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Intervista a Chiara Gallese, autrice di “Tokyo night”

Solitamente, questo blog tratta di scritti d’autori giapponesi o dedicati a tematiche nipponiche. Oggi, però, le cose andranno in maniera un po’ diversa: non soltanto il volume del giorno è un romanzo composto da una ragazza italiana, Chiara Gallese, appassionata di Sol Levante e giurista, ma sarà lei stessa a parlarci della sua opera in un’intervista.

Ma partiamo con ordine. Il libro è intitolato Tokyo night (Cerebro editore, pp. 218; € 15; per chi lo volesse, è acquistabile su Ibs o, dal 2014, su Amazon) e presenta una struttura piuttosto particolare: ciascuno dei venti capitoli che lo compone è legato a una delle stazioni della metropolitana della capitale.

La storia della giovane Keiko – sognatrice, creativa e amante dell’Italia – s’intreccia  così di continuo con il respiro, i ritmi, i luoghi e le abitudini della città, vera protagonista dell’opera. E’ infatti riservata una grande attenzione a molte componenti della cultura nipponica, classica e contemporanea: accanto agli haiku, ai templi e alla pittura tradizionale, troviamo mode, locali e comportamenti attualissimi. Non mancano, inoltre, numerosi accenni alla vita nipponica quotidiana, fatta di piccole abitudini, oggetti caratteristici e riti.

Ma lasciamo che sia la stessa autrice a raccontarci della sua opera; colgo l’occasione per ringraziarla della sua gentilezza.

Biblio. g.: Chiara, parliamo per prima cosa della gestazione del tuo romanzo: alle sue origini c’è stato un evento particolare?
Chiara Gallese: Non direi proprio un evento, quanto piuttosto un momento di vita da elaborare: nel 2007 sono andata in Giappone per un viaggio studio, e mi sono trovata talmente bene che sarei voluta restare lì a vivere. Poi purtroppo non sono riuscita a organizzarmi con mia figlia, perciò ho scritto questo romanzo per rovesciare nella carta tutte le sensazioni che ho provato in quel periodo.
B. g.: Com’è nata nella tua mente l’idea di abbinare a ogni capitolo una stazione diversa della metropolitana di Tokyo?
C. G.: Nel Giappone moderno, le stazioni della metro svolgono una funzione sociale molto importante. Si possono paragonare all’agorà, quindi mi è venuto spontaneo scandire i momenti più significativi della vita della protagonista con i nomi delle stazioni in cui si svolge la vicenda.
B. g.: Qual è l’episodio che più ami del tuo romanzo? Perché?
C. G.: Sicuramente il terzo capitolo, in cui le sensazioni negative sono del tutto autobiografiche. A diciannove anni, quando mi sono opposta con tutte le mie forze all’idea di abortire, mi sono immaginata come sarebbe stata la mia vita futura se avessi fatto una scelta diversa: quello scenario è confluito nel mio romanzo. Inoltre, come la protagonista, anch’io sono stata lasciata dal mio fidanzato alla vigilia della laurea, e poco prima di andare a convivere. In quel periodo ho preso una parte di me stessa e nel libro ho descritto in modo preciso come mi sono sentita.
B. g.: Ed ora una domanda d’obbligo che si rivolge a tutti gli scrittori: quanto ti rispecchi in Keiko, la protagonista?
C. G.: Ho cercato di fare un modo che Keiko risultasse quasi l’opposto di me sia fisicamente che caratterialmente, mentre quasi tutti gli altri personaggi sono modellati su persone vicine a me.
B. g.: Quali sono i modelli letterari – giapponesi e non – che più credi ti abbiano influenzato?
C. G.: Come ho scritto nella postfazione, ho usato uno stile il più possibile simile a quello di Banana Yoshimoto. Ma ho subito influenze anche da parte di Haruki Murakami, Yasunari Kawabata, Yukio Mishima e Natsuo Kirino.
B. g.: Infine, domanda a bruciapelo: pensi di scrivere un altro libro legato al Giappone?
C. G.: Al momento sto scrivendo un libro di tutt’altro genere, sugli studenti di Giurisprudenza. Ho altri sette progetti in cantiere, perciò non prevedo di parlare del Giappone nell’immediato.

A Roma conferenza “Tonkatsu: una cotoletta per la vittoria?”

Se pensiamo alla letteratura giapponese, non di rado le prime immagini che ci vengono in mente sono piuttosto drammatiche; eppure, la produzione nipponica è caratterizzata anche da scene e motivi più leggeri, come per esempio quelli legati al cibo.
L’esempio più evidente che viene alla mente è, naturalmente, Kitchen di Yoshimoto Banana; di questo libro e di molti altri si parlerà
venerdì 26 novembre  ore 18:00-19:30 nella conferenza “Tonkatsu: una cotoletta per la vittoria? Usi alimentari nella letteratura giapponese moderna”, tenuta dalla prof.ssa  Maria Gioia Vienna presso Doozo. Art books and sushi (Via Palermo 51-53, Roma). Per prenotarvi all’evento (a ingresso gratuito) basta mandare un’email a  info@doozo.it  o telefonare all’06-4815655.
Ed ecco a voi l’esordio di Kitchen:

Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina.
Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi.
Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare che sono rimasta proprio sola.

Nuova uscita: “Ineffabile perfezione. La fotografia del Giappone 1860 – 1910”

Chi, come me, non ha la possibilità di recarsi a Lugano per visitare la bellissima mostra fotografica dedicata al Sol Levante in corso, può (in parte) rifarsi con il catalogo ad essa collegato, appena uscito, vale a dire Ineffabile perfezione. La fotografia del Giappone 1860 – 1910 (Giunti, pp. 320, € 48). L’editore ce lo presenta così:

Oltre 300 fotografie d’inattesa bellezza, pervase da un senso di nostalgia, che danno la sensazione di un mondo sospeso in un’indefinita aura d’ineffabile perfezione, di un meraviglioso universo esotico che scomparirà all’alba del XX secolo. Ritraggono il Giappone della seconda metà dell’Ottocento e rappresentano un importante capitolo della storia della fotografia, essendo delle vere e proprie opere d’arte realizzate con la tecnica dell’albumina e il ritocco ad acquerello. Le fotografie sono state presentate all’omonima mostra tenutasi a Lugano, a Villa Ciani, dal 23 ottobre 2010 al 27 febbraio 2011.

Una tazza di tè per “Il maestro del tè” di Yasushi Inoue

Inauguro ufficialmente la collaborazione con il blog Una stanza tutta per (il) tè parlandovi – com’è naturale – d’un libro ispirato all’ambrata bevanda. Non vi citerò l’ennesimo volume di saggistica relativo alla cerimonia del tè, bensì un romanzo ancora poco noto in Italia, in quanto inedito, vale a dire Il maestro del tè, di Yasushi Inoue. In esso vengono svelati – attraverso lo sguardo del discepolo Honkakubō – l’universo e le tormentate vicessitudini esistenziali di Rikyû, maestro del tè realmente esistito nel XVI secolo.
Ecco una delle pagine che preferisco; nel frattempo, entra nella Stanza del tè per scoprire quale tè può accompagnare meglio la lettura:

[…] Dovevano essere circa le due del pomeriggio quando presi posto nella stanza del tè, e vi restai sino a quando gli arbusti del giardino si furono totalmente confusi nell’oscurità. Passai là un pomeriggio molto felice, dimentico del tempo che scorreva.
Ero già penetrato altre volte in questa stanza, in qualità di assistente del Maestro Rikyû, quand’era ancora vivo; nulla era cambiato da allora: il rotolo appeso al muro, calligrafia del principe Son-En-Po, la tazza da tè conica, il suo braciere preferito, il cui piacevole e incessante crepitìo mi ricordava il mormorio del vento… Era proprio quella la stanza del tè di Tôyôbô, conosciuto da sempre come un fine collezionista.
Mi offrì un tè eccellente; mi parve di vivere un sogno. Dopo di ciò, prese una tazza da tè che il Maestro Rikyû gli aveva donato e la sistemò dinanzi a me. Mi sentii riconoscente e molto onorato della sua benevola sollecitudine: ebbi l’impressione di trovarmi davanti al Maestro Rikyû.
Ricoperta da un bello smalto nero, era una tazza elegante e convessa della miglior fattura. Da quanti anni non toccavo quella tazza? Chôjirô, il vasaio che l’aveva foggiata, era morto due anni prima del Maestro Rikyû; ho io stesso qualche ricordo legato a questa tazza nera… ero felice che ora fosse tra le mani di Tôyôbô.
(traduzione dalla versione francese, Le Maître de thé, ed. Livre de Poche)

 

A Roma Ito Ogawa parla del suo “Ristorante dell’amore ritrovato”

Notizia flash, presa pari pari dalla newsletter Neri Pozza:

Giovedì 18  novembre,  alle ore 10.30, presso il Tempio di Adriano, Piazza di Pietra a Roma, Ito Ogawa parlerà del suo romanzo “Il ristorante dell’amore ritrovato”. Interviene con l’autrice, il regista giapponese Minoru Kurimura. Modera l’incontro Gianluca Coci.

“I ragazzi di Tokyo. Le poetiche zen di una metropoli” di A. Castellani

Ammetto che di questo libro – che mi pare interessante – non so nulla, tranne il titolo; e anche internet non è venuto in mio soccorso. Sto parlando de I ragazzi di Tokyo. Le poetiche zen di una metropoli di Alessandra Castellani (Liguori, pp. 96, € 15), esperta di identità giovanili e di culture metropolitane.
Per chi volesse saperne di più, ecco la presentazione dell’editore:

Il libro si compone di una serie di affreschi sulla capitale del Giappone raffiguranti alcuni aspetti attuali  dell’identità sociale e individuale, in particolare i nuovi punti di aggregazione delle tendenze giovanili e i luoghi più avanzati del consumo. Dalla descrizione dei quartieri centrali di Tokyo e di Yokohama, che formano un unico conglomerato urbano, emerge un mondo vivido e apparentemente contraddittorio agli occhi di un occidentale, mondo in cui la cultura postindustriale si salda con i valori più radicati dello shintoismo e del buddismo zen. Tra realtà virtuale, graphic-art, manga, tatuaggi, sette estremiste, templi shintoisti sui roof garden dei grandi magazzini, I ragazzi di Tokyo è anche una raccolta di impressioni sulla contemporaneità, un’escursione dentro i cuori di tenebre e dentro le fascinazioni che provengono dal Sol Levante.

Nuova edizione dello “Hagakure”

Quando si parla di samurai, all’uomo medio vengono in mente scene degne di Kurosawa Akira o, al contrario, di uno scalcinatissimo film di serie B, a base di “ghesce” sospiranti e “katane” sguainate.
Nella realtà storica, naturalmente (e per fortuna) le cose stanno in ben altro modo. Ci aiuta a comprendere ciò uno dei testi appartenenti alla cultura nipponica più fraintesi, vale a dire l’Hagakure di Yamamoto Tsunetomo, da poco pubblicato in una nuova edizione realizzata da Francesca Meddi (pp. 87, € 8.0) per la casa editrice Solfanelli (che ringrazio per l’omaggio), corredata di due interessanti saggi di approfondimento trasversale (L’ultimo samurai?, dedicato a Mishima, e Lo stoicismo e lo zen).
Il testo – il cui titolo significa <<All’ombra delle foglie>> – è pù spesso conosciuto come Codice segreto dei samurai, quando in realtà – come viene precisato nell’introduzione della curatrice – era originariamente rivolto soltanto ai giovani appartententi allo stesso han (il territorio retto dal daimyo) dell’autore.
I riferimenti alla morte, alla dignità e all’orgoglio (in ambito pubblico e privato) presenti in quest’opera sono stati e purtroppo sono ancora fraintesi, col risultato di ricondurre tutto ad un’errata e riduttiva visione decadente dei valori del Sol Levante, che avrebbe il suo sbocco naturale nel seppuku di Mishima e nella pratica suicida dei kamikaze della seconda guerra mondiale. In realtà, il reale significato di questi raccolta di aneddoti e aforismi va scoperto pagina dopo pagina, con pazienza, alla luce della storia e dei costumi nipponici.
Concludo citandovi uno dei brani che ho preferito:

Un samurai disse: <<Ci sono due tipi di orgoglio: uno interiore ed uno esteriore. Ma solo se si possiedono entrambi, si rivelerà utile. Paragoniamo l’orgoglio alla lama affilata di una spada: sarà bene che questa venga tenuta riposta nel fodero e di tanto in tanto sguainata, brandita, ripulita e poi nuovamente rinfoderata. Se venisse brandita in continuazione susciterebbe il timore degli altri, allontanando non solo i nemici, ma anche gli alleati. Sarebbe un errore anche il tenerla sempre riposta nel fodero, perché perderebbe la sua affilatura e si ricoprirebbe di ruggine, suscitando il disprezzo e lo scherno della gente.>>

La stanza del tè

Sono felice di inaugurare il sito con una collaborazione di qualità, nuova di zecca: sto parlando di Francesca e di Una stanza tutta per (il) tè, blog dedicato non soltanto ai mille profumi e sapori della bevanda orientale, ma anche e – forse, soprattutto – alle sensazioni e ai pensieri che essa stimola.
Dal momento che non c’è nulla di meglio che leggere un buon libro sorseggiando un’ottima tazza bollente, ogni mese vi proporrò una pagina tratta da un volume nipponico, a cui Francesca abbinerà un tè. Tutti i post compartecipati saranno poi riuniti nell’apposita sezione La stanza del tè.
Chiunque volesse suggerirmi libri o pagine, è il ben accetto. A questo punto, non mi resta che augurarvi buone letture e buon tè.

Nuova uscita: “Nihon Eiga-Storia del Cinema Giapponese dal 1970 al 2010”

Spesso, purtroppo, se si chiede a uno spettatore disattento quali film sul Giappone lo abbiano maggiormente colpito, ci sono buone possibilità che la scelta ricada su Memorie di una geisha e Kill Bill.
Eppure, il cinema nipponico contemporaneo presenta un quadro ricco e mosso, non di rado ignorato dal sistema di distribuzione cinematografica italiana e, talvolta, persino dai critici. Tenta di rimediare a queste gravi mancanze il recentissimo Nihon Eiga – Storia del Cinema Giapponese dal 1970 al 2010 (esf edizioni, pp. 222, € 17), a cura di Enrico Azzano, Raffaele Meale e Riccardo Rosati.
Non si tratta del solito manuale iperspecialistico per addetti ai lavori, ma di un volume — frutto di una sincera passione — che si propone di accompagnare cinefili e semplici curiosi alla scoperta di un universo sconosciuto ai più. L’impresa può dirsi riuscita con successo, sotto tutti i punti di vista: l’appassionato può soffermare la sua attenzione su un approfondito inquadramento storico, sociologico e culturale della materia, mentre l’esperto trova pane per i suoi denti nelle apposite sezioni riservate all’analisi di diciassette registi (Takeshi Kitano, Hayao Miyazaki, Satoshi Kon, solo per citare i più noti) e venticinque film (Patriotism, Il mio vicino Totoro, etc).
A tutti coloro che vivono a Roma, consiglio di partecipare alla rassegna cinematografica legata al volume, che si tiene al cinema Detour (Via Urbana 107; http://www.cinedetour.it) . Per il programma, cliccare qui.

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