Categoria: romanzi

#20peril2020: “Il paese dei suicidi” di Yū Miri

Yu Miri - Paese dei suicidi

“La vita [è] piena di buchi e crepe”: è questo che Mone pensa. Adolescente, sola seppur circondata da amiche e parenti, percepisce in modo confuso ma intenso il carattere disfunzionale di ciò che la circonda. Le relazioni con le coetanee sono superficiali, quelle con la famiglia basate su bugie e omissioni reciproche; il sistema scolastico, con lo spettro del fallimento sempre in agguato, schiaccia la ragazza; la situazione post-Fukushima, con la società e la politica lacerate, la disorienta.

Mone è in dubbio se continuare a vivere – o, perlomeno, se vivere un’esistenza scandita dai litigi dei genitori e dalle uscite con compagne che, in fondo, non l’apprezzano -, ma non sa come, né perché. E così si avvicina al forum virtuale Ricette per principianti, in cui un gruppo di sconosciuti progetta assieme la morte. Quel che sogna la teenager è, infatti, esser

Senza preoccupazioni.
Poter parlare senza preoccupazioni.
Poter andare senza preoccupazioni.
Poter morire senza preoccupazioni.

Ne Il paese dei suicidi (a cura di Laura Solimando, Atmosphere libri, 2020), uscito nel 2011, all’indomani del terremoto del Tōhoku e dell’incidente di Fukushima, attraverso la quotidianeità di Mone, Yū Miri ci offre il ritratto di un Giappone attraversato da tensioni e contraddizioni, paure e incomprensioni, tanto a livello dei singoli che di collettività.

Tutti pensavano che fosse stato commesso un errore, ma chi era il colpevole?
Il Giappone?
Il ministero dell’Economia?
L’Agenzia della sicurezza industriale e nucleare?
Il ministero dell’Educazione?
La TEPCO?
Il primo ministro?
Il segretario del gabinetto?
Il governatore della prefettura?
Il sindaco?
I cittadini della prefettura, i cittadini della città?
Gli scienziati?
I medici?
I fisici?
I mass media?
Avevano sbagliato tutti?
Tutti?
Ma tutti chi?
Chi aveva sbagliato?
Chi, cosa, dove e in che modo aveva sbagliato?
Era giusto dire che tutti avevano sbagliato, ma allo stesso tempo non lo era. Gli errori non si potevano correggere se le persone accusate non ammettevano di aver sbagliato. Gli errori rimanevano tali, venivano solo ripiegati e rimessi al loro posto.

La stessa Tōkyō in cui si svolgono le vicende si mostra nella sua ambiguità: da un lato è la città dal passato pregno di tradizioni e leggende, dall’altro una giostra vorticosa che ogni giorno risucchia milioni di individui. Yū Miri non ci offre àncore di salvezza: come Mone, lettrici e lettori sono trascinati in una realtà che non offre appigli né certezze.

“L’isola dei senza memoria” di Ogawa Yōko

Questa è una pagina fitta di caratteri. Quello che avete davanti agli occhi uno schermo. Sul vostro capo, protetto o meno da un tetto, il cielo. Semplici, consueti elementi della quotidianeità che abitiamo ogni giorno.

Ecco: ora immaginate che, improvvisamente, qualcosa a cui tenete – un bracciale, un libro, un fiore – svanisca, e con esso tutti gli oggetti della stessa categoria. Eppure, a parte una fitta di nostalgia o di rimpianti all’inizio, nulla o quasi vi resterebbe della perdita.

«Peccato, però, che la gente dell’isola non sappia custodire per sempre nel proprio cuore le cose belle: finché vivono qui, sono destinati a perderle tutte, una dopo l’altra. È probabile che arrivi presto anche per te il momento di perdere qualcosa per la prima volta.»

«E… fa paura?» le chiesi preoccupata una volta.

«No, stai tranquilla: non è né doloroso né penoso. Ti sveglierai nel letto un giorno e sarà tutto finito, prima che te ne accorga. Prova a restare in ascolto con gli occhi chiusi e a sentire il flusso dell’aria mattutina: avvertirai qualcosa di diverso dal giorno precedente. Così anche tu capirai che cosa hai perso, che cosa è scomparso dall’isola.»

Questo è quanto, settimana dopo settimana, provano i personaggi de L’isola dei senza memoria di Ogawa Yōko (trad. Laura Testaverde, Il Saggiatore, 2018, pp. 250, € 24). Ben prima dello sviluppo della letteratura fantascientifica e distopica femminile a cui stiamo assistendo negli ultimi anni grazie al Racconto dell’ancella di Margaret Atwood (l’opera di Ogawa, infatti, risale al 1994), la scrittrice giapponese ha dato infatti vita a una storia senza tempo e senza luogo (sebbene molti elementi sembrino rimandare al Giappone) pervasa di iquietudine e tensioni.

In ‘un’isola senza nome,  inspiegabilmente, frammenti di realtà scompaiono da un istante all’altro dall’orizzonte dei residenti per ragioni sconosciute, ma sempre sotto l’occhio attento di un corpo di polizia che nulla si lascia sfuggire e nulla perdona. I principali ricercati sono, dunque, coloro che non hanno perso l’uso della memoria o che si oppongono a questo: tenere traccia del passato e di ciò che segna le nostre vite, fossero anche delle cose di poco valore, significa – ci lascia intendere Ogawa – custodire i confini del nostro agire, alimentare un rapporto empatico con quel che ci circonda, stabilire rapporti profondi e complessi con le persone che abbiamo vicino.

Non a caso, la protagonista del libro è una romanziera solitaria e anonima che fa della scrittura la sua àncora di salvezza e la sua arma. Ancora una volta (basti pensare a La formula del professore), Ogawa riflette così sulla relazione fra ricordo, cancellazione, parola, libertà, mostrandoci come il rovescio della realtà abituale sia pericolosamente attraversato da inquietudini, minacce, ombre.

* * *

Per approfondire: The Guardian e The New York Times hanno dedicato due belle recensioni al libro, che ne evidenziano alcuni possibili legami con la storia internazionale.

“Blu quasi trasparente” di Murakami Ryū

Daikichi Amano doll

Daikichi Amano doll

È facile – quasi scontato – dire cosa non sia Blu quasi trasparente di Murakami Ryū, finalmente ripubblicato in Italia nella traduzione di Bruno Forzan (Atmospherelibri, 2020, pp. 168m € 17): un’opera tradizionale per forma e contenuti, una storia d’amore convenzionale, una parabola edificante con il lieto fine. Più difficile, allora, definire la sua sostanza; due soltanto sono gli esempi – forse calzanti, forse no – che mi vengono in mente.

Il primo: Un mondo innocente di Sakurai Ami (trad. di S. Di Natale, Newton & Compton, 2012, pp. 154), un romanzo gonfio di eros, trasgressione, forze centrifughe che disorientano il lettore. Il secondo: la fotografia di Daikichi Amano [non aprite il link se siete facilmente impressionabili], un mondo senza coordinate temporali e spaziali popolato di donne le cui epidermidi e orifizi sono lambiti, attraversati, stretti, penetrati da insetti, pesci, serpenti, rane, polpi e altri animali.

Come Sakurai e Daikichi, in Blu quasi trmurakami ryu blu quasi trasparenteasparente (1976) Murakami racconta la dissipazione, la sensualità brutale, il disinteresse per ogni tipo di morale. E, come loro, lo scrittore, per presentarci i giorni dissoluti e dissacranti di un gruppo di giovani giapponesi, utilizza soprattutto (ma non solo) i corpi femminili, che trasforma in un campo di esplorazione – quasi un laboratorio vivo, di carne – in cui sperimentare forme mortificanti e violente di sesso, feticismo, droghe e rapporti umani disturbanti.

A casa di Oscar, in un braciere da incenso al centro della stanza sta bruciando dell’hashish, almeno quanto un pugno, e il fumo che se ne diffonde ti entra nel petto a ogni respiro, che tu lo voglia o no. Non passano nemmeno trenta secondi che sei completamente fuso. Sprofondo in un’allucinazione: è come se dai pori della pelle di tutto il corpo mi sgusciassero fuori le viscere, e mi penetrassero dentro il sudore e i respiri degli altri.

Soprattutto la parte inferiore del corpo è irritata come se fosse immersa in un denso pantano, fremo dal desiderio di prendere in bocca organi umani e suggere liquidi corporali. Mentre mangiavamo la frutta disposta sui piatti e bevevamo vini, il calore ha preso ad avvolgere l’intera stanza. Vorrei che qualcuno mi strappasse la pelle di dosso. Sento di voler far entrare dentro di me i corpi lucidi e oleosi dei neri e scuoterli freneticamente. (p. 43)

Tatto, gusto, olfatto, udito, vista: tutti i sensi del gruppo di amici e amiche protagonisti del romanzo sono costantemente bersaglio di desideri, richieste, gesti osceni, appetiti. Quegli stessi sensi rispondono nella maniera più naturale: le pagine sono imbrattate di secrezioni corporee, sangue, urla lancinanti, lacrime. È questo il modo in cui Murakami ha deciso di raccontare la sua storia e mostrare quanto l’abbattimento di ogni limite sia così sorprendentemente facile: attraverso un romanzo – anziché di formazione – di compiaciuta, gratuita, potentissima distruzione.* * *
Fotografia: Daikichi Amano.
Per approfondire: Blu quasi trasparente presentato da Paola Scrolavezza per NipPop.

“Finché il caffè è caldo” di Toshikazu Kawaguchi

​Tutti quanti – specie in alcuni momenti della vita – avremmo desiderato più coraggio, più forza, più tempo per fare una certa scelta, non perdere una persona cara, realizzare un progetto.

Fra le pagine di Finché il caffè è caldo di Toshikazu Kawaguchi (trad. di C. Marseguerra, Garzanti, 2020) si materializza un luogo in cui è possibile cercare di aggiustare il corso degli eventi. Ma, come certe opportunità che l’esistenza ci riserba, questo posto non dà nell’occhio – è un semplice locale – e richiede che siano seguite delle regol fondamentali:

1. Sei in una caffetteria speciale. C’è un unico tavolino e aspetta solo te.
2. Siediti e attendi che il caffè ti venga servito.
3. Tieniti pronto a rivivere un momento importante della tua vita.
4. Mentre lo fai ricordati di gustare il caffè a piccoli sorsi.
5. Non dimenticarti la regola fondamentale: non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.

Attraverso le storie di Fumiko, Hirai, Kotake, Kei e i loro diversi caratteri il lettore è spinto a riflettere sul valore del momento presente e degli affetti. Finché il caffè è caldo è, insomma, un romanzo leggero e piacevole, ma che offre tanti spunti di riflessione per affontare la quotidianità e, specie questi giorni,  con un pizzico in più di speranza e voglia di fare.

“La gatta, Shōzō e le due donne” di Tanizaki Jun’ichirō

la gatta shozo e le due donne

la gatta shozo e le due donneAssieme all’anonimo protagonista di Io sono un gatto di Natsume Sōseki, la felina di “La gatta, Shōzō e le due donne” di Tanizaki Jun’ichirō (trad. di Gianluca Coci, Neri Pozza, 2020, pp. 126, € 17) ha un posto tutto suo nel mio personale bestiario giapponese.

Nel breve romanzo, l’ingenuo e infantile Shōzo ripudia  la moglie Shinako per sposare la  ricca e volubile cugina Fukuko. Shinako, non rassegnata, scrive alla rivale per chiederle l’affidamento di Lily, la gatta tanto amata dal marito al punto da suscitare gelosie e rancori in famiglia.  La donna riuscirà nell’impresa? E come reagirà Shōzō all’idea di privarsi dell’unico essere che sembra rispettarlo e comprenderlo?

L’opera è stata, per me, una piacevole sorpresa, soprattutto per quanto riguarda  le fedelissime descrizioni del comportamento della gatta e l’organizzazione della materia narrativa, dal momento che pressoché in ogni capitolo Tanizaki si immerge con abilità in un diverso personaggio, rivelandone i pensieri e le segrete intenzioni. Come per paradosso, i difetti di solito attribuiti ai felini vengono proiettati sugli umani, che agiscono così sulla spinta dell’egoismo, dell’interesse e della scaltrezza, ingannandosi l’un l’altro; soltanto Lily sembra conoscere davvero il significato della riconoscenza e dell’affetto.

#20peril2020: “Namamiko. L’inganno delle sciamane” di Enchi Fumiko

Enchi Namamiko

Enchi NamamikoTitolo: Namamiko. L’inganno delle sciamane (trad. di Paola Scrolavezza, Safarà Editore, 2019, pp. 236, € 18,50; prefazione di Giorgio Amitrano; postfazione di Daniela Moro)

Autrice: Enchi Fumiko

Cos’è? In questo romanzo originariamente pubblicato nel 1965 – oltre ad amore, soprannaturale, richiami alla storia giapponese -, c’è molto di più di quel che sembri. Innanzitutto, è una personale, ma documentata, rielaborazione dell’opera epica Eiga monogatari, di epoca Heian (794–1185), rivisitato con un punto di vista che dà particolare rilievo alle donne; non bisogna infatti dimenticare che Enchi fu un’appassionata e attenta lettrice dei testi classici della tradizione giapponese. Questo amore si salda strettamente alle due storie presentate nel Prologo, vale a dire il ricordo del padre della scrittrice stessa (anche lui studioso) e il racconto dei legami – visibili e invisibili – con Basil Hall Chamberlain, celebre yamatologo. Parte della sua corposa biblioteca, per una serie di casi, finì per un certo lasso di tempo proprio a casa della futura autrice, stimolandola così alla lettura dei classici, compreso il Namamiko monogatari, il racconto della vita di una dama di corte, che segnò a tal punto Enchi da spingerla, molti anni dopo, a dedicarle un volume – quello, appunto, di cui qui si parla.

Una frase d’impatto: “Per me bambina quei caratteri erano praticamente illeggibili, li fissavo con la tipica curiosità infantile, uno strano miscuglio di repulsione e reverenza, la stessa che avrei provato guardando un baule
di vecchi indumenti. Ma dall’estate fino all’autunno, quando venivano esposti all’aria, gironzolavo fra i volumi sparpagliati a coprire interamente i tatami, con le pagine aperte.”

Consigliato a chi…: è affascinato dalle storie dal sapore antico, dai racconti di famiglia, dalle sterminate biblioteche.

“Come un sushi fuor d’acqua” di Fabiola Palmeri

Palmeri-Come-un-sushi-fuor-dacquaÈ un Giappone che ammalia da lontano, spaventa, stupisce; abbraccia con calore, spalanca lo sguardo, addomestica le abitudini; penetra sotto pelle, sconquassa le esistenze e si fa, infine, destino.

Questo è l’orizzonte di Come un sushi fuor d’acqua (Editore La Corte, 2019, pp. 268, € 17,90), romanzo appena pubblicato da Fabiola Palmeri (già nota agli amanti della cultura nipponica per i suoi articoli apparsi su Repubblica e in NippONews) in cui la scrittrice intreccia due storie di donne indissolubilmente legate al paese asiatico. Da un lato, abbiamo Bianca, giovane ed entusiasta giornalista in trasferta a Tōkyō fra gli anni Ottanta e Novanta, desiderosa di “[educarsi] alla giapponesità” (p. 67)”; dall’altro,  Celeste, nata nella capitale nipponica, ma adolescente cittadina del mondo del terzo millennio per vocazione e vicende familiari.

Ciascuna delle due ha un rapporto personale e articolato col Giappone, marcato da luci e ombre: se per la ragazza è uno dei pezzi che compongono la sua identità, col passare degli anni per la professionista questo diventa terreno per coltivare le proprie ambizioni, fucina di occasioni e incontri inaspettati (e insperati), e, soprattutto, casa.

Per queste ragioni, Tōkyō, in particolare, è molto più di una città: per Celeste è culla, rifugio in cui ritrovare un padre, amici affettuosi, luoghi d’infanzia, mentre per Bianca diviene presto “a tutti gli effetti la sua migliore amica” (p. 175) – amica che chiede, in cambio della sua generosità, volontà di lasciarsi conquistare dai suoi ritmi, abnegazione e resistenza alla solitudine (“Tokyo [pullula] di cuori emarginati, come isole nell’isola”, p. 176).

L’opera è, infatti, (anche) una lunga dichiarazione d’amore per la capitale, per la sua personalità contraddittoria, gli ostacoli e le sorprese che riserva a chi sa esplorarla con generosa tenacia:

[….] Tokyo, quel suo essere intrinsecamente divisa fra l’infantile e il triste, fra il ludico e l’eccessivo. La Tokyo che mi affascina, che sento mia, che mi appartiene come io appartengo a lei.” (p. 64)

Novità dal e sul Giappone in libreria (gennaio-giugno 2019)

Come ogni anno, vi propongo una lista di nuove pubblicazioni, aggiornate periodicamente; cliccando su ogni voce, sarà possibile leggere la scheda del libro.

Vi sarò grata se vorrete aggiungere nei commenti suggerimenti. Grazie e buona lettura!

*Narrativa*

*Poesia*

*Saggistica*

“Lettere d’autunno” di Yumoto Kazumi

yumoto kazumi lettere d'autunnoUna giornata scialba come tante altre, interrotta dal trillo del telefono: è così che, in pochi minuti, Chiaki scopre che la signora Yanagi, sua vecchia padrona di casa nei brevi anni trascorsi da bambina alla Residenza del Pioppo, è morta.

Sola e solitaria, da poco licenziatasi dall’ospedale in cui lavorava come infermiera, Chiaki d’istinto parte per andare a porgere il suo ultimo saluto alla conoscente, ma il viaggio, in realtà, è ben più lungo e complesso: ripercorre, infatti, nella memoria il lutto per il padre scomparso improvvisamente quando lei era ancora piccina, le angosce e le ossessioni che la attanagliavano, lo spigoloso silenzio della madre. E rivive, con tutto ciò, anche l’incontro/scontro con la signora Yanagi e i suoi mille difetti, le ore trascorse assieme e la promessa dell’anziana di portare con sé nell’aldilà le lettere che Chiaki scriveva al padre. D’altronde, nel quartiere, la bimba non era l’unica a riporre fiducia nelle capacità di messaggera della donna, al punto che molti le avevano affidato gli ultimi messaggi per i propri defunti.

Nel romanzo per ragazze e ragazzi Lettere d’autunno [Popura no Aki](trad. di Maria Elena Tisi, Atmosphere libri, 2018, pp. 150, € 15), Yumoto Kazumi (già autrice del pluripremiato Amici [Natsu no niwa]) affronta in più occasioni e da più prospettive il tema della morte e della sua accettazione, con garbo e senza mai falsi pudori. Esse fanno parte della vita e dello scandire delle sue stagioni, tanto che, come evidenziato nella curata postfazione della traduttrice, trovano sempre più spesso spazio nei libri per giovani lettori.

D’altronde, in una nota che accompagna l’opera, nel tratteggiare le figure della sua bisnonna e della sua nonna materne, la stessa autrice sottolinea con tenerezza il naturale fluire della vita, malgrado tutto e malgrado tutti: più che lasciarci sovrastare dalla sofferenza per la dipartita di chi amiamo, dovremmo custodirne la memoria dei gesti, delle parole, delle speranze.

“Nipponia Nippon” di Abe Kazushige

nippon nipponia Kazushige AbeLo ricordo di poche parole, serio, coi capelli di un bianco abbagliante; non senza ragione, per molti anni era stato uno dei più rispettabili e rispettati conoscenti della mia famiglia. Così, quando mi fu raccontato che, dopo la morte improvvisa dell’unico figlio, dopo aver meticolosamente tappezzato ogni centimetro di carta, aveva trasformato assieme alla moglie il loro appartamento in un’enorme voliera per uccelli, quasi non volli crederci. Un uomo come lui, tutto d’un pezzo – mi chiedevo – poteva davvero esser diventato schiavo di una simile passione? O, al contrario, l’aveva realizzata al massimo grado?

Questa storia mi è tornata alla mente leggendo Nipponia Nippon di Kazushige Abe (trad. di Gianluca Coci, Edizioni E/O, 2018, pp. 160, € 15); anche il protagonista del romanzo, Haruo, condivide, infatti, una simile idea fissa. Eppure, è solo un ragazzo, un liceale come tanti – non va d’accordo coi genitori, è innamorato di una compagna che non lo ricambia, trascorre ore e ore a navigare su internet. Una serie di incomprensioni lo spingono, però, a chiudersi in se stesso e nel suo mondo: l’unica affinità che percepisce davvero è quella con una rarissima varietà di uccelli, i Nipponia Nippon, di cui sono rimasti pochissimi esemplari custoditi in una riserva naturale.

Era felice come non lo era mai stato, perché sapeva che non c’era niente di più terrificante che dover ammettere di vivere una vita senza senso. (p. 30)

L’interesse dell’adolescente sfocia, in breve tempo, in ossessione e paranoia: sente, infatti, di non poter rimanere impotente di fronte ai soprusi a cui sono sottoposti gli amati animali e decide, perciò, di reagire alla sua maniera.

Alternando diverse modalità di scrittura (pagine web, definizioni del dizionario, report, ecc.) e ricorrendo a uno stile asciutto ma efficace, Kazushige Abe – ritenuto uno dei più rappresentativi scrittori giapponesi contemporanei – ci conduce nella mente di Haruo e rivela, pezzo dopo pezzo, il suo passato, i suoi desideri, i suoi impulsi più reconditi. Sebbene alcuni elementi del romanzo possano apparire in parte deboli o forzati, tanto a livello contenutistico quanto di trama (si vedano, per esempio, i genitori del ragazzo, che hanno un profilo e un comportamento abbastanza stereotipato), la narrazione procede fra accelerazioni e rallentamenti studiati ad arte.

Quel che emerge, riga dopo riga, è una verità amara per lo stesso lettore: nella disperata ricerca di una ragione per cui andare avanti ogni giorno, nel bisogno di amare ed esser amato, Haruo gli assomiglia forse più di quanto pensi e desideri.

 

 

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