Tag: Kawakami Hiromi

Rassegna stampa [ottobre 2018]

Hiroji Kubota
L’artigiano della lacca Shoichiro Tasaki. Wajima, Ishikawa, Giappone. 2003. © Kubota Hiroji – Magnum Photos

Navigando qua e là, ecco gli spunti sul Giappone che ho scovato questo mese e che ho più apprezzato:

“Le donne del signor Nakano” di Kawakami Hiromi: la bottega in cui si sogna la vita

le donne del signor nakano kawakami hiromi edizione giapponeseUn libro fatto di piccoli episodi che vanno dritti al cuore, emozioni che sanno essere sommesse e incontenibili al tempo stesso, personaggi di carta capaci di ritagliarsi un posto nei nostri pensieri: Le donne del signor Nakano (trad. di Antonietta Pastore, Einaudi, 2014, pp. 228, € 19, ora in offerta a 16,15) di Kawakami Hiromi, già conosciuta come l’autrice del delizioso La cartella del professore, è un romanzo che nella sua semplicità sa stupire.

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“L’odore intimo del Giappone”: la compagnia Notterrante interpreta la letteratura giapponese a Bari

La letteratura giapponese fa spesso fatica a entrare nelle librerie, in biblioteca, nei gruppi di lettura; figuriamoci, quindi, a comparire su un palcoscenico.

La compagnia teatrale Notterrante ha deciso di andare controcorrente ed ha realizzato uno spettacolo che già dal titolo si rivela suggestivo: L’odore intimo del Giappone, (altro…)

Viaggi, teiere e parole

“Ogni viaggio, un tè; ogni tè, un viaggio”, sembra raccontarci Francesca, nella sua Stanza tutta per (il) tè. E così mi permetto di condividere con voi, in questo consueto spazio dedicato al tè,  qualche mio ricordo.

Durante il mio brevissimo soggiorno in Giappone, ho cambiato diverse camere da letto; in ognuna di queste, per quanto modesta fosse, avevo sempre la certezza di imbattermi almeno in un bollitore per l’acqua e in una coppia di tazze, spesso accompagnate da qualche bustina di tè o, nei casi più fortunati, da un sacchetto di foglie odorose verde scuro.

L’unica volta che ebbi la fortuna di trovare una teiera fu in un ryokan con un certo sapore retrò, perso in un angolo d’una cittadina termale, con fontane pubbliche stillanti acqua calda. Intirizzita dal freddo pungente, accoccolata sui tatami, appena arrivata nell’enorme stanza che mi avevano inaspettatamente riservato (un privilegio dovuto al fatto che il mio ragazzo e io per puro caso fummo i primi occidentali a metter piede lì, ci spiegarono al momento della partenza), cercai l’occorrente per preparare un tè bollente. Schiudendo una scatola laccata, sbucò una piccola teiera, con grandi fiori simili a crisantemi azzurri dipinti sulla superficie candida e lucida.

Qualche giorno fa, sfogliando La cartella del professore di Kawakami Hiromi (di cui ho già parlato qui), mi sono imbattuta in un brano dedicato alle teiere. Ho sorriso ripensando al mio viaggio e ho sorseggiato un tè. Giapponese, naturalmente.

[…] – Prof? – ho detto di nuovo. Niente, nessuna risposta. Era totalmente concentrato. Quando l’ho chiamato ancora a voce alta, ha sollevato la testa. – Vuole dare un’occhiata? – ha detto di punto in bianco. E, senza darmi il tempo di rispondere, ha posato il giornale aperto sui tatami, ha aperto i fusuma ed è passato nella stanza contigua. Ha tirato fuori dei piccoli oggetti da una vecchia credenza ed è tornato con le braccia cariche. Erano delle porcellane. È andato e venuto piú volte tra la stanza di otto tatami e quella accanto.
– Ecco qua, guardi, – ha detto socchiudendo gli occhi, mentre allineava con delicatezza le porcellane sui tatami. Avevano tutte un manico, un coperchio e un becco. – Prego, le guardi pure.
– Mhn. Cosa potevano mai essere? Osservandole, mi pareva di averle già viste da qualche parte. Erano tutte di fattura piuttosto rozza. Delle teiere, forse? Ma cosí piccole?
Sono teiere da treno, – ha detto il professore.
– Teiere da treno? – Un tempo la gente, prima di mettersi in viaggio, alla stazione insieme al bentō comprava una di queste. Adesso il tè è in bottigliette di plastica, ma una volta lo si vendeva in queste teierine da portare in treno.
In fila sul tatami ce n’erano piú di dieci. Chiare, scure, di vari colori… Anche le forme erano tutte diverse. Alcune avevano il becco piú grosso, altre il coperchio piú piccolo, altre piú spesse, altre ancora erano piú panciute. – Le colleziona? – ho chiesto. Lui ha scosso la testa.
– Le ho semplicemente comprate insieme ai bentō tanto tempo fa, in occasione di qualche viaggio. Questa l’ho comprata l’anno in cui sono entrato all’università, quando sono andato nella regione di Shinshū. Questa durante le vacanze estive: stavo andando a Nara con un collega, sono sceso per comprare il bentō per tutti e due, e il treno è ripartito prima che riuscissi a salire. Questa invece risale al mio viaggio di nozze, a Odawara. Perché non si rompesse mia moglie l’ha avvolta in un foglio di giornale e l’ha cacciata tra i vestiti, se l’è portata dietro per tutto il tempo.
Indicando una per una le teiere allineate sul tatami, il professore me ne spiegava l’origine. Io annuivo, dando risposte vaghe. […]

Foto tratta da qui.

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