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"Il calligrafo" di T. Shimoda

Appena ho letto il titolo e visto la copertina, ho pensato: ecco, questo è un libro da spiaggia. Non nel senso sprezzante della parola, ma intendendo una lettura piacevole e non particolarmente impegnativa. E poi il formato tascabile trova sempre posto nello zaino da trekking o nella borsa da spiaggia.
Il volume in questione (così svelo l’arcano) è Il calligrafo (ed. Tea [ma potreste trovarlo anche nella vecchia edizione Longanesi], pp. 376, € 8,50; illustrato) di Todd Shimoda, nippoamericano di terza generazione e ricercatore nell’ambito dell’intelligenza artificiale.
The Fourth Treasure (Il quarto tesoro) – questo il titolo originale – si sviluppa in tre diverse epoche e due città: da un lato, abbiamo la Berkeley contemporanea, in cui vive una studentessa di neuroscienze appassionata di shodô (il sentiero artistico-spirituale della calligrafia); dall’altro, troviamo la Kyoto degli anni Settanta e quella della metà del XVII sec., teatro d’amori e lotte che ruotano attorno al mondo dello shodô.
A voi uno stralcio del libro:

I N T E R L U D I O
Foglie cremisi/ che cadono

NOVEMBRE 1975, KYOTO, GIAPPONE

KIICHI SHIMANO, il sensei capo della Scuola di calligrafia Daizen, gettò uno sguardo fuori del suo studio, nel giardino. La brezza autunnale aveva strappato dall’acero le foglie cremisi e le aveva sparpagliate sul terreno ricoperto di muschio, creando un motivo che era casuale, e tuttavia possedeva un forte equilibrio e un ritmo vivace. Così facile per la natura, così difficile per l’artista. La differenza deve risiedere nel fatto che l’artista crea con il pensiero e i sentimenti. La natura crea la sua arte senza nessuna delle due cose e obbedisce solo a poche semplici regole – la gravità, la forza del vento, il cambiamento delle stagioni – in infinite combinazioni.

Il sensei Daizen prese il pennello da calligrafo mentre si concentrava sul kanji per «cremisi». La parola era parte di una poesia che aveva appena iniziato:

Foglie cremisi
che cadono…

Doveva riconoscere che non era un granché come poesia.

Non aveva tempo per scrivere poesie migliori, non da quando era stato nominato ventinovesimo sensei capo della scuola Daizen, qualche mese prima. Programmare le lezioni, assegnare gli studenti agli insegnanti della scuola, giudicare le gare, occuparsi delle finanze: questi erano alcuni dei molti doveri che aveva ereditato quale sensei Daizen. E c’erano le interviste, l’ultima aveva avuto luogo proprio quella mattina, per un programma mattutino in diretta da una stazione televisiva di Osaka. L’intervistatrice, sebbene entusiasta (fin troppo a tratti) sembrava interessata solo agli aspetti superficiali dello shodo: “Che tipo di pennello usa? Dove si procura l’inchiostro? Con che frequenza si esercita? Per “quanto tempo?” Esaurito il suo repertorio, gli aveva chiesto l’età e, quando lui aveva risposto, lo aveva battezzato “Giovane Sensei”, aveva trentaquattro anni – quindici o venti in meno del solito per un nuovo sensei capo – ed era il secondo più giovane sensei Daizen. Il più giovane era stato il samurai Sakata, il quindicesimo sensei capo, conosciuto come il padre dell’era attuale, quella della callìgrafia giapponese competitiva.

L’ultima domanda della giornalista era stata: come pensa di comportarsi il Giovane Sensei nel prossimo Concorso Daizen-Kurokawa?

La giornillista si riferiya alla gara tra la sua scuola e la Scuola di calligrafia Kurokawa. Il sensei Daizen aveva previsto la domanda e aveva preparato una breve storia del concorso nel caso che la giornalisia gliel’avesse chiesto: nel 1659, Sakata e il fondatore della scuola Kurokawa diedero inizio al Concorso di calligrafia Daizen~Kurokawa, tutttora il più pretigioso del Giappone. Tenutosi da allora ogni tre anni, serviva ad assicurare che le due scuole mantenessero il loro primato.

Il sensei Daizen aveva risposto che non sapeva che risultato avrebbe ottenuto, ma si sarebbe impegnato a fondo per fare del suo meglio.

Sperava che l’intervistatrice gli chiedesse perché la calligrafia, se praticata in modo corretto, è intrisa di potere spirituale. Voleva che gli chiedessè perché è necessario dedicare alla calligrafia tanto esercizio persino per raggiungere risultati mediocri.

"1Q84" di Murakami: in Giappone è uscito il terzo volume

Per tutti i fan di Murakami, in attesa che la sua ultima fatica letteraria, 1Q84, esca in Italia, un’anticipazione del terzo volume, appena apparso in Giappone. Dei due precedenti abbiamo già parlato qui.
L’articolo presentato è di Yoko Kubota.

TOKYO (Reuters) – I fan giapponesi si sono lanciati oggi sul nuovo volume del romanzo “1Q84” dell’acclamato Haruki Murakami, dopo aver atteso per quasi un anno dall’uscita dei primi due episodi della surreale love story.

“Resterò alzata tutta la notte per leggerlo”, dice Ayako Arai, una 29enne impiegata in un’agenzia pubblicitaria che si è accaparrata una copia del libro di 602 pagine, che costa l’equivalente di 14 euro.

“E’ passato un po’ da quando ho letto il volume uno e due… lo stavo aspettando”.

I primi due volumi di “1Q84”, che raccontano la storia di una donna, Aomame, e di un uomo, Tengo, affrontano temi come i culti, la violenza e la perdita, il sesso, l’amore e l’omicidio.

Decine di persone si sono messe in fila in tarda serata davanti alle librerie di Tokyo per comprare il terzo libro a mezzanotte, hanno scritto i media.

La vendita del libro -con un titolo che ricorda il “1984” di George Orwell, anche perché il 9 in giapponese si pronuncia come la lettera Q in inglese – sono da record anche per Murakami, uno degli scrittori giapponesi più letti al mondo.

Dei primi due volumi di “1Q84” sono state stampate in totale oltre 2 milioni e 400mila copie rilegate, per il terzo se ne stamperanno 700mila nelle prossime settimane.

L’uscita dell’ultimo volume, come quella dei primi due, è stata circondata dal mistero: solo sette persone e l’editore hanno potuto leggere il manoscritto e i libri sono stati spediti nelle librerie in scatole di cartone, anziché nel solito involucro di plastica.

Le opere del 61enne Murakami, che è da tempo al centro dell’attenzione dei media come potenziale vincitore del Nobel, sono state tradotte in oltre 40 lingue.

Di “1Q84” è in corso la traduzione in diversi paesi, ma non si hanno informazioni sulla pubblicazione.

Novità: "Ricordi di mia madre" di Inoue Yasushi

Aggirandomi in libreria, quest’oggi ho scoperto un’interessante novità: a marzo è infatti uscito in libreria, presso i raffinati tipi dell’Adelphi, Ricordi di mia madre di Inoue Yasushi (pp. 150, € 17). Purtroppo non ho avuto modo neppure di leggerne una riga; vi allego, però, la presentazione dell’autore.

«Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto… Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente». Così leggiamo in questi Ricordi di mia madre, in cui Inoue cela, con pudore, il suo lato più intimo e dolente. E non possiamo non ascoltare partecipi quella voce che ci spiega come la donna «avesse incominciato a cancellare a ritroso, con una gomma, la lunga linea della sua vita», del tutto inconsapevolmente, «perché a tenere in mano la gomma era quell’evento ineluttabile che è la vecchiaia». Vecchiaia su cui Inoue ci offre, con quest’opera in tre tempi, pagine fra le più intense che abbia mai scritto, dove riesce a trovare la misura perfetta, con una delicatezza di tratto che nulla concede all’effusione sentimentale, per raccontare un lento congedo, raffigurare angosce primordiali ed evocare immagini che si incidono nella memoria. Come quella dell’anziana donna che – con una lampadina tascabile in mano – vaga di notte nella casa del figlio, senza che sia possibile sapere se ora, nella sua mente, lei è la madre alla disperata ricerca del bambino perduto o la bambina smarrita in cerca della mamma.

"La fine dell’estate" di Harumi Setouchi

Condivido la scoperta di questo volume che – mea culpa – non conoscevo: La fine dell’estate di Harumi Setouchi (Neri Pozza, pp. 192, € 15). Questa la presentazione dell’editore:

La fine dell’estate è il primo romanzo, nella letteratura giapponese moderna, a narrare senza reticenze, con una sincerità quasi brutale, di un burrascoso, romantico e scandaloso triangolo amoroso.
Tomoko è una giovane donna raffinata e piena di grazia e attenta ai doveri della tradizione. Si è sposata seguendo la secolare consuetudine dell’o-miai, il matrimonio combinato, con Sayama, giovane professore universitario che ha ricevuto un incarico a Pechino. Nella capitale straniera, Tomoko assolve con scrupolo i suoi compiti di moglie, accudisce la casa, cura la vita pubblica di Sayama ricevendo i suoi giovani allievi. Il suo inappuntabile comportamento esteriore cela, però, il piú grande tumulto interiore: un cuore pronto a concedersi alla passione piú sfrenata, e dei sensi che aspettano solo di accendersi e bruciarsi in un niente.
Il giorno, perciò, in cui Ryōta, uno degli allievi di Sayama, le rivela di essere incantato dalla sua grazia così priva del distacco delle «signore della sua età» (Ryōta ha sei anni di meno), Tomoko scioglie i ceppi della sua innata passionalità, abbandona il tetto coniugale e va a vivere con il giovane studente. Seguendo l’antica legge per la quale piú sfrenata è la passione piú sfiorisce celermente l’amore, il primo incontro tra Tomoko e Ryōta dura un’intensa breve stagione. Rimasta sola, alla deriva tra i marosi della vita, Tomoko va a vivere a Kyoto, l’antica capitale, dove frequenta una scuola di tintura tradizionale di tessuti. Dopo aver acquisito un’indiscussa maestria nel tingere d’indaco e altri magnifici colori le stoffe per lussuosi kimono, si trasferisce a Tokyo, dove incontra Shingo, un autore di romanzi di scarso successo che da anni vive una vita di stenti in compagnia di moglie e figlia. Con Shingo stringe una relazione alimentata da affetto tenace e forza delle abitudini, una relazione che va avanti per otto anni indisturbata, finché non compare di nuovo Ryōta a creare scompiglio.
Romanzo autobiografico, La fine dell’estate è una di quelle rare opere che illuminano i conflitti del Giappone moderno. Attraverso i moti del cuore di Tomoko, redenzione e cedimento al caos della vita, sentimento e sensualità, smania moderna e rispetto della tradizione, ribellione e sentimento di colpa svelano in queste pagine la loro intima complicità.

"A briglia sciolta", nuovo romanzo di Mishima

Mentre girovagavo qua e là per la rete, ho scoperto con piacere che una settimana fa è uscito un nuovo romanzo di Mishima, A briglia sciolta (Feltrinelli, pp. 432, € 14).
Questa la presentazione tratta dalla quarta di copertina:

Giappone 1932-1933: sono anni di crisi in cui vengono compiuti una serie di attentati da parte di gruppi estremisti. Honda Shigekuni, che avevamo già incontrato in Neve di primavera, ricompare come protagonista in questo secondo episodio della tetralogia di Mishima nelle vesti di giudice della Corte di appello di Osaka. Ha compiuto trentotto anni, da dieci anni è sposato con la mite Rie, da cui non ha avuto figli, e conduce una vita tranquilla e abitudinaria. Un giorno però gli capita di presenziare a un torneo di kendo e fa la conoscenza di Isao linuma, che per Honda è la reincarnazione dell’aristocratico compagno di scuola Kiyoaki Matsugae, la cui morte aveva segnato per lui la fine della giovinezza. Isao è il figlio di Shigeyuki linuma, il vecchio precettore di Kiyoaki e ora presidente di un’associazione patriottica della destra. Suo figlio, a soli diciannove anni, è un campione di kendo, un atleta che sprigiona energia e coraggio virili ma anche un ragazzo ancora puro e ingenuo. Nonostante il turbamento e la nostalgia, Honda è felice di aver ritrovato l’amico la cui vita è avvinghiata alla sua come un bel rampicante all’albero e si sente rinato a sua volta. Isao però, cresciuto nel rispetto del codice dei samurai, cova il mito dell’intransigenza verso il potere ingiusto e corrotto che giustifica la rivolta e in caso di sconfitta prevede il suicidio. Honda cerca di metterlo in guardia dai rischi, ma Isao ormai è avviato sulla via senza ritorno della sovversione restauratrice.

"Il Buddha bianco" di Hitonari Tsuji

E’ da diverso tempo che nel blog non presento romanzi, ed oggi ho deciso di rifarmi. Ecco a voi, dunque, Il Buddha bianco di Hitonari Tsuji, scrittore e musicista, (traduttore Francesco Bruno, Marco Tropea editore, pp. 256, 16,90 €). Il volume, vincitore del prestigioso Prix Femina Étranger, è una recente uscita che va ad arricchire il panorama bibliografico italiano con un autore già affermato in patria, ma poco o affatto conosciuto da noi.
Questa la quarta di copertina del volume, ispirato alla vera storia del nonno dell’autore:

Sulla piccola isola di Ono, nell’estremità meridionale del Giappone, la famiglia Eguchi si dedica da generazioni alla forgia delle spade, un’arte antica in cui rivive la fierezza dei primi samurai che colonizzarono la regione. È l’inizio del Novecento quando il giovane Minoru decide di seguire le orme paterne e di legare il proprio destino a questo isolato microcosmo rurale, dove il tempo sembra sospeso nell’incanto di tradizioni ancestrali. Con ingegno e forza d’animo, Minoru supera le sfide del progresso che presto cambia il volto dell’isola, i rovesci della sorte, gli orrori delle due guerre mondiali, ma nel suo intimo, attraverso gli anni, riecheggia un tormentoso interrogativo, legato al significato dell’esistenza, al mistero della morte, al valore della memoria. La risposta coinciderà con l’ultima grande prova della sua vita, e avrà a che fare con la visione di un maestoso Buddha bianco che fin dall’infanzia lo sorregge nei momenti bui. Evocativa saga familiare ispirata alla storia del nonno dell’autore, questo romanzo trascende i confini del tempo per affrontare i grandi quesiti dell’uomo, attraverso quella profondità di sentire, quella saggezza filosofica e quella impalpabile levità che sono proprie della cultura orientale.

"Il lottatore di sumo che non diventava grosso" di E.-E. Schmitt

Rieccomi qui dopo la lunga assenza natalizia. Prima di tutto, auguri (anche se un po’ in ritardo) per anno felice e ricco di piacevoli letture. 🙂
E ora, passiamo alla recensione del giorno. Per oggi, ho scelto un libriccino che mi è stato donato da un’amica proprio in occasione delle feste; e il volume in questione è Il lottatore di sumo che non diventava grosso di Eric-Emmanuel Schmitt (edizioni E/O, pp. 114). Com’è facile intuire, l’autore non è giapponese, ma ha ambientato la vicenda nella terra del Sol Levante.
La storia è piuttosto semplice, ma simpatica: Jun, quindicenne in guerra col mondo, vive di espedienti per le strade di Tokyo, intento a estirpare da sé ogni barlume di calore umano. Ferito e amareggiato dalla sua pur breve vita, vaga senza uno scopo, né una meta; di tanto in tanto, una lettera della madre lo riscalda prima di ripiombare nuovamente nella disperazione e nel nichilismo. Un giorno, però, al solito angolo della strada dove commercia materiale indecente, qualcuno sembra accorgersi di lui: un maestro di sumo, difatti, rivela a Jun di vedere in lui “un grosso”, malgrado la sua pelle attaccata alle osse e del suo fisico provato. Sarà vera la profezia? Oppure nasconde dietro di sé qualcos’altro? A voi la scoperta.

"La teoria delle nuvole" di Stéphane Audeguy

Il libro di cui vi parlerò oggi, Teoria delle nuvole, è opera di un francese, Stéphane Audeguy; sempre più spesso, infatti, accade che scrittori francofoni si interessino all’universo giapponese e lo dispieghino poi nelle loro pagine (per fare soltanto due nomi: Nothomb e Detrie). Ciò, di certo, non sorprenderà se si ricorda che il japonisme, ossia il principale movimento culturale che ha portato il Sol Levante in Europa, è nato proprio all’ombra della torre Eiffel.
Tornando al volume di oggi, si tratta del romanzo d’esordio di un quarantenne insegnante di storia del cinema, ora acclatissimo in patria. Il libro è stato pubblicato nel maggio di quest’anno dai tipi della Fazi editore, conta 300 pagine e costa 18 euro. Questa la presentazione, tratta dal sito della casa editrice:

Akira Kumo, un anziano stilista giapponese, vive a Parigi in una casa piena di libri. Le sue origini sono misteriose: non si sa da dove venga, non si sa che età abbia. Un giorno come tanti Akira decide di assumere una giovane bibliotecaria, Virginie Latour, per catalogare la sua immensa collezione di opere dedicate al più mutevole dei soggetti: le nuvole. A lei, che lentamente saprà conquistarne la fiducia, confida il segreto di una genealogia della scienza e della poesia meteorologica, in parte reale in parte immaginaria, cui hanno partecipato uomini che la Storia ha spesso ignorato. Luke Howard, lettore appassionato delle geografie del cielo, che all’inizio del xix secolo ha per primo classificato e dato un nome alle nubi; il pittore inglese Carmichael, che per sottrazioni successive giunse a dipingere solo nuvole e ad eliminare tutto il resto; lo scienziato Richard Abercrombie, soggiogato da una tale passione enciclopedica da fare il giro del mondo per scoprire come mutano i cieli del pianeta e, per una bizzarra concordanza, le varie forme del sesso femminile.
Forte di una scrittura cristallina e di un’impeccabile architettura narrativa, salutato dalla critica come un capolavoro, La teoria delle nuvole è un romanzo di calviniana leggerezza nel quale fantasia scientifica e poetica, romanzo d’avventura e ricostruzione storica convergono e s’irradiano attraverso i tempi e gli orizzonti più lontani: la giungla del Borneo e i plumbei orizzonti scandinavi, la piana di Waterloo e la nube atomica di Hiroshima.

"Battle royale" di Takami Koushun

Con soltanto dieci anni di ritardo, è stato finalmente pubblicato in Italia uno dei romanzi best seller della letteratura giapponese moderna. Il titolo Battle star, con buone probabilità, non vi dirà nulla, eppure nel Sol Levante ha dato vita a manga, film e quant’altro ispirato alla storia narrata. L’autore, Takami Koushun, ha immaginato l’esistenza di una spietata Repubblica della Grande Asia dell’Est, nata dall’unione del Giappone con la Cina, in cui ogni anno, come accadeva d’altronde già ai tempi di Teseo e del Minotauro, un gruppo di giovani viene spedito in un’isola deserta per prendere parte ad un crudele gioco al massacro. Tutti contro tutti, o quasi, perché soltanto uno, alla fine, potrà sopravvivere.
I toni pulp e la violenza manifesta hanno, naturalmente, fatto gridare allo scandalo, ma gli ammiratori non sono mancati. Molti, infatti, scorgono nel libro una metafora – certo esasperata – della tormentata condizione di numerosi ragazzi d’oggi, abbandonati a se stessi. Altri, invece, preferiscono leggerlo sotto una prospettiva etico-psicologica, che spinge a confrontarsi con interrogativi angoscianti e dubbi difficili da dirimere: è bene allearsi col più forte o con chi si ama, anche se significa rischiare la propria vita? Quale amico sacriferesti per sopravvivere e perché? La risposta è in ciascuno di noi, nelle zone più oscure del nostro animo.


Takami Koushun, Battle Royale (trad. it. di  T. Faraci), Mondadori, 2009, pp. 663, 12€.

"Il suono della montagna" di Kawabata Yasunari

Il suono della montagna di Kawabata Yasunari è, a ragione, ritenuto uno dei massimi capolavori della narrativa giapponese del ‘900. Libro apparentemente semplice e ingenuo, nasconde in verità dentro di sé numerosi temi e ancora maggiori spunti di riflessione, accompagnandoli da un’acuta, ma mai invasiva capacità di approfondimento e di introspezione dei personaggi, delineati in modo realistico e, al tempo stesso, lirico.

La locandina del film (1954) tratto dal libro
La locandina del film (1954) tratto dal libro

La trama, estremamente lineare, può apparire ad un primo sguardo come il nudo racconto dell’invecchiamento ― pacato ma inevitabile ― del protagonista che, giorno dopo giorno, è costretto sempre più a osservare, quasi impotente, il silenzioso spettacolo del disfacimento della sua famiglia e di se stesso.
Le piccole amnesie quotidiane, gli improvvisi e malinconici risvegli nel cuore della notte, i comportamenti irresponsabili dei figli non fanno altro che rammentare a Shingo i suoi limiti, sempre più angusti. L’uomo, però, soffre soprattutto per la forzata e dolorosa rinuncia alla gioventù e alla bellezza, incarnate dalla lieve Kikuko, la nuora di Shingo, verso la quale egli prova un’intensa ed equivoca tenerezza.
Sotto i gesti e le parole, sempre commisurati a un forte senso dell’onore, vi è, in realtà, un sottobosco di rimpianti, di allusioni, di ricordi, che trovano spesso una metafora nel mondo naturale. Esemplare è il caso del bonsai d’acero, simbolo del primo e, forse unico, grande amore di Shingo, la sorella defunta della moglie: la pianta, infatti, ha custodito in sé la grazia sommessa della proprietaria. L’affezione dell’uomo per questo piccolo acero ha permesso a Kawabata di scrivere toccanti pagine sui bonsai, non ritenuti meri elementi decorativi, ma parte viva dell’esistenza. Vogliamo perciò concludere con questa semplice, ma veritiera riflessione: «[…] Quando si viene in possesso di un vaso di bonsai, uno si sente responsabile di non rovinare la forma della pianta, di non farla morire. È una buona medicina per chi è pigro.»

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