suggerendo l’esperienza di distacco filosofico, poetico se si preferisce, dal mondo, quando tutto diventa semplice, luminoso, meravigliosamente evidente. Quando si percepisce, molto più che il senso, l’armonia delle cose, la loro impeccabile coincidenza. Sono proprio questi haiku che Shiki compose a essere raccolti in quest’opera.”
  • Novantanove haiku di Daigu Ryokan (La Vita Felice, pp. 108, € 10; traduttore P. O. Norton; libro ora in offerta su Amazon.it a € 8,50 cliccando qui). “Ryōkan è uno dei massimi poeti della letteratura giapponese e ci ha lasciato una vasta collezione di poesie, nella forma molto diverse dai modelli tradizionali, ma profonde e semplici nel contenuto. Egli viene giustamente chiamato “il poeta dello Zen” perché chi legge le sue poesie può farsi un’idea della dottrina, della pratica e dei risultati dello Zen, i cui insegnamenti fondamentali si possono riassumere con le seguenti parole: meditazione, libertà interiore e compassione. La presente edizione comprende 99 haiku di Ryōkan con testo giapponese a fronte.”

*Bambini*

  • L’81 principe di Maria Teresa Ruta, con illustrazioni di Raffaella Brusaglino (ed. Adnav, pp. 40, €12,50; per bambini da otto anni in su). Ispirato alla storia tradizionale di Okuninushi, il racconto “compare nel 712 d.C. nella prima opera letteraria giapponese compilata su ordine imperiale. Maria Teresa Ruta riprende la storia di un mondo antico e la ripropone in una versione per bambini. La favola narra il riscatto di un principe generoso vessato dai suoi fratelli; insieme affrontano il lungo viaggio che li conduce al palazzo della Principessa Iacami, ma solo uno di loro potrà chiederla in sposa. “

 

*Fotografia*

  • Araki di Nobuyoshi Araki (ed. Contrasto, pp. 144, 89 fotografie in bianco e nero, 2008, € 12,50; ora in offerta su Amazon.it a € 10,63 cliccando qui; per sfogliare il volume, guarda questo link). “Cineasta di formazione, Nobuyoshi Araki ha fatto dell’atto fotografico la sostanza della sua esistenza. Prolifico fino all’esasperazione, in una trentina d’anni ha costituito una sorta di autobiofotografia che rivela, senza riluttanza o pudore, il tratto essenziale del suo quotidiano. Affascinato dalle donne, dalla città, in particolare da Tokyo, di cui stila una frenetica ricognizione, è il capofila di una nuova scuola, anzi il modello venerato da una generazione di giovani che insieme a lui cerca, superando l’estetica, una verità legata all’attimo.”
  • Hiroscima e Nagasaki [sic; non è un mio errore] a cura di Gian Luigi Nespoli e Giuseppe Zambon (ed. Zambon, pp. 112, € 35, illustrato e bilingue italiano-tedesco): Le esplosioni atomiche sulle due città giapponesi hanno provocato, oltre alla quasi completa distruzione delle stesse, una serie incommensurabile di lutti. Mentre le fotografie del fungo atomico sono state capillarmente diffuse a livello mondiale, a dimostrare la potenza dell’imperialismo, le foto che testimoniano la sofferenza delle vittime sono state censurate e gelosamente archiviate. Soltanto a prezzo di lunghe ed accurate ricerche, siamo in grado di presentare in questo volume, forse in anteprima mondiale, la documentazione fotografica delle atrocità connesse all’impiego dell’arma atomica. Testimonianze, testi letterari e documenti storici completano l’opera.

I doni più preziosi e il segreto di “Un’eredità di avorio e ambra”

Per definire il Novecento, Eric J. Hobsbawm ha parlato di “secolo breve”, caratterizzato da profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali. Molte delle sue contraddizioni e, soprattutto, dei suoi nodi irrisolti sorsero però già nella seconda metà dell’Ottocento: mentre lo “spettro del comunismo” – riprendendo le parole di Marx – s’aggirava per l’Europa e i popoli (compreso quello italiano) combattevano per l’autodeterminazione, da qualche botteguccia del porto di Yokohama giunsero nel Vecchio continente migliaia e migliaia di insolite statuette, grandi poco meno d’un pugno. Erano di legno di bosso, argilla, ceramica, osso; potevano raffigurare un monaco mendicante, una tigre spaventosa e innumerevoli altri soggetti da legare alla cintola del kimono.
Molte di esse sono andate probabilmente perdute o giacciono nelle vetrine polverose di qualche museo; alcune, più fortunate, sono invece addirittura divenute protagoniste di un bel romanzo, Un’eredità di avorio e ambra (Bollati Boringhieri, pp. 398, 18 €; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a 15,30 €) dello studioso e ceramista inglese Edmund de Waal, che ricevette da un anziano zio materno una vera e propria collezione di  netsuke (così si chiamano questi piccoli manufatti). Attraverso il libro lo scrittore ha voluto rendere un tributo non solo alla sua famiglia d’origine, ma anche ad alcune delle epoche più sfavillanti e insieme fosche del cammino umano.

Tutto ebbe iniziò nella seconda metà dell’Ottocento, quando un ramo degli Ephrussi – i più grandi commercianti di cereali su scala planetaria – si trasferì dalla nativa Odessa nelle grandi capitali europee. Nella Ville Lumière, il giovane Charles, tanto raffinato quanto poco incline agli affari, divenne ben presto un mecenate e un arbiter elegantiae di tutto rispetto; nel bel mondo incantò anche lo scrittore Marcel Proust, che lo prese a modello per plasmare Swann, uno dei personaggi più memorabili della sua Ricerca del tempo perduto. Tra i primi ferventi sostenitori dell’impressionismo e costantemente attento a percepire nuovi fermenti artistici, Charles finì per innamorarsi ben presto del Sol Levante, in sintonia con la nascente mania del japonisme, che De Waal ci descrive magistralmente. La penna dell’autore, difatti, insegue gli appassionati della prima ora nelle loro caccie frenetiche alla ricerca di bibelot, servizi da tè e kimono; spia le ricche dame ricoprirsi di sete rare e nascondersi dietro i paraventi intarsiati per compiacere gli spasimanti; non indietreggia neppure dinanzi all’opulenza (talvolta esasperata sino al cattivo gusto) dei salotti e delle alcove pullulanti di bronzi, ceramiche, legni purché provenienti dall’estremo oriente.

A differenza dei più, Charles, esperto critico d’arte, scelse con cura persino i ninnoli e ben duecentosessantaquattro netsuke da esporre con orgoglio nelle sue stanze; a causa del mutare delle stagioni e delle mode, da curiosità esotica per rapire lo sguardo la collezione nipponica si trasformò in bislacco regalo di nozze. Le statuette finirono perciò dalla rutilante Parigi nella Vienna della Bella Epoque, dove presero parte ai giochi dei piccoli rampolli austriaci, ignari delle ondate sempre più violente di antisemitismo, che nel giro di pochi anni condussero alla tragica ascesa di Hitler. Sul calare degli anni Trenta, i potenti ed ebrei Ephrussi persero ogni bene e, soprattutto, pressoché ogni speranza: il clan si dissolse, mentre parenti e amici tentarono disperatamente di schivare la morte nei campi di concentramento o di non morire di stenti per le strade del mondo.

I netsukeemblema della magnificienza e ricordo dei giorni felici ormai trascorsi – non risplendettero più accanto ai Renoir, agli argenti e ai velluti; riposarono invece nelle tasche ingombre di un grembiule o nell’imbottitura di un vecchio materasso. E quando oramai la loro esistenza sembrava volgere al termine, ecco un nuovo, imprevedibile rovescio della sorte, pronto a catapultarli dall’altra parte del globo.

Con la sua scrittura misurata ma sempre precisa e coinvolgente, De Waal riesce egregiamente a descrivere i fasti e le miserie della vita umana, senza però fare alcun ricorso al rimpianto o a una compassione lacrimevole. Il lettore attraversa in questo modo lunghi decenni e incolmabili distanza geografiche rapito da una narrazione ricca e duttile che, a uno sguardo distratto, mirerebbe soltanto a raccontare le peripezie d’un piccolo tesoro artistico attraverso le alterne fortune di coloro che lo hanno posseduto. In realtà, il volume di De Waal è molto più di un romanzo: rivela la saga di una famiglia potente ma fragile, mostra i curiosi o tragici intrecci tra la Storia con la “s” maiuscola e le microstorie di ognuno di noi, e permette di rievocare alcune suggestive atmosfere artistiche e intellettuali. Ma sopratutto l’opera tenta di dipanare il complesso e ambivalente rapporto occidentale con il Giappone e il suo fascino esotico, dei quali l’Europa e gli Stati Uniti sono stati ripetutamente invaghiti, al punto da saccheggiare commercialmente il paese, soprattutto durante gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento e nel corso dell’occupazione americana seguita alla seconda guerra mondiale.

Al pari di mille altri oggetti, anche i netsuke sono stati a lungo uno degli obiettivi prediletti dagli intenditori o, più spesso, dai collezionisti di souvenir nipponici a buon mercato: così piccoli, curati sin nei minimi dettagli e talvolta buffi sembravano alludere loro malgrado all’immagine stereotipata e ambigua del giapponese dal fisico minuto e dal comportamento bizzarro.

Eppure, proprio fissando alcuni dei pezzi della splendida eredità di avorio e ambra di De Waal – la lepre che ci fissa pronta al balzo, l’asino piegato sotto il peso del questuante, l’intagliatore di botti dall’aspetto dimesso eppure profondamente dignitoso – ci pare di cogliere una grande lezione: forse la bellezza – a differenza di quanto riteneva Dostoevskij – non salverà il mondo, ma sa offrirci i preziosi doni della speranza e della consolazione.

Nuove note per antiche parole: intervista a Ramona Ponzini

Un tranquillo pomeriggio di settembre, davanti al computer, a scrivere. Distrattamente, apro l’ennesima pagina del browser e clicco su un link. D’improvviso, la stanza si riempie di una musica strana, nuova, che non ho mai sentito prima. Campanelli, versi giapponesi, una melodia avvolgente e, al tempo stesso, distante, antica.
Ho appena conosciuto Ramona Ponzini e la sua bellissima voce, e ancora non lo so.

Quello che mi è parso un canto remoto, eppure vivo nella carne e nelle sonorità, proviene in effetti dal passato. A partire dal 2004 Ramona ha sviluppato insieme ai My Cat Is An Alien (Maurizio and Roberto Opalio) il progetto Painting Petals On Planet Ghost (PPOPG; http://www.mycatisanalien.com/PPOPG.htm), volto a scoprire e sperimentare le potenzialità musicali della poesia giapponese, sposandole a contaminazioni inattese.

I sorprendenti risultati sono racchiusi in tre album, il primo dei quali, Haru (Time-Lag Records; vedi sopra la copertina), del 2005, s’ispira ai versi e alla letteratura dell’epoca Heian (794-1185), ed in modo particolare a una delle più antiche antologie poetiche giapponesi, il Kokinshū (Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne); non manca un tributo al celebre incipit del Makura no Sōshi (Note del guanciale) di Sei Shōnagon.

Nel 2008 è il turno di Fallen Cammellias (A silent place), che riprende alcuni tanka (composizioni liriche strutturate in 5-7-5-7-7 sillabe) della poetessa primonovecentesca Yosano Akiko, attingendo soprattutto alla raccolta Midaregami. L’anno dopo, in Haru no omoi (PSF Records; qui a destra la copertina), vengono riuniti alcuni brani estratti dai dischi precedenti, con l’aggiunta di due pezzi inediti, ancora una volta ispirati ai tanka di Yosano Akiko.

Ramona Ponzini non si ferma qui, e collabora anche con artisti quali Z’EV e Lee Ranaldo dei Sonic Youth, eseguendo in giapponese ― sua lingua musicale ed artistica d’elezione ― improvvisazioni live e testi da lei composti, come nel caso dell’album Ankoku.

Oggi sono felice di poterla intervistare e di scoprire qualcosa di più riguardo le sue interessanti ricerche. Prima di leggere il seguito dell’articolo, vi suggerisco di ascoltare qualcuno dei brani presenti in http://paintingpetalsonplanetghost.bandcamp.com.

Biblioteca giapponese (d’ora in poi Bg): Innanzitutto, Ramona, ti ringrazio per la disponibilità. Alla tua giovane età hai già all’attivo importanti traguardi (una laurea coronata da una tesi sugli esordi letterari della poetessa Yosano Akiko; collaborazioni di valore con numerosi artisti; interventi sul tuo lavoro pubblicati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone…). Oltre che alla tua bravura, naturalmente, una parte del tuo successo è legata al progetto Painting Petals On Planet Ghost: puoi raccontarci come è nata l’idea di battere nuove strade attingendo alla poesia giapponese?

Ramona Ponzini (d’ora in poi RP): Il progetto Painting Petals on Planet Ghost nasce dopo anni di interazione sinergica tra me e i My Cat Is An Alien. Ho conosciuto i fratelli Opalio nel 2001 e sono rimasta subito affascinata dal loro approccio anticonvenzionale alla musica e all’arte in generale. All’epoca mi occupavo di teatro sperimentale ma ho seguito costantemente i loro concerti, tenuto sott’occhio le innumerevoli uscite e dopo qualche anno è iniziato il nostro sodalizio artistico. Painting Petals on Planet Ghost scaturisce dall’esigenza di coniugare l’anima più lirica e melodica dei MCIAA con il lavoro di ricerca da me condotto, e che ancora sto conducendo, sulla poesia giapponese come fonte privilegiata di testi musicabili. Il punto di partenza sono proprio le liriche in giapponese: di solito seleziono i testi, li traduco per i ragazzi affinché possano comprendere il motivo che mi ha spinto a scegliere determinate liriche, nonché il loro significato, poi passiamo a concentrarci all’unisono sulla musicalità intrinseca della lingua e della metrica delle poesie per poter creare quel tessuto sonoro che viene a costituirsi quale perfetta culla per i testi e  le melodie.

Bg: Cosa pensi che i versi giapponesi possano comunicare oggi agli ascoltatori occidentali, tanto più che essi sono spesso digiuni di poesia nipponica?

RP: Painting Petals on Planet Ghost rappresenta il punto di congiunzione tra il mio lavoro di studiosa della lingua e della letteratura del sole levante e la mia personalità artistica: parafrasando Joan La Barbara, in quanto musicista mi occupo dei “suoni come presenza fisica”, li scolpisco attraverso la voce, e lascio che il flusso dei pensieri e la visualizzazione dei gesti sonori portino alla creazione del risultato finale. Credo fortemente che non sia sempre essenziale per il fruitore di musica capire alla lettera il testo di una canzone: l’essenza del mio lavoro risiede nel tentativo di far scoprire all’ascoltatore la funzione di base della voce come primario mezzo di espressione. PPOPG è un progetto che rispecchia una fuga verso l’interiorità più delicata e poetica, uno scavo intimista che lascia spazio alla pura catarsi: la musicalità che scaturisce dalla lingua giapponese sotto forma di poesia ne è il mezzo sublime.

Bg: All’inizio del ventesimo secolo, Yosano Akiko era ritenuta una poetessa trasgressiva e una donna fuori dal comune: pioniera del femminismo, anti militarista e scrittrice estremamente prolifica. Come mai hai voluto ispirarti a lei per il tuo album Fallen Cammellias e per la realizzazione di altri brani?

RP: Sin dal liceo (ma anche all’università), scorrendo l’indice delle varie antologie letterarie, mi sono sempre chiesta come mai queste fossero così digiune di nomi femminili. Era davvero possibile che i più grandi autori delle più grandi opere fossero esclusivamente uomini? Così ho iniziato a cercare, ad andare oltre quelli che erano i programmi scolastici e ho scoperto Gaspara Stampa, Elsa Morante, Amalia Guglielminetti, Kate Chopin, Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Jane Austen, Emily Brontë, Sylvia Plath, Murasaki Shikibu, Yosano Akiko, per citare solo alcuni nomi. Credo sia dovere di ogni donna leggere, innanzitutto, Una stanza tutta per sé della Woolf e Il secondo sesso di  Simone de Beauvoir, ma principalmente indagare e scoprire che anche noi abbiamo lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte, di tutte le arti, dalla poesia alla pittura, dalla musica al cinema; la nostra funzione creativa non si espleta solo nel mettere al mondo dei bambini, non può bastarci e in realtà non ci è mai bastato (anche se vogliono farci credere il contrario). Un esempio su tutti: Yosano Akiko, per l’appunto. Ha cresciuto undici figli eppure è una delle più grandi poetesse del ventesimo secolo.

Bg: Ascoltando i tuoi pezzi si rimane colpiti dalla sensazione di essere proiettati in una dimensione senza tempo; la ragione forse sta nell’aver sposato dei testi poetici – talvolta secolari – a sonorità nuove. Inserire questi versi in un tessuto musicale contemporaneo è un modo per tentare di renderli più attuali e dunque maggiormente apprezzabili anche dal pubblico?

RP: Credo che il nocciolo della questione risieda nella natura stessa della musica in quanto arte: l’Arte per eccellenza, secondo Nietzsche, il punto di sutura tra l’Uomo e il Dionisiaco.
In Musica e parola il filosofo ha sostenuto: “Mettere la musica completamente al servizio di immagini, e di concetti, utilizzarla come mezzo allo scopo di dar loro forza e chiarezza, questa è la strana arroganza del concetto di “opera”; (…) Perché la musica non può mai diventare un mezzo anche se la si vessa, se la si tormenta; come suono, come rullo di tamburo, ai suoi livelli più rozzi e più semplici essa supera ancora la poesia e la abbassa ad un proprio riflesso. (…) Certamente la musica mai può diventare mezzo al servizio del testo, ma in ogni caso supera il testo; diventa dunque sicuramente cattiva musica se il compositore spezza in se medesimo ogni forza dionisiaca che in lui prende corpo, per gettare uno sguardo pieno d’ansia sulle parole (…).”
Volendo bilanciare quelli che sono i due elementi del contendere, reputo che l’interazione sinergica, nonché paritaria, tra musica e poesia faccia sì che il testo poetico arrivi all’ascoltatore in maniera più immediata e viscerale, fino a toccare le corde più profonde dell’anima.

Bg: Oltre ad essere una bravissima cantante, sei certamente un’amante della letteratura giapponese: quali opere e autori ami, escludendo i testi e gli artisti su menzionati?

RP: La lista potrebbe essere molto lunga! Per dovere di cronaca credo sia giusto partire da quelle che sono state le mie letture al liceo: Yoshimoto Banana, in un primo tempo, e poi Kawabata Yasunari e Tanizaki Jun’ichirō. Tanikazi ha segnato profondamente la mia formazione letteraria, in particolare i primi racconti brevi, quali Shisei (Il tatuaggio) e Shōnen (Adolescenti), ma soprattutto opere come Bushūkō hiwa (Vita segreta del signore di Bushū) e Hakuchū kigo (Morbose fantasie), con la loro “estetica della crudeltà” continuano ad essere un’inesauribile fonte di stimoli e d’ispirazione. Rischio di essere scontata ma non posso non citare Mishima Yukio con Kinkakuji (Il padiglione d’oro), Tayō to tetsu (Sole e acciaio) e Eirei no koe (La voce degli spiriti eroici). Potrei mai omettere Murasaki Shikibu e il Genji monogatari? No. Categoricamente impossibile. Sarà sempre una delle più grandi opere della letteratura mondiale, non solo giapponese.

Bg: Rimanendo in tema: c’è qualche opera o qualche scrittore cui vorresti rivolgere le tue attenzioni musicali in futuro? Quali progetti hai in cantiere?

RP: Al momento sto lavorando sulle liriche di Takamura Kōtarō: è in uscita proprio in questi giorni un vinile intitolato Transaparent winter, per l’etichetta inglese Blackest Rainbow, che presenta due pezzi ispirati ai testi del poeta dell’epoca Shōwa, ma rielaborati e dilatati, frutto di un lavoro di improvvisazione e composizione istantanea che catapulta le sonorità tipiche di PPOPG in una dimensione più sperimentale rispetto ai primi tre album.
Il 23 novembre parteciperò insieme ai MCIAA e allo scrittore inglese Ken Hollings (autore di Benvenuti su Marte) ad uno show radiofonico alla londinese Resonance: il titolo della performance è ‘Ghost Blood Spectrum’ e per l’occasione selezionerò delle liriche giapponesi incentrate su quella che definisco “l’estetica del sangue”. Il 25 novembre sarò in concerto con Painting Petals On Planet Ghost al Cafe OTO di Londra, venue di culto per la musica sperimentale contemporanea (http://cafeoto.co.uk/my-cat-is-an-alien.shtm).

Bg: Grazie ancora, Ramona, e in bocca al lupo per i tuoi progetti.

Un Giappone color seppia: “L’uccello nero del Sol Levante” di Paul Claudel

All’inizio del secolo scorso, raggiungere il Giappone si profilava un’impresa ardita, che richiedeva settimane di viaggio e una grande determinazione. Buona parte dei coraggiosi si spinsero fino ai confini del mondo soltanto per ragioni economiche; nello sparuto gruppo dei curiosi – che pur esisteva ed aveva una sua dignità – figurava anche Paul Claudel, poeta, drammaturgo e diplomatico francese, che dalla fine del 1921 sino quasi alla primavera del 1927 risiedette (con qualche interruzione) nel Sol Levante, in veste di ambasciatore.
Nato nel 1868 – l’anno che inaugurò l’era Meiji e il rapido processo di modernizzazione -, Claudel giunse in Giappone ormai maturo, dopo aver risieduto e lavorato in molte nazioni; ciò gli permise di guardare alla cultura nipponica con un’ampiezza di vedute certamente poco comune all’epoca, come ben testimoniano i numerosi saggi raccolti ne L’uccello nero del Sol Levante (a cura di Maria Antonietta Di Paco Triglia, ed. il Cerchio, pp. 148, € 15).
In queste pagine trovano ospitalità gli argomenti più disparati, in grado di far breccia nella vita e nell’animo dello shijin taishi (il diplomatico-poeta, come veniva chiamato): e così ci si avventura tra le cronache dei solenni funerali dell’imperatore o fra quelle della devastazione, fisica ed emotiva, provocata dal terremoto di Tokyo del settembre 1923; si rimane incantati dalle affascinanti leggende degli autoctoni e dalla poesia nipponica, allora semisconosciuta in Europa. E ancora: si riflette sulla politica, la letteratura, l’antropologia e le forme di devozione locali, tanto differenti da quelle del cattolicissimo Claudel. Una consistente parte degli scritti raccolti nel volume, infine, è dedicata ad uno dei più grandi amori dell’autore, il teatro: i principali espedienti narrativi, scenici e drammatici del kabuki, del e del bunraku vengono analizzati con acume e vivo interesse.
Lo sguardo dell’autore d’oltralpe vaga qua e là per l’orizzonte giapponese, riuscendo a cogliere i tratti salienti dei fenomeni, per portarli poi alla luce con sincera ammirazione attraverso una prosa ricca e suggestiva, capace di fecondare la fantasia del lettore, sino a farlo immergere nel Giappone fantasmagorico e nostalgico dei lontani anni Venti.

Arte, manga e letteratura negli atti del convegno “Tra arte e letteratura, tra Italia e Giappone”

Vi riporto un’interessantissima notizia tratta dal blog dello studioso e traduttore Massimo Soumaré:

Sul numero 73 di Maggio 2011 della rivista di Arti, Scienze e Cultura Porti di Magnin edita dall’associazione omonima, sono stati pubblicati nello speciale letterario Magnin Litteraire n. 8 (pagg. 67-132) gli atti del convegno Tra arte e letteratura, tra Italia e Giappone tenutosi all’Accademia Albertina di Torino il 2-5 febbraio 2010 in concomitanza con la mostra Dall’ukiyo-e all’illustrazione contemporanea: la grande grafica giapponese (14 gennaio-14 febbraio 2010).
Segue l’indice dei quindici saggi editi:

Tra arte e letteratura-Tra Italia e Giappone, Prefazione pag. 81

Manga: fumetto e societa’ contemporanea di Massimo Melotti pag. 82

Calligrafia tra Cina e Giappone: evoluzione grafica della scrittura di Kazuko Hiraoka pag. 85

“Kitsukiba”: <dietro le quinte> del progetto di una graphic novel italo-giapponese di Fulvio Gatti, Vittorio Pavesio, Massimo Soumaré pag. 87

Japan in five ancient chinese chronicles-Alle origini del Sol Levante: le piu’ antiche cronache sul Giappone di Massimo Soumaré pag. 89

Angeli o Tenshi? Ovvero l’immagine dell’angelo nella cultura pop giapponese di Luca Della Casa pag. 92

Volpi magiche e spiriti inquieti nell’eta’ di internet: influenza della narrativa fantastica classica e del folklore tradizionale giapponesi sui mezzi di comunicazione di massa contemporanei di Massimo Soumaré pag. 94

“Foglie multicolori dal Sol Levante” e “ALIA6″, narrativa contemporanea giapponese e mondiale di Massimo Citi, Davide Mana, Massimo Soumaré, Silvia Treves pag. 98

Parole immaginate: piccolo viaggio intorno a segni e narrazioni di Fabio Lastrucci pag. 101

L’opera di Akemi Takada: dimostrazione di disegno di Akemi Takada pag. 104

Amici immaginari-l’occidente nel fantasy giapponese e il Giappone nel fantasy occidentale: streghe e miko, cavalieri e samurai di Reiko Hikawa, Davide Mana pag. 105

Ukiyo-e: l’arte del dissenso di Giorgio Arduini pag. 112

Attori kabuki e loro ritratti di Akane Fujisawa pag. 116

L’opera di Minae Takada: dimostrazione di incisione su rame di Minae Takada pag. 120

L’ukiyo-e e la moda di Edo: l’ukiyo-e come mass media di Murasaki Fujisawa pag. 122

Spire d’oriente, immaginario d’occidente di Franco Pezzini pag. 125

Arte e poesia in mostra a Genova

A tutti gli amanti delle belle arti e della letteratura segnalo che, presso il Museo d´Arte Orientale E. Chiossone di Genova (Villetta Di Negro – Piazzale Mazzini, 4), dal 21 aprile al 16 ottobre avrà luogo la mostra Fiori d´Oriente, arte e poesia. Metafore e simboli floreali e vegetali nella cultura artistica e letteraria del Giappone, così presentata:

Aperta in concomitanza con Euroflora 2011, questa nuova mostra delle collezioni del Museo Chiossone è dedicata al modo giapponese di guardare ai fiori e al mondo vegetale, un modo particolarmente poetico e soave.
Saranno esposte stampe policrome raffiguranti “fiori e uccelli” (kachōga), dovute a Hiroshige e ad altri artisti dei secoli XVIII e XIX, vasi in bronzo e porcellana per le composizioni floreali ikebana, accessori d´abbigliamento e suppellettili ornamentali – tutte opere che documentano il profondo legame emotivo ed estetico della civiltà giapponese con erbe, fiori e piante e con i loro significati metaforici e simbolici.

Il 7 maggio, sempre al museo, si festeggerà il Kodomo no hi, la Festa dei maschietti, delle carpe volanti e dei fiori d´iris.
Per maggiori informazioni circa gli orari della struttura e il costo del biglietto, visitate il sito del museo.

Presentazione a Roma di “Giappone. Taccuini dal mondo fluttuante” ed esposizione

Ricordate che, qualche tempo fa, vi ho parlato di Giappone. Taccuini dal mondo fluttuante, di Stefano Faravelli? Bene: sabato 26 febbraio, alle ore 17, a Roma verrà presentata l’opera presso il Museo nazionale d’arte orientale ‘Giuseppe Tucci’ (Via Merulana 248). Inoltre, presso la stessa struttura, sarà possibile visitare sino al 13 marzo una mostra che raccoglie i disegni originali riprodotti nel libro.

Milano, 26 novembre: Giornata di studio sul periodo Nara

Ringrazio Francesca per avermi segnalato la Giornata di studio sul periodo Nara, che si terrà a Milano venerdì 26 novembre 2010, presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, Edificio U6, IV piano, Aula Massa.
Questo il programma:

09:30    Apertura dei lavori

Presiede: Ikuko SAGIYAMA

10:00    TADA Kazuomi
“L’essenza dei waka nel XVI maki del Man’yōshū”

Pausa caffè

Presiede: Ikuko SAGIYAMA

11:30    Giorgio COLOMBO
“Tra norma e principio: storia e mitologia dei codici di epoca Nara”

12:00    Susanna MARINO
“Shōsōingire: ispirazioni continentali e creatività indigena”

12:30    Rossella MENEGAZZO
“Pellegrinaggio ai templi antichi. Immagini di Nara attraverso l’obiettivo di Domon Ken”

Pausa pranzo

Presiede: Andrea MAURIZI

15:00    Maria Chiara MIGLIORE
“Biografia del grande maestro dei Tang che si recò a Oriente”

15:30    Virginia SICA
“Ospiti dalla Cina. Lo zen prima di Myōan Eisai”

16:00    Aldo TOLLINI
“La scrittura kanjikanamajiri fu inventata a Nara? Riflessioni sul Tōdaiji fujumonkō”

16:30    Kuniko TANAKA
“La voce del legno: ciò che raccontano i mokkan”

17:00    Chiusura dei lavori

A Milano presentazione di “Giappone” di Stefano Faravelli

Giovedì 25 novembre, alle ore 18,30, a Milano, presso la libreria Azalai (via Gian Giacomo Mora 15), si terrà la presentazione di Giappone. Taccuini dal mondo fluttuante dell’artista e orientalista Stefano Faravelli. Qui potete gustarne un assaggio video.
Ringrazio Francesca per la segnalazione.

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