Autore: Anna Lisa

La strana autobiografia di Miyuki Hatoyama

Solitamente non amo occuparmi di politica e attualità, ma stavolta, dato l’argomento, farò un’eccezione.

La moglie del premier
La moglie del premier

Oggi, infatti, voglio accennarvi all’autobiografia di Miyuki Hatoyama. E chi è costei, direte voi? Miyuki non è altro che la first lady del momento, la moglie di Yukio Hatoyama, appena eletto premier. Cosa avrà allora di tanto speciale la sua storia? A prima vista nulla, si potrebbe pensare, se si esclude il fatto che racconta di aver conosciuto Tom Cruise in un’esistenza passata e di esser stata rapita dagli alieni (“Mentre il mio corpo era addormentato”, scrive Miyuki, “la mia anima salì in cielo su un Ufo a forma di triangolo e arrivò fino a Venere. Era un luogo molto bello ed era molto verde”: cit. da Repubblica, http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/esteri/giappone-elezioni/moglie-premier/moglie-premier.html)
Purtroppo, conosco solo il nome inglese dell’opera, Very Strange Things I’ve Encountered; di certo, non si può dire che il titolo sia ingannevole!

Per approfondire la questione : http://www.reuters.com/article/lifestyleMolt/idUSTRE5812DV20090902
http://www.independent.co.uk/news/world/asia/i-have-been-abducted-by-aliens-says-japans-first-lady-1780888.html

Roma, fino al 10 settembre la mostra "L'oriente tra tradizione e innovazione"

Chiedo venia, ma ho scoperto solo oggi dell’esistenza dell’interessante mostra, L’oriente tra tradizione e innovazione, che si terrà fino al 10 settembre presso la Casa delle Letterature di Roma (grazie a Roberta per la segnalazione e l’invito):

Un'opera di Keitaro Sugihara

La Casa delle Letterature del Comune di Roma dal 26 giugno al 10 settembre 2009 espone una mostra sull’illustrazione giapponese in collaborazione con l’Associazione Culturale Teatrio; un piccolo ma significativo contributo alla conoscenza della figurazione nipponica antica e contemporanea, nella quale gli aspetti tradizionali e quelli innovativi, gli elementi autoctoni e quelli esterni, cinesi, coreani, tibetani o occidentali, si sono sempre intrecciati
La mostra mette a confronto il passato e il presente della grafica giapponese, gli artisti Ukiyo-e ed i contemporanei.
Con il termine Ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante) si intende la produzione artistica di pitture, stampe e libri illustrati rispondente al gusto dei cittadini borghesi di epoca Edo (1603- 1867) Le xilografie esposte, appartenenti alla prestigiosa collezione Contini, sono databili tra il 1803 e il 1860 circa, un momento altissimo dell’Ukiyo-e, e la mostra ne presenta un distillato degli stili, tipologie e tematiche principali attraverso alcuni dei suoi artisti più rappresentativi:
Kitagawa Utamaro (1753- 1806), Hasegawa Sadanobu (1809- 1879) , Utagawa Kunisa (1786- 1865), Utagawa Kuniyoshi (1797- 1861), Utagawa Hiroshige (1797- 1858)

Tra gli illustratori contemporanei il dialogo tra culture disparate è evidente. Le incisioni in bianco e nero di Tomoko Matsumoto, nata ad Osaka e formatasi a Londra, ritraggono il Giappone attuale con la fedeltà e l’obbiettività dell’antropologo; Yuko Shimizu nata a Tokyo, ma vive e lavora a New York, è molto attiva nella grafica pubblicitaria ;da Tokyo a Pasadena, California, Kiuchi Tatsuro ha compiuto il suo percorso da una formazione scientifica ad una carriera artistica ; Hiroyuki Nakamura vive e lavora a Tokyo, il suo approccio all’illustrazione è espressivo, gestuale, all’apparenza spontaneo nell’esecuzione ; Keitaro Sugihara sperimenta diverse strade creative, tra cui spicca il collage ;Osamu Komatsu, vive e lavora a Tokyo, ma è molto amato in Italia ed è un artista difficilmente riconducibile all’universo figurativo dell’Ukiyo-e, così immerso nelle atmosfere poetiche e fantastiche di sapore europeo.

Informazioni

Casa delle Letterature
piazza dell’Orologio, 3
00186 Roma
tel.: +39 (06) 68.13.46.97
fax: +39 (06) 68.30.18.95
Orari della Casa delle Letterature
Dal lunedì al venerdi ore 9:30 – 18:30
(sono frequenti prolungamenti di orario in occasione delle manifestazioni organizzate dalla Casa).

Kiuchi Tatsuro

Ciak! E' uscito "Japanese cinema"

Iniziamo settembre con una novità sicuramente interessante per gli amanti del grande schermo, Japanese cinema di Paul Duncan e Stuart IV Galbraith, edito dalla Taschen (192 pp.) e disponibile, al momento solo in inglese, a 19,99 €.
Intento degli autori è fornire ai lettori – soprattutto occidentali – una visione  approfondita del panorama cinematografico nipponico, esplorando anche generi e prodotti poco noti fuori dalla madrepatria. La grafica – come per tutti i bellissimi volumi Taschen – è curata e suggestiva; numerose immagini di buona qualità corredano il testo e favoriscono l’immersione in un mondo tanto affascinante quanto spesso misconosciuto.

Alcune pagine del volume
Alcune pagine del volume

Per avere maggiori informazioni, vi consiglio di dare un’occhiata al sito dell’editore.

Bologna: per ricordare Hiroshima e Nagasaki

Il Sole di Nagasaki
per la pace e per l’ambiente

Bologna, 9 agosto 2009
Lago dei Giardini Margherita, dalle ore 19,30

Le esplosioni atomiche di Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945) hanno di fatto cambiato il mondo e l’uomo. L’olocausto atomico giapponese ha riguardato fin da subito tutti, nessuno escluso: ad oltre sessanta anni di distanza è ancora necessario riflettere, ricordare e condividere.

-dalle ore 19.30 Lago dei Giardini Margherita

Per non dimenticare. Omaggio a Nagasaki
Letture da testi sull’olocausto atomico di Hiroshima e Nagasaki con accompagnamento musicale di koto
regia Claudio Longhi
con Lino Guanciale (voce recitante), Machiya Ijyushō (koto)
assistente alla drammaturgia Margherita Mauro
La lettura Per non dimenticare. Omaggio a Nagasaki si compone di frammenti letterari provenienti da ogni epoca e cultura, intessendo in un gioco di rimandi e intersezioni i temi degli sconvolgimenti cosmici dell’antichità, i primi cenni della teoria atomica, le testimonianze storiche su Nagasaki e il culto giapponese dei morti.
Le parole del De rerum natura di Lucrezio risuoneranno con i miti raccolti nel Kojiki, summa della mitologia nipponica risalente all’VIII secolo, i versi della Bhagavadgita indiana, capitolo dell’epopea narrata nel Mahabharata di Vyasa, confonderanno il proprio ritmo con la raffinata cadenza del Genji monogatari scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu nel Giappone dell’anno 1000, e ancora il De Bello Civili di Caio Giulio Cesare, i racconti di Lafcadio Hearn, Benjamin, Takashi Nagai, Canetti e molti altri che hanno mosso la propria penna per descrivere l’orrore atomico.

-dalle ore 21 Lago dei Giardini Margherita

Tōrō nagashi: le lanterne galleggianti
cerimonia delle lanterne galleggianti
Ogni anno, a seguito di una ormai antichissima tradizione, attorno alla metà di agosto in Giappone viene celebrata la cerimonia tōrō nagashi: è una cerimonia di origine buddhista che conclude la festività dedicata agli antenati, lo Obon, durante la quale particolari lanterne di carta vengono affidate alla corrente dei fiumi o alle maree dell’oceano. La stessa cerimonia è celebrata anche per le commemorazioni delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Al pubblico verranno distribuite, su offerta libera, le lanterne. Ognuno potrà personalizzarle con disegni o frasi che ritiene di voler condividere: l’incasso verrà interamente devoluto in beneficenza all’orfanotrofio Shungu Dzevana Trust di Harare (Zimbawe) dove 500 bambini cercano la via per costruire il proprio futuro.

ingresso libero

Nipponica
tel: 051 381694
e-mail: info@nipponica.it
www.nipponica.it

Studiare giapponese con Nintendo DS

Stanchi di grammatiche, manualoni e vocabolari mastodontici per studiare il giapponese? No problem: con Nintendo Ds è possibile imparare la lingua del Sol levante senza troppa fatica e senza trascinarsi dietro ingombranti volumi.
A questo indirizzo potete trovare una buona carrellata di software per Nintendo DS; personalmente, ho sperimentato solo My Japanese coach, ma l’ho trovato un po’ noioso (forse è più adatto ai bambini).
E se non si possiede un Nintendo Ds? Semplice: basta scaricare un simulatore e le rom (ossia i giochi) che interessano. Ricordatevi però che l’operazione è “piratesca” e non legale!

In viaggio con Murakami: reportage di Repubblica.it (1)

Per non smentire la fama planetaria di Murakami Haruki e, soprattutto, il fatto che, oramai, in Italia la letteratura nipponica si identifichi quasi esclusivamente con lui e la Yoshimoto, Dario Olivero, di Repubblica.it, dedica in questi giorni un reportage in più puntate allo scrittore di Kafka sulla spiaggia, dal significativo nome di In viaggio con Murakami. Attraverso il Giappone, s’intende. Ecco il primo estratto:

Forse semplicemente non esiste, non a Tokyo. O forse non in questa dimensione. Abituati a tutto, anche ai viaggi cosiddetti letterari, cerchiamo atmosfere e ispirazione dove altri l’hanno trovata prima di noi. Visitiamo la Praga di Kafka, la Londra di Dickens, la New York di Capote, la Parigi di Sartre. Ci sono viaggi organizzati per questo genere di cose. L’ultimo nato è la Stoccolma di Stieg Larsson. Città che prima aveva poco da offrire se non gli spazi troppo o troppo poco illuminati e respingenti di Bergman, ora diventa location a ore e a tariffa dei luoghi da cui il giornalista Mikael Blomkvist ha conquistato milioni di lettori. Ma Tokyo è un’altra cosa. Haruki Murakami è un’altra cosa.

L’hanno cercata in tanti la Tokyo di Murakami. Migliaia di lettori hanno creduto di individuare i luoghi che racconta nei suoi romanzi. Una di quelle che è andata più vicino è un’italiana, Rossella Marangoni (Tokyo, Unicopli, 2007). Ma andare vicino non vuol dire arrivare. La periferia in cui abita Okada Toru, il protagonista di L’uccello che girava le viti del mondo? Qualsiasi periferia. L’università di Norwegian Wood? La Tokyo University o forse la Waseda dove lo stesso Murakami ha studiato. Il caffè della ragazza che legge il suo immenso libro mentre il mondo le scorre attorno in After Dark? A Shibuya, a Ginza, a Aoyama. Potrebbe essere ovunque. Murakami racconta Tokyo senza lasciare nessun indizio reale. Nessuna traccia. Tranne una, la stazione di Shinjuku. Ammesso che quella che racconta sia la Shinjuku reale e non un varco verso altre dimensioni che corrono parallele alla metropolitana e si perdono verso la fine del mondo.

Certi inviati di giornali con poco tempo e messi alle strette tra fuso orario e scadenza di consegna del pezzo se la cavavano a volte con quattro chiacchiere con il tassista che dall’aeroporto li portava a destinazione. Si facevano una prima idea sommaria. In alcuni casi restava quella. A Tokyo questo rischio non c’è. I tassisti parlano solo giapponese, nessuna speranza di fare conversazione. E poi sono troppo impegnati a districarsi in un mestiere che, da Roma a New York nessuno invidia, ma che qui diventa usurante. Una toponomastica assente, il nome di qualche arteria principale, una sommaria divisione per quartieri. Il tassista che lavora a Ginza sa poco e niente di Odaiba, quello di Ogikubo non sa dove sono i Giardini del palazzo imperiale. Legge il nome in giapponese che la guida riporta prevedendo la difficoltà del viaggiatore, ma le cose non vanno meglio. Semplicemente non lo sa. Un altro si arrende di fronte a quello che un occidentale sa essere un monumento nazionale giapponese: Ghibli Museum, la fabbrica dei sogni di Hayao Miyazaki, il maestro dell’animazione, quello di Princess Mononoke, La città incantata e l’ultimo, Ponyo sulla scogliera. Quello che disegna tutto a mano. Ma il tassista non lo sa, non lo capisce, dà la colpa all’inglese che non parla.

Nessun tassista vi aiuterà. Non riescono a venire a capo, nonostante i sofisticati navigatori che avrebbero dovuto semplificare la loro vita della Tokyo di superficie, la Tokyo reale. Figurarsi la Tokyo di Murakami che forse non esiste nemmeno. Quella di Kokubunji, quella di Sendagaya dove Murakami aprì due jazz bar prima di dedicarsi alla letteratura è nascosta da un velo più denso della foschia di luglio. Manca la toponomastica in superficie, manca quella letteraria. Una metafora, tutto è metafora, tutto è sincronicità, tutto è attributo di un’unica sostanza. Tutto in una sola città.

Così cambiano anche le coordinate dell’inizio di After Dark: “E’ una metropoli quella che abbiamo sotto gli occhi. La vediamo attraverso lo sguardo di un uccello notturno che vola alto nel cielo. Nel nostro sconfinato campo visivo, appare come un gigantesco animale. O un confuso agglomerato, composto da tanti organi avvinghiati l’uno all’altro. Un’infinità di arterie si protendono fino all’estremità di un corpo inaferrabile, vi fanno circolare il sangue e ne rigenerano di continuo le cellule. Trasmettono nuove informazioni, e raccolgono quelle vecchie. Comunicano nuovi bisogni, e raccolgono quelli vecchi. Portano nuove contraddizioni, e raccolgono quelle vecchie. Al ritmo di queste pulsazioni, il corpo si accende in più punti, si infiamma, si contorce. La mezzanotte è vicina, il metabolismo di base per sostenre la vita dell’organismo, che ha appena superato la fase culminante della sua attività, continua con vigore inalterato. Un gemito, quasi un accompagnamento in sottofondo, si leva dalla città. Un gemito monotono, privo di alti e bassi, eppure denso di presagi”.

(Fonte: http://olivero.blogautore.repubblica.it/2009/07/28/in-viaggio-con-murakami-1)
(Foto: Tokyo, 2004. Fotografo: Sutton-Hibbert/Rex Features; fonte: http://www.guardian.co.uk/culture/tvandradioblog/2008/jun/25/imaginefailstofindmurakami)

Oggi thriller: Tokyo noir di Kenzo Kitakata

Non è decisamente il mio genere, ma qualche lettore potrebbe apprezzare Tokyo noir di Kenzo Kitakata, edito soltanto ora dalla Newton Compton (pp. 336, € 9,90), malgrado sia stato scritto dall’autore nel 1983.
Il sottotitolo, Chi semina odio raccoglie vendetta!, già la dice lunga, ma è bene lasciare la parola alla quarta di copertina e ad un corposo estratto del volume, che potete leggere cliccando qui.

Takino si è lasciato alle spalle il suo passato nella Yakuza, e adesso conduce una vita modesta e tranquilla. È sposato con Yukie e gestisce un piccolo supermarket a Tokyo. Ma la quiete delle sue giornate viene sconvolta da un improvviso desiderio di sentirsi di nuovo vivo, di riprovare quel brivido – la pistola, gli inseguimenti, gli agguati – da tempo represso. Deciso a portare a termine un’ultima “missione”, ricontatta un vecchio amico. Ma il gioco si fa più complicato del previsto. Risucchiato nel mondo sotterraneo della mafia giapponese, Takino scoprirà che in fondo tutto questo lo affascina: ha provato a essere un bravo cittadino ma forse la sua vera natura è un’altra. Bruciano le sigarette e scende la pioggia nella periferia di Tokyo. Takagi, il detective più decorato della polizia, è l’unico a sospettare chi si nasconde davvero dietro la spietata prova di forza in atto nelle strade di Tokyo…
Azione e colpi di scena, furia e violenza distruttrice nei bassifondi della capitale giapponese, pallottole e sangue in un inferno metropolitano senza eroi: il passato di Takino è ritornato prepotentemente. La belva è uscita dalla gabbia, ed è pronta a farsi giustizia a modo suo.

Il sole si spegne di Osamu Dazai

E’ recentemente uscito Il sole si spegne di Osamu Dazai presso i tipi della Feltrinelli (p. 144, 7,5 €; traduttore Luciano Bianciardi), già edito dalla SE qualche anno fa. sole_si_spegne

Attraverso la storia della rovina della propria famiglia narrata dalla giovane Kazuko, il romanzo adombra l’epopea tragica dell’aristocrazia declinante nel Giappone vinto e umiliato dalla guerra, e insieme propone la vivida e più vasta rappresentazione della desolazione spirituale di un paese che ha smarrito i valori della tradizione e va snaturandosi nell’incalzare di una civiltà industriale priva di idealità. Pubblicato nel 1947, un anno prima di annegarsi nel lago Tamagawa a Tokyo, Osamu Dazai vi consegnava un messaggio di disperata rivolta in cui si riconobbe e si identificò un’intera generazione – quella che visse il disordine e lo smarrimento del dopoguerra, nonché la frustrazione precoce delle speranze in un rinnovamento radicale della società. D’altra parte, il successo de Il sole si spegne, il richiamo straordinario che esercitò sul costume oltre che sulla vicenda letteraria giapponese, non si spiegherebbero senza quella potente contaminazione che fa di questa, come di tutta l’opera di Dazai, il riflesso e la cassa di risonanza della sua vita lacerata. Annullando ogni distanza da sé, sottolineando ed esasperando la corrispondenza tra le proprie esperienze e quelle dei suoi personaggi, Dazai trascrive sulla pagina letteraria una sofferenza esistenziale, il ribellismo e l’istinto di autodistruzione suggellati infine dal suicidio.

Per molti, questo libro potrebbe incarnare alcuni dei più classici stereotipi sul Giappone (il pessimismo dei protagonisti, lo sfondo della seconda guerra mondiale, le atmosfere nobili e decadenti, l’autodistruzione, il suicidio); eppure, la vicenda risulta fortemente personale e sentita.
La biblioteca giapponese della Feltrinelli – già piuttosto nutrita (Mishima, Yoshimoto…) – si arricchisce così di un testo fondamentale per comprendere il panorama letterario e culturale nipponico post bellico.
Per concludere, un lungo assaggio dell’opera:

(…) Forse dovrei parlare del serpe. Un pomeriggio, quattro o cinque anni fa, i bambini del vicinato trovarono una dozzina d’uova di serpe, nascoste fra i paletti della staccionata, in giardino. Dicevano che erano uova di vipera. Pensai che, con una dozzina di vipere a strisciare nel boschetto di bambù, non avremmo mai potuto entrare in giardino senza particolari precauzioni. Dissi ai bambini:”Bruciamo le uova”, ed i bambini mi seguirono, ballando di gioia.
Feci un mucchio di foglie e di frasche, vicino al boschetto, ed appiccai il fuoco, gettando poi le uova nella fiamma, una dopo l’altra. Per parecchio tempo non presero fuoco. I bambini mettevano altre foglie e rametti sulle fiamme, che si facevano ancor più robuste e lucenti, ma ancora pareva che le uova non potessero mai bruciare.
La ragazza della fattoria giù in fondo alla strada ci chiese, dall’altro lato della staccionata, che cosa facevamo.
“Bruciamo le uova di vipera. Ho una gran paura che possan nascere i serpi.” “Come son grosse le uova?” “Come le uova di una quaglia, e bianchissime.” “Allora son uova di un serpe comune, innocuo; non sono uova di vipera. Le uova chiuse non bruciano, sai.”La ragazza se ne andò, e rideva, come se la cosa fosse molto buffa.
Il fuoco era acceso da quasi mezz’ora, ma le uova proprio non volevano bruciare. Ordinai ai bambini di toglierle dalle fiamme e di seppellirle sotto il susino Andai a raccogliere dei ciottoli, per segnare la tomba.
“Preghiamo, tutti quanti.”Mi inginocchiai e giunsi le mani. I bambini, obbedienti, si inginocchiarono dietro di me e giunsero le mani nella preghiera. Ciò fatto, lasciai i bambini e lentamente cominciai a salire su per gli scalini di pietra. In cima c’era la mamma, all’ombra della pergola di glicine.
“Avete fatto una cosa molto crudele,”disse.
“Pensavo che fossero uova di vipera, invece erano di serpe comune. Però le ho sepolte, regolarmente. Non c’è motivo di adirarsi.”Capii ch’era una sfortuna che la mamma mi avesse visto.
La mamma non è affatto superstiziosa, ma ha un terrore mortale dei serpi, da quando, dieci anni or sono, morì il babbo nella nostra casa di via Nishikata. Pochi momenti prima che il babbo ci lasciasse, la mamma, scorgendo sotto il letto di lui – così le parve – una funicella nera, sopra pensiero si chinò a raccoglierla, ma si accorse che era un serpe. Scivolò via nel corridoio e scomparve. Se ne accorsero solo la mamma e mio zio Wada. Si guardarono l’un l’altra, ma non dissero nulla, per timore di turbare la quiete degli ultimi momenti del babbo. Ecco perché Naoji ed io (eravamo tutti e due nella stanza) non sapemmo nulla del serpe.
Ma io so, ne son certa perché l’ho visto, che la sera della morte di mio padre c’erano serpi attorcigliati a tutti gli alberi presso il laghetto del giardino. Ora io ho ventinove anni, e ciò significa che quando mio padre mori, dieci anni fa, ne avevo diciannove: non ero più una bambina. Sono passati dieci anni, ma il ricordo di ciò che accadde allora è ancor vivo e quindi non posso sbagliarmi. Camminavo presso il laghetto, volevo prendere i fiori per il funerale. Mi fermai accanto a un cespo di azalee ed all’improvviso notai un serpentello avvolto in cima a un ramoscello. Poi, quando feci per tagliare un ramo di rose kerria, da un cespuglio lì accanto, vidi che anche lì c’era un serpe. Sulla rosa di Sharon, sull’acero, sulla ginestra, sul glicine — su ogni cespuglio e su ogni albero — c’era un serpe. Questo fatto non mi spaventò in maniera particolare. Solo sentivo che in qualche modo i serpi, come me, piangevano la morte di mio padre ed erano strisciati fuori dalle loro buche per rendere omaggio al suo spirito. Più tardi, quando a bassa voce raccontai alla mamma il fatto dei serpi in giardino, ella prese la cosa con calma; solo inclinò un poco la testa, pensierosa. Ma non disse nulla.
Eppure la verità è che dopo questi due incidenti la mamma prese a detestare i serpi. O forse sarebbe più giusto dire che ne provava paura e sgomento, che era giunta al punto di temerli.
Quando la mamma scoprì che avevo bruciato le uova di serpe, certo deve aver sentito in quell’atto una sorta di malaugurio. Quando me ne resi conto, si fece strada in me la sensazione di aver compiuto, bruciando le uova, un’azione terribile. Mi tormentava la paura di aver provocato una maledizione su mia madre, tanto che non riuscivo a dimenticare quel fatto; non quel giorno, né quello dopo, né il successivo. Eppure stamani, in sala da pranzo tirai fuori quella stupida osservazione sulla gente bella che muore giovane; e poi, incapace di rimediarvi – non conta quel che ho detto, – finì che piansi. Più tardi, mentre sparecchiavo la tavola della colazione, provai una sensazione insostenibile: che in petto mi si fosse insinuato un serpentello orribile, capace di abbreviare la vita della mamma.
Quel giorno stesso vidi un serpe nel giardino. Era una bella mattina tranquilla, e dopo aver terminato il lavoro in cucina, pensavo di prendere una sedia di vimini e di mettermi sul prato a sferruzzare. Mentre uscivo nel giardino con la sedia in mano, vidi il serpe, fra le piante dell’iris. Provai solo un lieve senso di repulsione. Riportai la sedia nel portico, mi misi a sedere e cominciai a far la maglia. Nel pomeriggio, entrando in giardino con l’intenzione di prendere in biblioteca (è nel padiglione, in fondo al giardino) un volume dei dipinti di Marie Laurencin, c’era un serpe che strisciava, lento lento, sul prato. Era lo stesso serpe che avevo visto al mattino, un serpentello grazioso e morbido. Traversava il prato, tranquillo. Giunto all’ombra della rosa selvatica si fermò, alzò la testa, e vibrò la sua lingua che pare una fiamma. Sembrava che cercasse qualcosa, ma dopo un attimo abbassò la testa e si abbandonò al suolo, come sopraffatto dalla stanchezza. Dissi fra me:”Deve essere una femmina.”Ma anche allora la cosa che più mi fece impressione fu la bellezza del serpe. Andai al padiglione e presi il volume delle pitture. Tornando gettai un’occhiata furtiva al posto dove avevo scorto il serpe, ma era già scomparso.
Verso sera, mentre bevevo il tè con la mamma, mi venne fatto di guardare in giardino, proprio nel momento in cui lentamente, strisciando, comparve il serpe, sul terzo gradino della scala di pietra.
La mamma se ne accorse.”È quello il serpe?”Si precipitò da me dicendo queste parole e mi si mise accanto, tremante; mi stringeva le mani. All’improvviso mi balenò alla mente che cosa ella stesse pensando.
“La madre delle uova, vuoi dire?”proruppi.
“Sí, sí.”La voce della mamma era alterata.
Ci tenevamo le mani, ferme, in silenzio, guardando il serpe col fiato sospeso. Il serpe, abbandonato sulla pietra, ricominciava a muoversi. Lento, stanco, incerto, traversò lo scalino e scivolò verso gli iris.
“È da stamani che gira per il giardino,”sussurrai. La mamma sospirò e si lasciò andare su di una sedia.
“È proprio per questo, ne son certa. Sta cercando le sue uova. Poveretta.”La mamma parlava con voce affranta.
Ebbi una risata nervosa; non sapevo cos’altro fare. Il sole della sera colpiva il volto della mamma ed i suoi occhi scintillavano, quasi azzurri. Il viso, su cui pareva scorgersi un lieve accenno di collera, era cosi adorabile che io sentii il bisogno di correre fra le sue braccia. Allora mi venne in mente che il viso della mamma somigliava non poco a quello dello sfortunato serpe che avevamo visto proprio allora. Ed ebbi la sensazione, non so per quale motivo, che il brutto serpe che portavo in seno potesse un giorno finir per divorare quest’altro serpe, bello ed affranto: una madre.
Posai la mano sulla spalla morbida e gentile della mamma, e provai un’inquietudine fisica che non riuscivo a spiegare.

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