Sono ormai dieci anni che si tiene Più liberi più libri, fiera romana della piccola e media editoria, e sono ormai altrettanti che – con eroico spregio di qualsiasi appetibile ponte dell’Immacolata – dedico almeno un pomeriggio o una mattinata a ispezionarla sino a quando il mal di testa non ha la meglio (due lustri non sono bastati a convincere gli organizzatori a migliorare il sistema di aerazione).
E così quest’oggi, sfidando la pigrizia sabatina, vado. Dopo aver ritirato il tesserino per gli accreditati stampa, mi sento una piccola dea: non è per i pochi euro del biglietto risparmiati, ma per la soddisfazione di veder riconosciuto il mio (modesto) lavoro nel blog. Mi appunto sul petto il pass, nascondendolo con un briciolo di pudore sotto il cappotto; gli addetti del primo stand – forse ingannati dalla mia aria intellettuale ed estatica (dovuta in realtà al sonno) – mi riempiono di regali e inviti. Ma la pacchia finisce presto.
Ho una missione, io: adocchiare libri che, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con il Giappone. La maggior parte delle volte non è difficile riconoscerli: basta perlustrare tutte le copertine, sino a che lo sguardo non si imbatte in una geisha dalla posizione lasciva, in un samurai con la katana sguainata, in una porzione di sushi e così via. In realtà, il metodo è passibile d’errore, ma il più delle volte funziona, dal momento che, dopo tutto, l’immaginario nipponico cui attingono gran parte dei grafici e degli editori è piuttosto uniforme e uniformato.
Dopo aver schivato frotte di ragazzini in gita scolastica e lettori sull’orlo di una crisi di nervi (giuro di averne incrociato uno quasi con le lacrime agli occhi perché non trovava le scale per salire al primo piano), finisco nello stand di una nota casa editrice: adocchio un’opera sul Giappone, ma niente, le due libraie mi snobbano alla grande. E’ arrivata lei: la giornalista del bel mondo. Tailleur grigetto, parlantina affabile, snocciola una lista di riviste patinate per cui lavora e io rimango sorpresa: chi l’avrebbe mai detto che questi periodici, tra un servizio sugli zatteroni viola cangiante e un altro dedicato all’ultimo yacht di Briatore, potessero vantare una pagina culturale? Eppure, gli occhi sono tutti per lei. Disserta amabilmente su un manualone d’arte, citando in modo del tutto involontario il suo soggiorno oltreoceano.
Dopo aver appuntato il titolo del volume che m’interessa nel mio tristissimo quadernino arancione, passo avanti. Spilucco informazioni qua e là, faccio incetta di cataloghi, cerco anche di scambiare due parole con una signora estimatrice di haiku, che però si trincera dietro un cellulare. Con i librai/editori a volte non va meglio: una percentuale non esigua  è beatamente immersa nelle proprie faccende, al punto da non alzare neppure lo sguardo o degnandosi al più di lanciare un’occhiata torva. Va bene, siamo al quarto giorno di fiera e comprendo la stanchezza: ma un sorriso, un buon giorno…?
Intanto la mia ricerca di testi legati al Sol Levante continua, ma pare che quest’anno sia ben più di moda la Cina; cerco di convincermi che è soltanto per questa ragione che hanno tentato di rifilarmi un saggio ‘giapponese’ di Lao Tse.
Il peso della cultura, nel frattempo, si è fatto insostenibile: ho le braccia spezzate per le buste gremite di cataloghi e il quantitativo di ossigeno presente nell’aria mi pare insufficiente. Mi dirigo verso l’esterno, ma prima di guadagnare l’agognata porta ho un’ultima visione. L’inviata frou frou cinguetta allo stand dove ho appena rinunciato a malincuore (per mere ragioni economiche) a un bel saggio, e tiene fra le mani come se nulla fosse un sacchetto ben ricolmo delle copie omaggio gentilmente donatele da una delle mie case editrici preferite: nel giro di poche settimane – posso scommetterci quel che volete – i tomi andranno a prendere polvere in un magazzino o finiranno per riempire gli scaffali di una delle librerie di seconda mano da cui mi rifornisco.
Ho deciso: l’anno prossimo niente più jeans e maglioncino, ma completo nero, cellulare di ultima generazione e tacco dodici. Tanto, anche con le scarpe da ginnastica riesco comunque a perdere l’autobus.

Ps: borbottii a parte, più tardi pubblicherò un post dedicato ai libri scoperti oggi.

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