Categoria: saggistica

Nuovo numero di “Bonsai & suiseki magazine” con recensione su “La cerimonia del tè. Un’interpretazione per occidentali”

Avete letto il nuovo numero di Bonsai & suiseki magazine? Se non l’avete ancora fatto, cliccate qui per sfogliare e scaricare gratuitamente la rivista; oltre a molti articoli interessanti dedicati all’arte del bonsai e del suiseki, troverete anche la mia recensione de La cerimonia del tè. Un’interpretazione per occidentali di Julia Nakamura.

Presentazione a Roma del libro “Storie di Uji (Uji shūi monogatari)”

Domani, venerdì 29 aprile, alle ore 18, presso Doozo. Art, book and sushi (via Palermo 51-3; www.doozo.it) si terrà la presentazione del volume Storie di Uji (Ed. Casadeilibri, pp. 146, € 16); saranno presenti il traduttore Marco De Baggis e l’editore Lorenzo Casadei. Si tratta di uno dei classici della letteratura giapponese, più precisamente di una raccolta di novelle dai temi e personaggi molto vari.
Per chi non potesse assistere all’evento, ecco la presentazione andata in onda al Tg5 qualche settimana fa:

Uno sguardo filosofico sul Giappone: “Il chiarore del nulla” di G. Seubold

Dopo l’ultimo post, dedicato a una visione occidentale del Giappone abbastanza avvilente, passiamo a una prospettiva del tutto diversa, per stile ed ambito. Il libro che oggi vi  propongo è infatti Il chiarore del nulla del filosofo tedesco contemporaneo Günter Seubold (ed. Marinotti, pp. 80, € 10), e questa è la quarta di copertina:

Profondo conoscitore ed amante del Giappone e della sua cultura, tanto da eleggerlo quale sua seconda patria, Günter Seubold ci regala in questo breve saggio una sorta di viaggio – fra tradizione, sensibilità ed emozione – in un paese tanto affascinante e misterioso quanto solo apparentemente così distante dal nostro.
Il punto di partenza è proprio questo: l’influsso della cultura occidentale, già a partire dal XVI secolo, sulla concezione dell’arte e conseguentemente della vita e del suo modo tutto particolare di concepirla del Giappone attuale.
E’ un viaggio intrapreso quasi in punta di piedi: l’autore prende per mano il lettore e, quasi fosse un bambino, lo accompagna su un sentiero lungo il quale egli apprenderà come qualsiasi attività quotidiana (musica e giardinaggio, bere il tè e far la guerra, …) sia intesa ed amata in Giappone come una forma d’arte.
Come ogni bel viaggio, è un vero e proprio rito di iniziazione, al termine del quale parole quali geinô (l’arte del “saper fare”), geidô (l’arte del “saper andare”) e geijutsu (l’arte del “saper essere”) assumeranno un significato del tutto nuovo e spalancheranno un orizzonte inaspettato di pulizia formale e passione, di rigore e naturalezza, di armonia e continuità tra passato e presente.
E’ un viaggio che, sul finale, si tinge di disincanto: quella che Seubold definisce l’“europeizzazione” del Giappone attuale altro non è che il grido d’allarme contro la superficialità diffusa, l’incapacità di guardarsi dentro e riscoprire quelle origini che, sole, restituiscono un popolo alla sua cultura ed alla sua storia.

Podcast di “Azzardi spirituali. Quattro volti del Giappone antico”

Letizia, una lettrice del blog (che ringrazio), tempo fa mi ha suggerito un’interessantissima serie di podcast dedicata al Giappone. Le registrazioni sono tratte dal programma “Azzardi spirituali. Quattro volti del Giappone antico”, a cura dello studioso Massimo Raveri, e sono andate in onda su Radio 3 nel 2009. Ciascuna puntata è dedicata a un importante maestro buddhista; qui sotto potete trovare l’elenco completo con il relativo link da cui è possibile ascoltare il file.

Kukai. Io sono il maestro delle stelle
Shinran. Il potere della compassione
Nichiren. In un’epoca buia per annunciare il dharma
Dogen. Il Buddha attraverso la foglia

Io, Issa e lo hanami in città

O fiori di ciliegio,
sembrate piovuti dal cielo goccia a goccia
tanta è la vostra bellezza.
Issa (da Poesie, ed. Acquaviva)

Agli inizi della primavera, oramai da qualche anno, mi piace fare un giro per la cosiddetta Passeggiata del Giappone, nel parco dell’Eur (Roma). Non è un luogo particolarmente poetico o tranquillo, ma per lo meno offre alla vista numerosi ciliegi dalle tinte pastello e prati verdi su cui sdraiarsi a guardare il cielo.

In queste occasioni mi chiedo sempre cosa pensino i giapponesi sotto i rami carichi  dei sakura, durante lo hanami (vale a dire la contemplazione dei fiori), e se noi occidentali riusciremo mai davvero a comprendere l’entusiasmo per un bocciolo rosa o un tenero pollone.

Durante la mia breve vacanza nel Sol Levante rimasi colpita dall’abitudine diffusa di immortalare alberi, fili d’erba e fiori d’ogni tipo. Si era in gennaio: spesso un manto di brina velava ogni cosa e la flora scarseggiava sul terreno ancora addormentato per l’inverno;  eppure qua e là trovavo fotografi d’ogni età intenti a catturare invisibili particolari della natura, mentre i turisti si affannavano a cercare l’attrattiva più monumentale o naif.

No, non credo che noi saremo mai in grado di cogliere appieno certe cose; e, forse, non è un caso se Issa, quasi due secoli fa, scriveva:

Sotto gli alberi di ciliegio
non ci sono
stranieri.

Issa

A Bologna ciclo di conferenze sul Giappone

Grazie a Francesca, vi segnalo un interessante ciclo di conferenze dedicato al Giappone, organizzato dalla prof.ssa Scrolavezza. Gli incontri avranno luogo presso l’Aula Magna della Facoltà di Lingue, via Filippo Re 8, Bologna.

– 1 aprile 2011, ore 16:00: Adriana Boscaro (Università Ca’ Foscari di Venezia), “Il Giappone incontra l’Altro”

– 8 aprile 2011, ore 16:00: Matteo Casari (Alma Mater Studiorum Università di Bologna) e Toshio Miyake (Università Ca’ Foscari di Venezia) presentano il volume Culture del Giappone contemporaneo

15 aprile 2011, ore 16:00: Giorgio Colombo (Università Ca’ Foscari di Venezia), “Prove tecniche di litigiosità: oltre il mito dell’armonia giapponese”

– 29 aprile 2011, ore 16:00: Maria Teresa Orsi (Università “La Sapienza” di Roma), “Oltre il Millennio”

Kawabata e l’acqua per il tè

I libri, forse, possono dividersi in due gruppi: da un lato, ci sono quelli che devi leggere nel posto giusto per gustarli appieno; dall’altro, quelli che ti portano dove vogliono loro, in qualunque luogo li sfogli.  Quest’ultimo è per me il caso delle raccolte di Kawabata Yasunari, forse perché nessun racconto somiglia al precedente; si può percepire una sorta di fil rouge che accomuna le sue storie, ma – nel momento di descriverlo – ecco che vengono a mancare le parole.

Forse la sede più adatta per perdersi in Cristantemo nella roccia, la novella che ho scelto con Francesca per la Stanza del tè, potrebbe essere un giardino giapponese, quieto, quasi dimenticato. Eppure, io l’ho letta in una fredda sera di marzo, aspettando un autobus che non voleva mai arrivare, tra un parcheggio vuoto e i neon di un supermercato. Avevo però l’impressione di essere dall’altra parte del mondo, davanti alla roccia umida che dà il titolo alla narrazione; e il rumore dell’acqua del tè, cui Kawabata accenna, mi riscaldava.

In questo breve brano che oggi vi presento, troveremo un personaggio già conosciuto, vale a dire  Sen no Rikyū, uno dei più importanti maestri della cerimonia del tè, coerente con la sua scelta di vita per l’eternità;di lui ci parla più approfonditamente Francesca nella sua Stanza tutta per (il) tè, ricca di profumi e suggestioni. Buona lettura.

Pur abitando nella valle del Kakuenji, con le sue magnifiche tombe di pietra, ho scoperto per la prima volta la bellezza di quest’arte a Kyōto quando, nel Daitokuji, vidi il prezioso stupa [monumento buddhista che spesso custodisce reliquie] che orna la tomba di Sen no Rikyū e la lanterna di pietra che orna quella di Hosokawa Sansai. Sia lo stupa che la lanterna sono opere per cui Rikyū e Sansai nutrivano una vera predilezione, e furono essi a sceglierle per le proprie tombe. Per questo sin dall’inizio le guardiamo come opere d’arte di cui questi grandi maestri del tè avevano riconosciuto la bellezza. E forse per l’atmosfera del mondo del tè che evocano in noi, in essesto avvertiamo un senso di familiarità e calore che raramente si prova davanti a vecchie pietre tombali.

Nella parte del prezioso stupa di Sen no Rikyū che dovrebbe corrispondere all’entrata, la pietra è stata scavata, e si dice che, accostando l’orecchio a quella cavità, si possa sentire un rumore sommesso, come di vento che soffia tra i pini. E’ il rumore dell’acqua che bolle per il tè.

Kawabata Yasunari, da Cristantemo nella roccia (tratto dalla raccolta Prima neve sul Fuji)

Foto tratta da qui.

Eventi interessanti a Milano

Ho scoperto, tramite il blog Milleorienti (che vi consiglio di visitare spesso), una serie di interessanti iniziative che si terranno a Milano nelle prossime settimane per la rassegna “Frammenti di Giappone”, presso il Museo d’Arte e Scienza, via Quntino Sella 4. Questo il programma:

10 marzo ore 18.30
CARMEN COVITO
Miyabi. L’estetica di corte nel Giappone medievale

24 marzo ore 18.00 e ore 19.00
RYOKO TAKANO
Workshop di origami

31 marzo ore 18.30
GIAMPIERO RAGANELLI
Non solo Kurosawa: il cinema nella tradizione del Sol Levante

7 aprile ore 18.30
ROSSELLA MARANGONI
Evanescente come rugiada: l’estetica del mondo fluttuante

14 aprile ore 18.30
ROSSELLA MARANGONI e FULVIO CINQUINI
Matsuri, feste religiose e chiave di lettura della società giapponese

21 aprile ore 18.30
ROSSELLA MARANGONI e TOMOKO HOASHI
La vestizione del kimono

28 aprile ore 18.00 e ore 19.00
TOMOKO HOASHI e ALBERTO MORO
La cerimonia del tè

5 maggio ore 18.30
GRAZIANA CANOVA TURA
Tradizione, stagioni e cultura del cibo giapponese*
con catering a cura dell’Associazione Ristoratori Giapponesi

A Roma “Eleganza, gioco e tragedia in Akutagawa Ryūnosuke”

Chi non conosce il famosissimo film Rashōmon, dalla regia di Kurosawa? Forse non tutti sanno però che, all’origine della pellicola, vi è un racconto di Akutagawa Ryūnosuke; di questo e di molto altro parlerà il dott. Lorenzo Marinucci sabato 26 marzo, alle ore 17,30, in un incontro dal titolo “Eleganza, gioco e tragedia in Akutagawa Ryūnosuke”, che si terrà presso il Doozo (via Palermo 51-53, a Roma).
Qui sotto, il trailer americano del film:

Editoriale di Amitrano sul terremoto giapponese

Vi propongo il toccante editorale di Giorgio Amitrano, docente universitario e noto traduttore, apparso ieri ne “Il manifesto”:

«Non ci sono parole». È una frase che in questi giorni ricorre spesso nei nostri discorsi a proposito di ciò che è avvenuto in Giappone. Eppure questa dichiarazione di silenzio è subito smentita da un inarrestabile bisogno di commentare, raccontare e giudicare. Unanime l’ammirazione per il comportamento dei giapponesi. Le parole «dignità» e «compostezza» sono ripetute di continuo. Non mi preoccupa che diventino un luogo comune. Le trovo giuste, adeguate, e non c’è bisogno di affannarsi a cercare sinonimi. Però spero che tutti coloro i quali seguono ipnotizzati le immagini della tragedia percepiscano, dietro la dignità e la compostezza, il dolore. I giapponesi lo soffrono come ogni altra popolazione del mondo, né le loro emozioni sono meno profonde e sconvolgenti di quelle degli altri.
Eventi del genere attenuano le differenze culturali che, anche in tempi di omologazione globale, continuano ad alimentare l’attrazione e la curiosità (a volte venate di razzismo) che ogni alterità ispira. Le tragedie ci ricordano l’appartenenza di tutti a un’unica razza umana e, anche se per un tempo breve, ci affratellano. Il dolore umano è lo stesso a Fukushima e ad Haiti o all’Aquila, nel Friuli o in Irpinia, anche se espresso in una lingua incomprensibile ai più, anche se meno urlato, e comunicato con una gestualità forestiera, fatta di inchini e povera di abbracci. Un dolore che parlando un linguaggio diverso dice lo stesso strazio per la perdita delle persone e delle cose materiali. La disperazione per la perdita delle case, ma anche di oggetti superflui e incongrue suppellettili, è un sentire le cui radici affondano in un’era precedente a quel consumismo su cui il Giappone ha costruito la propria fortuna nel dopoguerra, e che forse risale a vite precedenti dell’umanità.
Conservare le cose e con esse costruire il proprio ambiente ricorda il lavoro concreto e poetico degli uccelli che fabbricano il nido o di animali che si costruiscono una tana, i quali trasformano senza saperlo, attraverso la scelta di una varietà di materiali, il concetto ancestrale di rifugio in quello storico di casa. Quando guardiamo le rappresentazioni della Shoah, quegli ammassi indistinti di cose strappate alla vita delle persone tra cui si riconoscono qua e là un violino, una bambola, degli occhiali, una scarpa femminile, stringono il cuore quasi come le immagini degli uomini e delle donne che ne sono stati deprivati. Le persone, spogliate dei loro vestiti e delle loro cose, ci appaiono atrocemente decontestualizzate. Anche i giapponesi che vediamo fissare sgomenti le proprie case trasportate da una corrente violenta e impassibile, o cercare tra le macerie un figlio, un padre, una compagna, lo sono. E guardano piangenti e disorientati il loro contesto frantumato, quelle case senza muri e senza porte, fatte a pezzi, ormai indifese eppure di colpo diventate inespugnabili. Non c’è più nessun modo di costruirsi un varco in quella massa di detriti per entrare e ritrovare il proprio mondo.
Il dolore è universale. I giapponesi però, più di altri popoli, sono abituati da sempre a interrogarsi sulla natura della sofferenza e sulle sue possibili cure. Il verbo buddhista, che ha attecchito in Giappone alle origini della sua civiltà, ha individuato in quattro semplici leggi il percorso della sofferenza: dalla sua origine, che si fonda sull’attaccamento, alla via per superarlo, fino alla sua cessazione. Quale discorso più adatto a una umanità innamorata dell’eterno e condannata al transitorio? Il Giappone ha fatto proprio questo insegnamento straniero e lo ha fuso in un abbraccio sincretico con lo shintoismo, religione indigena della sacralità di rocce, alberi e nuvole, e il confucianesimo, dottrina anche questa importata, che ha segnato la posizione dell’uomo nel mondo, insegnandogli la legge del dovere e del rispetto verso l’altro. Da questa combinazione di fattori nasce la sensibilità nipponica. L’intensità dell’emozione di un giapponese di fronte alla fioritura dei ciliegi contiene in un frammento di tempo la sapienza di queste tre religioni. La sensazione di un respiro divino nel fiore, la coscienza della sua caducità, e lo sguardo di un osservatore il cui baricentro è saldamente nel mondo. Ed è questa la sensibilità che colpisce gli stranieri, i quali si riconoscono nel dolore ma si stupiscono di vederlo in forme a loro sconosciute.

Dalla pazienza all’ira
In questi giorni seguo costantemente le notizie sul canale satellitare della Nhk, la televisione di stato giapponese. La dignità e la compostezza resistono, ma nelle zone colpite e in più adesso soggette al pericolo nucleare, quando i soccorsi tardano o i viveri sono insufficienti, si cominciano a registrare segni di insofferenza e rabbia. Dicevo prima della matrice confuciana del comportamento giapponese, e del preciso senso dei propri doveri verso la società. Ma in Giappone, e questo in Occidente spesso lo si dimentica, è altrettanto vivo il senso dei propri diritti e di ciò che ci si deve attendere dagli altri e da chi governa. La loro straordinaria pazienza si basa anche su questo: un’aspettativa ragionevolmente fondata di vedere rispettati i propri diritti. L’incapacità dei responsabili di contenere i danni causati dal terremoto alle centrali nucleari o una gestione inadeguata della crisi da parte del governo potrebbero incrinare questa fiducia e mostrarci il volto irato del Giappone.
È di poco fa la notizia che i morti nella prefettura di Iwate sono saliti a oltre 1300. Questa zona, una di quelle su cui si è abbattuto lo tsunami, è la regione dove visse (tra il 1896 e il 1933) un grande poeta e autore di fiabe, Miyazawa Kenji. Iwate, che lui bambino e poi adolescente visitava nei suoi vagabondaggi alla ricerca di piante, rocce, minerali, e di cui ha descritto la natura maestosa e spesso spietata in versi e prose incantevoli, è stata in gran parte distrutta, nella zona costiera, dallo tsunami. Il paese natale di Kenji, Hanamaki, scampato all’onda anomala a causa della sua distanza dal mare, ospita in questi giorni, oltre a molti cittadini evacuati, i cadaveri trasportati dalle zone devastate. Ma anche le zone che il maremoto e il terremoto hanno risparmiato, sono minacciate dal pericolo radioattivo.

Il prezzo del benessere
Pur abituati da molti decenni a convivere con le centrali nucleari, che in un paese povero di materie prime rappresentano la migliore fonte di autonomia energetica, credo che i giapponesi comincino a chiedersi quanto alto possa essere il prezzo da pagare per il benessere fornito dall’energia nucleare. Non vi è altro popolo al mondo che abbia vissuto sulla propria pelle (nel senso letterale, non metaforico) la devastazione di due bombe atomiche. La cognizione del dolore dei giapponesi è segnata da quella tragedia senza ritorno. Grandi scrittori, a cominciare da Ôe Kenzaburô, hanno scritto sulle conseguenze della bomba pagine che bisognerebbe, spenta per qualche ora la televisione, tornare a leggere. Ma chissà perché in questi giorni il ricordo che mi accompagna con più insistenza è quello del film di un autore russo, anche se costellato di riferimenti al Giappone: Sacrificio di Tarkovskij. Il protagonista, angosciato dall’annuncio di una catastrofe nucleare imminente, decide di distruggere la casa e tutti i suoi beni «per salvare il mondo». Egli racconta al figlio la parabola di un monaco che, a forza di annaffiare un albero morto, con pazienza e disciplina, riesce a farlo rifiorire. La storia si apre proprio con l’immagine dell’uomo che, insieme al bambino, pianta un arbusto fragile e secco che chiama l’«albero giapponese».
Alla fine del film, quando il padre, dopo aver dato fuoco alla casa, viene portato via, il bambino continua a portare secchi d’acqua, fiducioso che l’albero rifiorirà. L’immagine di quel bambino che annaffia l’albero dissecato, in questi giorni di angoscia e di profonda preoccupazione per il futuro del Giappone, mi sembra rischiarare un poco, con la sua luce, un buio spaventoso.

Foto tratte da qui e qui.

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