I libri, forse, possono dividersi in due gruppi: da un lato, ci sono quelli che devi leggere nel posto giusto per gustarli appieno; dall’altro, quelli che ti portano dove vogliono loro, in qualunque luogo li sfogli. Quest’ultimo è per me il caso delle raccolte di Kawabata Yasunari, forse perché nessun racconto somiglia al precedente; si può percepire una sorta di fil rouge che accomuna le sue storie, ma – nel momento di descriverlo – ecco che vengono a mancare le parole.
Forse la sede più adatta per perdersi in Cristantemo nella roccia, la novella che ho scelto con Francesca per la Stanza del tè, potrebbe essere un giardino giapponese, quieto, quasi dimenticato. Eppure, io l’ho letta in una fredda sera di marzo, aspettando un autobus che non voleva mai arrivare, tra un parcheggio vuoto e i neon di un supermercato. Avevo però l’impressione di essere dall’altra parte del mondo, davanti alla roccia umida che dà il titolo alla narrazione; e il rumore dell’acqua del tè, cui Kawabata accenna, mi riscaldava.
In questo breve brano che oggi vi presento, troveremo un personaggio già conosciuto, vale a dire Sen no Rikyū, uno dei più importanti maestri della cerimonia del tè, coerente con la sua scelta di vita per l’eternità;di lui ci parla più approfonditamente Francesca nella sua Stanza tutta per (il) tè, ricca di profumi e suggestioni. Buona lettura.
Pur abitando nella valle del Kakuenji, con le sue magnifiche tombe di pietra, ho scoperto per la prima volta la bellezza di quest’arte a Kyōto quando, nel Daitokuji, vidi il prezioso stupa [monumento buddhista che spesso custodisce reliquie] che orna la tomba di Sen no Rikyū e la lanterna di pietra che orna quella di Hosokawa Sansai. Sia lo stupa che la lanterna sono opere per cui Rikyū e Sansai nutrivano una vera predilezione, e furono essi a sceglierle per le proprie tombe. Per questo sin dall’inizio le guardiamo come opere d’arte di cui questi grandi maestri del tè avevano riconosciuto la bellezza. E forse per l’atmosfera del mondo del tè che evocano in noi, in essesto avvertiamo un senso di familiarità e calore che raramente si prova davanti a vecchie pietre tombali.
Nella parte del prezioso stupa di Sen no Rikyū che dovrebbe corrispondere all’entrata, la pietra è stata scavata, e si dice che, accostando l’orecchio a quella cavità, si possa sentire un rumore sommesso, come di vento che soffia tra i pini. E’ il rumore dell’acqua che bolle per il tè.
Kawabata Yasunari, da Cristantemo nella roccia (tratto dalla raccolta Prima neve sul Fuji)
Foto tratta da qui.
A proposito di Kawabata e della cerimonia del tè, un importante romanzo di questo autore si svolge proprio durante delle cerimonie del tè, ed è il bellissimo “Mille Gru”..
“Dopo aver bevuto il tè, egli osservò per un momento la coppa. Era un’Oribe nera, e sul davanti era decorata con germogli di felci nere in campo bianco.
– Ve ne ricorderete, immagino – disse Chikako dall’altro capo della stanza.
Kikuji rispose evasivamente e posò la coppa.
– Quei germogli di felci evocano le montagne. In primavera va benissimo, lo diceva spesso anche vostro padre. Adesso non è in armonia con la stagione; l’ho presa esclusivamente in vostro onore.
– Per una coppa come questa, che importanza ha che sia appartenuta per qualche tempo a mio padre? La sua storia risale a Rikyu e all’epoca Momoyama, se non sbaglio. In tanti secoli chissà quanti cultori dell’arte del tè se la sono gelosamente trasmessa! E voi parlate di mio padre…
(….)
“L’ombra di piccole foglie si disegnava sui pannelli scorrevoli di carta, dietro di lei; sulle spalle e sulle ali delle lunghe maniche del kimono a colori vivaci giocavano tenui riflessi. I capelli parevano luminosi.
Per un padiglione del tè la luce era certo eccessiva, ma essa metteva in risalto la giovinezza della Imamura. Il minuscolo panno per gli utensili, rosso come si addiceva all’età di lei, dava una sensazione non di morbidezza, ma di estrema freschezza. Sembrava che dalle mani della fanciulla sbocciasse un fiore purpureo.
E si sarebbe detto che mille gru, piccole e bianche si levassero in volo attorno a lei.”
Yasunari Kawabata, Mille Gru, pag. 23 – 24, ed. SE, trad. Mario Teti