Categoria: novità in libreria

Il Giappone incontra la Cina: “Gli scrittori Meiji e la Cina” di Luca Milasi

Natsume Sōseki e Mori Ogai sono considerati due dei principali autori giapponesi del ‘900; non tutti però forse sanno che la loro opera è stata influenzata dal contatto con la Cina, come  spiega Luca Milasi in Gli scrittori Meiji e la Cina. Suggestioni letterarie nella produzione di Mori Ogai, Natsume Sōseki e Koda Rohan (edizioni Libreria universitaria, pp. 348, € 20). Questa la presentazione ufficiale:

La letteratura cinese ha esercitato notevoli suggestioni sulla produzione della generazione di scrittori giapponesi attivi nel periodo Meiji (1868-1912). L’ingresso nell’epoca moderna favorisce nei letterati giapponesi una conoscenza diretta della realtà della Cina contemporanea; allo stesso tempo, lo studio della cultura cinese è incentivato dal contatto con le teorie letterarie e scientifiche occidentali, che trasmettono agli autori giapponesi moderni un approccio filologico ai classici: nasce così la moderna sinologia giapponese, a tutt’oggi una delle scuole più puntuali e rigorose. L’influenza, sul piano letterario e linguistico, della cultura cinese sulle opere degli intellettuali giapponesi attivi a fine Ottocento è evidente in scritti autobiografici sugli anni della formazione, registrazioni di dibattiti letterari, stralci di romanzi e racconti originali qui presentati in traduzione per testimoniare la poliedricità dei narratori giapponesi moderni e la loro ammirazione per la letteratura cinese: un amore antico quanto la scoperta della scrittura stessa.

 

Anteprima di “High & dry”, il nuovo romanzo di Banana Yoshimoto

E’ finalmente giunto in libreria il nuovo atteso romanzo di Banana Yoshimoto – tradotto dalla bravissima Gala Maria Follaco- High & dry: primo amore (Feltrinelli, pp. 112, € 10; potete ora trovarlo qui su Amazon.it a 6,50), di cui parlerò presto più diffusamente. Per ora godetevi questa anteprima dal libro:

Nei primi giorni dell’autunno dei miei quattordici anni, come se presagissi qualcosa, il mondo mi sembrava risplendere di un colore ben preciso.
Sarà stato il marrone brillante delle castagne e il giallo vivo del loro interno, o l’odore di legno secco dei funghi maitake appena tirati fuori dal sacchetto di carta, o forse il verde e il giallo della zucca, la sua pienezza. Le foglie morte color dell’oro danzavano al soffio del vento nella luce anch’essa dorata, e l’aria era satura dell’odore che sprigionavano, un odore puro, come di qualcosa che è bruciato.
Tutto sembrava tempestato di grani d’oro, molto più del normale.
Quando la pioggia spazzava via la sporcizia dalla strada, l’aria tersa si sollevava come qualcosa di appena nato, e come un essere animato si metteva a vibrare. E tutt’intorno si diffondevano il profumo dell’osmanto, quel freddo che pizzica un po’ il naso, l’odore della terra bagnata. Che splendore, pensavo, sembra che il mondo intero renda omaggio all’autunno. Attraverso tutto ciò, la bellezza che custodivo dentro di me si spingeva con forza verso il mondo. Era una sensazione intensissima.

A quell’epoca ero sempre molto presa dalle mie riflessioni, che la maggior parte delle volte riguardavano il modo e i meccanismi in base ai quali funziona il mondo.

A causa di tutto questo riflettere, quando poi tornavo alla realtà capitava che mi trovassi davanti agli occhi cose strane.
Per esempio, una volta vidi un uomo sospeso sotto un viadotto, con un casco in testa. Vicino a lui non c’era nemmeno l’ombra di una motocicletta. Sorpresa, guardai meglio. Allora l’uomo sparì, e al suo posto c’erano dei mazzi di fiori, portati probabilmente da persone diverse, appoggiati al guardrail.
Ecco, è morto lì… mi dissi, e giunsi le mani con discrezione. Fu un pensiero spontaneo.
E così avevo imparato un’altra cosa.
Portare fiori a un morto non è una perdita di tempo. Quell’uomo stava lì apposta per reggerli. Sicuramente gli facevano bene, e gli arrivava anche il loro profumo.
Oppure, una volta che fissavo distrattamente la schiena di una compagna di classe, mi si materializzò davanti agli occhi la scena di suo padre e sua madre che litigavano. Non sapevo neanche che faccia avessero, eppure li vidi.
Mi chiesi se fosse vero e provai subito simpatia per quella ragazza, che non era nemmeno mia amica. Timidamente pensai: spero che tuo padre e tua madre facciano pace! E così lei, che non parlava quasi mai, durante la ricreazione mi fece un sorriso, e prima di tornare a casa agitò la mano e mi salutò con un “bye-bye!”.
Mi domandai cosa le fosse preso. Forse le persone sono capaci di comunicare anche così, senza che dal di fuori si veda nulla.
Allora è per questo che certe volte, dopo aver incontrato qualcuno apparentemente molto allegro, sentiamo un brivido in fondo al cuore… A volte scoprivo anche cose del genere. […]

Lo “Tsunami nuclare” vissuto in prima persona da Pio d’Emilia

Pochi giorni fa, sono state divulgate alcune immagini della ricostruzione giapponese post terremoto: le strade sono state in gran parte ripulite e rimesse in sesto, i detriti spazzati via, le abitazioni ristrutturate. La grande efficienza nipponica potrebbe dunque farci ingenuamente pensare che tutto stia faticosamente ritornando alla normalità e che anche per i giapponesi, in fondo, si sia trattato soltanto di una brutta parentesi.
A scuotere le nostre coscienze e a mostrarci la cruda realtà dei fatti interviene un piccolo libro, Tsunami nucleare (ed. Manifesto, pp. 128, € 10; ora in offerta su Amazon.it a 7) di Pio d’Emilia, esperto di Giappone e di sud-est asiatico, nonché collaboratore delle principale testate italiane. Il giornalista ha seguito il terremoto con le sue disastrose conseguenze atomiche direttamente dal fronte; queste pagine riuniscono insieme le sue testimonianze dal vivo, coprendo l’arco di un mese a partire dal terribile 11 marzo.
Il volume è arricchito da una testimonianza della scrittrice Taguchi Randy (“Ecco come è nata la scelta nucleare del Giappone”), nonché da una nota critica riguardante la copertura della notizia da parte della stampa internazionale, che forse certi giornalisti italiani – capaci di sfoggiare in occasione della tragedia nipponica tutti i luoghi comuni immaginabili e una bella dose di inventiva per aumentare il pathos – dovrebbero leggere con attenzione.

Il diritto contemporaneo giapponese: “Giappone: un diritto originale alla prova della globalizzazione” di G. F. Colombo

Tra le virtù del Giappone che senza dubbio colpiscono di più gli occidentali si annoverano il rigore e l’efficienza dimostrati in ogni ambito della società. Questa ferrea organizzazione è frutto di un lungo percorso sociale, politico e storico che interessa naturalmente anche l’ambito della giurisprudenza nipponica, poco nota qui in Italia, vista la tendenza nostrana al confronto con il diritto statunitense o d’area europea.
Per queste ragioni, desta senz’altro interesse la recente pubblicazione di Giappone: un diritto originale alla prova della globalizzazione (ed. Cafoscarina, pp. 176, € 14) di Giorgio Fabio Colombo, docente di diritto giapponese.
Questa la presentazione ufficiale dell’opera:

Nonostante le influenze tradizionali cinesi, ottocentesche europee e statunitensi nel secondo dopoguerra, il diritto giapponese mantiene alcuni tratti caratteristici. Il presente volume mira proprio a evidenziare alcune peculiarità di questo sistema. L’attenzione è dedicata esclusivamente al diritto contemporaneo, che rimane ancora oggi quello meno studiato in Italia. La scelta degli argomenti è volta a presentare al lettore italiano un bouquet di tematiche tratte dai vari settori del diritto (civile, penale, costituzionale, ecc.) di interesse attuale nel dibattito giuridico giapponese e che mostrano in qualche misura l’interazione fra diritto formale e diritto vivente, anche nell’ottica della circolazione dei modelli. I temi trattati sono stati selezionati specificamente al fine di evidenziare un contrasto, o una convivenza, fra istituti di origine straniera e il substrato (o forse il “neostrato”) locale. L’obiettivo è quello di dimostrare che il Giappone, al di là di influenze ed evoluzioni provenienti dall’esterno o addirittura eterodirette, rappresenta un sistema giuridico originale.

Alla scoperta de “Il Giappone moderno”

Per motivi di studio nelle prossime settimane sarò un po’ latitante; in ogni caso, cercherò come posso di tenere aggiornato il blog. Abbiate pazienza, se potete. 🙂
Vi segnalo oggi un volume appena uscito, Il Giappone moderno di Elise T. Kipton (Einaudi, pp. 462, € 30; su Amazon.it, cliccando qui, disponibile a 19,50 €), docente di cultura giapponese all’Università di Sydney; nei giorni scorsi ho scritto alla casa editrice per avere maggiori informazioni, ma non ho ricevuto risposta. Vi dovrete quindi purtroppo accontentare della presentazione ufficiale:

Questo libro propone al lettore una sintetica e originale introduzione alla storia sociale, culturale e politica del Giappone moderno. Coprendo un arco temporale che va dal periodo Tokugawa a oggi, l’autrice ricostruisce con stile sempre avvincente e ricco di partecipazione umana l’evoluzione di un paese e i violenti processi di modernizzazione che hanno condotto il Giappone ad affermarsi come una delle massime potenze economiche e politiche dell’età contemporanea. Rivolto sia al pubblico generale dei lettori di storia sia a quello degli studenti di cultura orientale, il libro intreccia insieme gli sviluppi sociali e politici del Giappone alternando la costruzione degli scenari d’insieme ad analisi più particolari, ed offrendo spaccati di vita quotidiana che gettano luce sulle fondamentali e spesso traumatiche trasformazioni storiche. L’attenzione costante per le problematiche di genere, delle minoranze e della cultura popolare costituisce una delle caratteristiche principali del libro, concorrendo efficacemente a tratteggiare in tutta la sua complessità e particolarità la società giapponese moderna e contemporanea.

Brividi dal Giappone: “La confessione” di Kanae Minato

Dal Giappone è arrivato un nuovo, agghiacciante thriller (gentilemente segnalatomi da Barbara, che ringrazio), tanto più inquietante dal momento che vede vittima una bambina uccisa da due alunni della madre, insegnante di scuola media: si tratta de La confessione di Kanae Minato (Giano, pp. 288, € 17; ora qui disponibile a 12,25 su Amazon.it ), da cui è stato ricavato il film Confessions (Kokuhaku) del regista Tetsuya Nakashima, candidato agli Oscar come miglior film straniero (sotto potete vedere il trailer).
Per saperne di più, ecco la presentazione dell’editore:

La rivelazione è di quelle agghiaccianti, soprattutto se a farla è una giovane professoressa che ha da poco perso la sua bambina e ad ascoltarla sono i suoi alunni, la classe alla quale Moriguchi Yuko rivolge un discorso di addio: «La mia Manami non è morta accidentalmente; è stata uccisa da qualcuno di voi».
La figlia dell’insegnante di scienze aveva quattro anni quando, un mese prima della fine dell’anno scolastico alla scuola media S, in una cittadina del Giappone, è stata trovata morta nella piscina dell’istituto. A causa di quello che tutti hanno ritenuto un incidente, la madre ha deciso di abbandonare per sempre il suo lavoro. Ma al termine dell’ultimo giorno di scuola, alla classe che ascolta immobile giunge il glaciale annuncio: lí nella I B, presenti in aula, ci sono due assassini.
Freddamente, quasi scientificamente definendoli A e B, la professoressa rende identificabili ai compagni i due ragazzi e rivela la sua scoperta di come essi abbiano premeditato e compiuto l’omicidio di una bambina indifesa. Inoltre, con altrettanta freddezza, l’insegnante comunica la sua decisione: non ha intenzione di denunciare i due assassini alla polizia. Ha invece già messo in atto una personale vendetta, atroce e immediata ma escogitata in modo che le devastanti conseguenze si manifestino lentamente, affinché i giovani criminali abbiano il tempo di pentirsi e trascorrere il resto dei loro giorni sopportando il fardello della colpa di cui si sono macchiati.
Nelle settimane successive, attraverso un diario, un blog, una lettera, appare in tutta la sua spaventosa portata il perché del gesto compiuto da Nao e Shūya, due adolescenti diversi tra loro ma entrambi apparentemente senza problemi. Dietro lo squilibrio psichico e morale dei due ragazzi, emergono le responsabilità delle rispettive famiglie, tra una madre iperprotettiva e una assente, e di una società dove sempre piú il disagio giovanile sfocia in efferati delitti. E ancora, violente e tragiche, affiorano le conseguenze della vendetta subita, non solo e non tanto sul loro fisico, ma soprattutto sul loro già instabile equilibrio interiore. Fino all’erompere di un’imprevedibile e sconvolgente conclusione.
Come un Delitto e castigo contemporaneo, Confessione svela il nichilismo degli adolescenti perduti del Giappone d’oggi, una società nella quale la capacità di agire con distacco, l’autocontrollo sulle proprie emozioni e reazioni, la lucidità nella follia rendono ancor piú inquietante e apocalittico lo smarrimento delle giovani generazioni.

Gothic lolita a Roma: presentazione del libro più stand

Durante un viaggio in Giappone, il turista medio è solitamente colpito dall’abbigliamento dei giovani; soprattutto nelle grandi città è possibile imbattersi, con una certa facilità, in ragazzi dall’aspetto alquanto curioso (capelli tinti e/o cotonati, accessori bizzarri, ardui accostamenti di colore…) e adolescenti dai vestiti pieni di merletti o dall’abbronzatura improbabile. Una delle tendenze che di certo ha riscosso – e riscuote tuttora – più successo è senza dubbio quella che va sotto il nome di “gothic lolita“: le ragazze che seguono questo stile si ispirano all’abbigliamento di epoca vittoriana, con contaminazioni goth (in Italia, chiamate talvolta dark).
Per saperne di più, vi consiglio di prendere parte, sabato 28 maggio, dalle ore 18, presso Doozo. Art book & sushi (Via Palermo 51-53, Roma) alla presentazione del volume Gothic Lolita di Valentina Testa (Edizioni Tunué; disponibile qui a 8,30 €; per un’anteprima del libro, clicca qui), introdotto dall’autrice stessa; e per chi avesse voglia di darsi allo shopping, ricordo anche che sarà presente uno stand di abbigliamento e accessori in stile gothic lolita.


Voci da occidente: “Mizumono” di Francesca Scotti

Tutti coloro che si cimentano nello scrivere del Giappone (così come di qualunque paese lontano) rischiano spesso di infrangere la sottile soglia che distingue la fascinazione per l’Altro da un esotismo autoreferenziale; per questa ragione, leggendo alcuni testi – seppur piacevoli o fondati su ottime intenzioni – si ha purtroppo l’impressione che il punto di registrazione della realtà nipponica (sociale, storica, percettiva, etc.) sia inevitabilmente esterno a essa e permeabile a infiltrazioni estetizzanti o esterofile, nonché a stereotipi e pregiudizi.
Al contrario, tutta la raccolta Mizumono di Francesca Scotti (ed. Il Robot adorabile, arricchita da una bellissima tempera di Adalberto Borioli) mi è parsa bisbigliata da un angolo in penombra dello stesso Giappone, un cantuccio intimo e silenzioso, in comunicazione però con un universo sottile e poetico, a tratti surreale, mai sconfinante nell’onirismo solipsistico.
Ciascuno dei tre brevissimi racconti che compongono l’opera (consultabili qui, nel sito del nuovo libro dell’autrice, Qualcosa di simile) getta uno sguardo su un (non) luogo diverso in cui scorre l’esistenza lieve di un microcosmo senza tempo, scandita da un linguaggio minimo ed esatto, capace di far affiorare con naturalezza le parole dalla superficie della pagina.
La continuità fra brano e titolo fa sì che la narrazione scorra via in un respiro, fondendo insieme la dimensione testuale con quella extratestuale in cui si muove il lettore, letteralmente imprigionato nelle maglie della storia. E così ci smarriamo anche noi nella folla festante di un matsuri, tra incensi e fuochi d’artificio, spettatori impotenti di una piccola tragedia; i nostri piedi si bagnano nelle acque grigie e calde d’un villaggio di pescatori di granchi, mentre i nostri passi già si perdono in un quartiere dimenticato d’una città qualunque, per attraversare l’eternità con un Daruma.

Tutti coloro che si cimentano nello scrivere del Giappone (così come di qualunque paese lontano) rischiano spesso di infrangere la sottile soglia che distingue la fascinazione per l’Altro da un esotismo autoreferenziale; per questa ragione, leggendo alcuni testi – seppur piacevoli o fondati su ottime intenzioni – si ha purtroppo l’impressione che il punto di registrazione della realtà nipponica (sociale, storica, percettiva, etc.) sia inevitabilmente esterno a essa e permeabile a infiltrazioni estetizzanti o esterofile, nonché a stereotipi e pregiudizi.
Al contrario, tutta la raccolta
Mizumono di Francesca Scotti (ed. Il Robot adorabile, arricchita da una bellissima tempera di Adalberto Borioli) mi è parsa bisbigliata da un angolo in penombra dello stesso Giappone, un cantuccio intimo e silenzioso, in comunicazione però con un universo sottile e poetico, a tratti surreale, mai sconfinante nell’onirismo solipsistico.
Ciascuno dei tre brevissimi racconti che compongono l’opera (consultabili qui, nel sito del nuovo libro dell’autrice,
Qualcosa di simile) getta uno sguardo su un (non) luogo diverso in cui scorre l’esistenza lieve di un microcosmo senza tempo, scandita da un linguaggio minimo ed esatto, capace di far affiorare con naturalezza le parole dalla superficie della pagina.
La continuità fra brano e titolo fa sì che la narrazione scorra via in un respiro, fondendo insieme la dimensione testuale con quella extratestuale in cui si muove il lettore, letteralmente imprigionato nelle maglie della storia. E così ci smarriamo anche noi nella folla festante di un matsuri, tra incensi e fuochi d’artificio, spettatori impotenti di una piccola tragedia; i nostri piedi si bagnano nel
le acque grigie e calde d’un villaggio di pescatori di granchi, mentre i nostri passi già si perdono in un quartiere dimenticato d’una città qualunque, per attraversare l’eternità con un Daruma.

Il monaco Dōgen e l’essenza del buddhismo zen

In occidente si sente sempre più spesso attribuire l’etichetta “zen” a qualunque prodotto proveniente dal Giappone, oppure a qualsiasi oggetto dall’aspetto semplice ed essenziale: e così abbiamo la lampada zen, il calorifero zen (giuro che esiste) e così via, sino a sfiorare il grottesco.
Anche nel settore dell’editoria non si è da meno; praticamente in ogni libreria è possibile trovare almeno un libriccino dedicato al buddhismo o al suo fondatore, di qualità più o meno discutibile.

Mimesis, casa editrice con una buona offerta di testi filosofici (come, per esempio, Filosofia nei manga, di cui ho parlato qui), ha recentemente dato alle stampe L’essenza del buddhismo zen. Dōgen, realista mistico, del professore universitario Hee-Jin Kim (pp. 300, € 22). Qui sotto potete leggere la presentazione del volume; per saperne di più sul monaco Dōgen, suggerisco anche questo podcast  (ultimo link della serie), curato da Massimo Raveri.

Dōgen (1200-1253), fondatore della scuola Zen nell’ambito del Buddhismo giapponese, è uno dei più importanti pensatori religiosi di ogni tempo. Oltre ad aver riformato la vita del Buddhismo nel Giappone del XIII secolo, il suo cammino spirituale e la profondità dei suoi scritti costituiscono anche la base per lo sviluppo della filosofia giapponese contemporanea. Questa monografia, divenuta ormai un classico e tradotta per la prima volta in italiano, si offre come un’ampia introduzione alla sua vita e al suo insegnamento. Partendo da un’accurata descrizione della parabola esistenziale del monaco, dagli anni della prima giovinezza al grande viaggio in Cina del 1227, fino alla fondazione del monastero Eiheiji in Giappone e alla diffusione del suo messaggio, lo studioso coreano Kim Hee-Jin passa in rassegna i principali contenuti della sua proposta esistenziale, enucleando i contenuti religiosi e quelli più specificamente teoretici. Da questa lettura si ricaverà così non solo una più approfondita conoscenza di uno dei massimi maestri dello Zen di ogni tempo, ma anche la consapevolezza che la radicalità del pensiero umano e della sua vocazione filosofica non conosce confini geografici o culturali.

“Musi gialli”, un libro contro gli stereotipi sugli asiatici

In Giappone tutti lavorano come pazzi, le ragazze vanno sempre in giro con l’uniforme scolastica da marinaretta e i giovani sono appassionati di internet e manga. La lista degli stereotipi e delle false credenze sul Sol Levante è lunga, e ancora oggi – persino quando si parla del terremoto di marzo o della centrale di Fukushima – molti ne attingono a piene mani.
Ci ha pensato lo scrittore e giornalista Fabio Giovannini a mostrare le radici di questi falsi luoghi comuni nel suo nuovo libro, Musi gialli. Cinesi, giapponesi, coreani, vietnamiti e cambogiani: i nuovi mostri del nostro immaginario (Stampa Alternativa, pp. 176, € 14; in offerta su Amazon.it a 12,40 € cliccando qui). Questa la presentazione del volume:

Il testo analizza il pregiudizio che tuttora permane verso i “musi gialli” (come venivano chiamati gli orientali in tante pellicole hollywoodiane di guerra, dove John Wayne faceva strage di “formiche” giapponesi o coreane), e lo sviluppo di questo specifico razzismo nel nostro immaginario. In particolare nei romanzi, nel cinema e nel fumetto, da Turandot al Grand Guignol, dove i cinesi sono associati a torture ed efferatezze, da Ming, il nemico giurato di Flash Gordon dalla pelle gialla, ai romanzi su Fu Manchu, “il diabolico cinese” che anticipa il ritratto del cattivo per eccellenza dei nostri anni, Bin Laden. Un pregiudizio che si è alimentato con Pearl Harbor e la Seconda guerra mondiale e poi con i conflitti in Corea,Vietnam e Cambogia, passando attraverso il terrore occidentale per le orde rosse del presidente Mao. Tutta la cultura orientale è stata considerata una minaccia,come dimostrano le polemiche sull’iperviolenza dei film cinesi di kung fu o sui cartoni animati,i fumetti e i giochi elettronici giapponesi che insidierebbero l’infanzia occidentale. Il libro è accompagnato da numerose illustrazioni (foto di film, immagini di fumetti,cartoline razziste del passato).
L’esplosione di interesse per il “fenomeno Cina” non ha ancora suscitato una riflessione sui nostri pregiudizi verso gli orientali. Questo libro offre per la prima volta una panoramica sui razzismi e i luoghi comuni dell’immaginario occidentale e si rivolge a un vasto pubblico di lettori attenti alle dinamiche sociali del nostro tempo o interessati alle moderne forme di comunicazione (narrativa popolare,cinema,fumetto,ecc.).

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