Tag: Giappone

A Venezia eventi di beneficienza per il Giappone

Ci tengo a segnalare alcuni eventi pro Giappone che si svolgeranno in questi giorni, organizzati dall’università Ca’ Foscari di Venezia.
Domenica 10 aprile, dalle 15.00 alle 19.00 nel cortile di Ca’ Foscari, si terrano un mercatino e altre attività di beneficenza (workshop di origami, calligrafia, vestizione kimono con foto ricordo, dimostrazioni di iaidō, introduzione al gioco del go, videolettera e message board, mostra fotografica sul Giappone, dimostrazioni arti marziali, coro studentesco, competizione cosplay). Si potrà anche visitare la mostra fotografica “Help Japan”, con foto di Andrea Piovesan, e assistere al concerto del gruppo La mente di Tetsuya, che proporrà sigle dei cartoni animati giappponesi.
Attenzione: l’ingresso è su invito e per ogni informazione è bene contattare  giapponeday@unive.it.
Lunedì 11 aprile, presso l’Auditorium Santa Margherita, dalle ore 14 avrà luogo una giornata di solidarietà, con dibattiti e testimonianze; il programma è disponibile qui.
Mi raccomando: partecipate numerosi.

Recensione de “La scuola della carne” di Mishima a cura di M. Soldo

Oggi ospito con piacere un contributo di Mariella Soldo (http://mariellasoldo.wordpress.com ), vale a dire la recensione de L’école de la chair (letteralmente La scuola della carne), un libro di Mishima ancora inedito in Italia. Buona lettura.

Il mercato dell’amore: passioni in vendita

L’école de la chair – che tradotto letteralmente vuol dire La scuola della carne – è un romanzo di Mishima non tradotto in Italia, ma ci hanno pensato i nostri cugini francesi, più attenti e sensibili, soprattutto da più tempo rispetto agli italiani, alla cultura orientale. Il testo è stato tradotto direttamente dal giapponese da Yves-Marie e Brigitte Allioux per Folio-Gallimard nel 1993, trent’anni dopo l’uscita del romanzo in Giappone.

Alcune domande restano ancora senza risposta: come mai L’école de la chair non è stato tradotto in Italia? Qual è stata la politica adottata dalle grandi case editrici che hanno pubblicato quasi tutto su Mishima, anche piccoli testi, a non rendere in italiano anche quest’ultimo? È una politica di svista o molto furbamente non si traduce uno scritto per i suoi temi al limite della morale?
Taeko, la protagonista del romanzo, è una donna sulla quarantina, dotata di estremo fascino ed eleganza. Ogni suo gesto, ogni suo movimento, è l’espressione sublime della sensualità: Posò con forza l’anello sul pianoforte e afferrò la punta di uno dei suoi guanti fra i denti, per farlo scivolare più velocemente. L’ebbrezza incominciava a farle girare la testa. “ Smettila, Taeko, finirai per sporcare i guanti con il rossetto!”. – È più erotico così, non trovi?”. La donna fa parte di quella società alto borghese nipponica post-guerra che ha abbandonato le tradizioni del proprio paese per aprirsi totalmente ai costumi dell’occidente. Divorziata, annoiata, Taeko conduce una vita senza margini: libera e indipendente. Possiede una casa di moda, è a contatto con gli alti funzionari dello stato e partecipa assiduamente ai più famosi cocktail mondani. Una sera incontra in un famoso bar frequentato da omosessuali, chiamato non a caso Hyacinthe (Giacinto, sicuramente un riferimento alla mitica leggenda che vede protagonista l’amore di Apollo per Giacinto), il giovane Senkichi “la cui bellezza si incontra raramente in questo mondo”. Il piccolo Sen, come viene comunemente chiamato dai suoi amici, è descritto nel romanzo come una divinità greca, come una statua abilmente scolpita, ma che cela, dietro la sua immortale perfezione, un lato oscuro, quasi impenetrabile, persino alla stessa Taeko: A volte, quando in uno di quei momenti morti lasciava errare il suo sguardo nel vuoto, si sarebbe potuto scorgere, sotto la curva armoniosa delle sue sopracciglia, la malinconia della giovinezza. Il giovane uomo sarebbe disposto a tutto per i soldi, andrebbe a letto con chiunque, pur di arrivare nell’alta società. Il consiglio che Teruko, il travestito con cui Taeko stringe amicizia, è di lasciar perdere. Ma la sensualità che ormai ha invaso ogni cellula del corpo della donna è più forte della paura e del probabile inganno. Dopo un solo sguardo, Senkichi è già in lei, nella sua intimità più nascosta. Taeko decide di sedurlo e di fatto ci riesce.

Dopo i primi incontri, tra i due amanti s’instaura immediatamente una perfetta, ma altrettanto complessa, complicità. Non si abbandonano da subito ai richiami del corpo, si sfiorano e si scrutano con baci intensi, profondi: E quel bacio! La sua bocca conservava il ricordo di un sapore oscuro che prendeva al cuore, un gusto che nessun altro uomo le aveva fatto provare. Sembrava che Taeko non avrebbe mai più potuto dimenticarlo e che, se si fossero separati in questa maniera per sempre, quel bacio sarebbe stato il più lancinante dei ricordi, la tortura permanente del suo cuore. Taeko, immersa nelle ingannevoli dolcezze della passione, teme ogni stante che tutto possa finire da un momento all’altro: Ma si rese subito conto che quella simpatia reciproca che aveva creduto di veder nascere tra lei e Senkichi, quella sensazione che i loro cuori si capivano bene non era altro che una dolce illusione.

Il loro legame diventa uno scambio di male continuo che, paradossalmente, non fa altro che avvicinarli. Taeko e Senkichi s’incontrano così in quel gioco pericoloso che tiene unita la vittima al carnefice, gioco che continua nei sensi, fra candide lenzuola e che permette a Taeko di dimenticare ogni precedente relazione. Il piccolo Sen stava diventando la sua forma assoluta di erotismo e piacere, in cui ogni forma di paragone non è più possibile. Ama la freddezza del giovane uomo, la sua distanza dal mondo e dalle cose, persino la distanza che separava Sen da se stessa, ma più di tutto, la donna è attratta dal potere che il giovane corpo di Senkichi emana, quel potere di eternità, di infinito: Ciò che conta per una donna non è la bellezza, ma la giovinezza.

Per dominare totalmente Sen, Taeko gli chiede di vivere insieme, ma ad una sola condizione, forse la più preziosa per un legame profondo che può nutrirsi in eterno grazie alla leggerezza: Vengo ad abitare qui con te ad una sola condizione. Anche se viviamo insieme non devi assolutamente sconfinare nella mia libertà, altrimenti sarai tu a perdere. È chiaro? – Sì, capisco… ma lo so fin dall’inizio. – Sicuro? Insistette Senkichi. – Perché pensi che si possa limitare la libertà qualcuno come te?

Così Sen non rinuncia per nessuna cosa al mondo alla sua libertà, ma, nonostante i suoi sforzi, a Taeko risulta difficile dominare la sua gelosia, che spesso resta muta, in onore di quel perfido accordo. In casi come questi, la donna deve crearsi un’arma per sopravvivere alla libertà di Senkichi, un’arma diabolica che mette in discussione i suoi sentimenti verso il ragazzo, che dà la morte ai suoi ideali, al suo amore. Per amare Senkichi e non soffrire, Taeko deve giungere alle sue profondità meschine, abbassandosi alla sua superficialità. Lei deve essere necessariamente ciò che non è per tenere stretta a sé Senkichi: Dal momento che per vivere con me devi conservare una totale libertà, ho pensato che posso farlo io, dovrebbe essere la stessa cosa. È la mia unica possibilità di salvezza. I misteri mi fanno orrore, come tutti quei piccoli segreti che finiscono col rendermi nervosa. A partire da adesso, presentami tutte le tue amiche. Posso giurarti che non ti darò fastidio. Ma, in cambio, forse anch’io potrei avere un’avventura, uno di questi giorni, per preservarmi. In quel caso ti presenterò la persona in questione, apertamente, e ti chiederò l’approvazione… Come spiegarti meglio? Credo che siamo giunti a un punto in cui dobbiamo rinunciare a ogni ipocrisia. L’ipocrisia lasciamola alle coppie ordinarie… Dobbiamo essere complici, piuttosto…come dei fuorilegge!
A partire da questo momento, Taeko inizia a indossare una maschera che non le appartiene, mentre Senkichi, con il suo vero volto, maschera di se stesso, inizia il lungo cammino verso l’inganno e la menzogna. La donna tradisce Senkichi con un uomo d’affari, non per desiderio, ma per un volere ben esplicito: colpire gli argini del ragazzo, irrompere nel suo mondo di ghiaccio e finzione, scuoterlo nel petto, nell’anima, nella carne. Aveva venduto il suo corpo per donare a Senkichi uno spettacolo di dolore, così pensava, ma l’uomo reagì con la sua solita freddezza: quelli erano i patti, gli stava bene così! Ma il piccolo Sen tramava qualcosa di più diabolico, che la donna scopre per caso: vuole sposare Satoko, figlia di un uomo molto potente e ricco, ma nel frattempo non rinuncia ai suoi incontri amorosi con altri uomini. Taeko, dopo averlo fatto pedinare da un investigatore privato, ottiene le foto dei suoi rapporti clandestini. Potrebbe ricattarlo e far saltare così il suo matrimonio con la rispettabilissima famiglia Muromachi, ma cede ancora una volta alle debolezze del suo amore e decide addirittura di adottarlo: È tutto finito!

A questo punto Teruko, il travestito che lavora al Hyacinthe, durante l’ultima conversazione con Taeko, apre una questione che resta senza risposta: Anch’io un tempo lo avevo amato, da morire… Ma, comunque, era davvero un uomo orribile! Amore e laidezza possono convivere? Con quali risultati se non quelli del dolore? Cosa ci fa andare oltre quel volto, oltre quell’inganno della bellezza? E di cosa ci innamoriamo realmente, dell’illusione o della realtà? Anche Taeko si pone le stesse domande: Taeko capì immediatamente che quell’essere che aveva tanto amato era soltanto una chimera nata dai suoi stessi sogni. Forse, a volte, la bellezza è così avvolgente che inganna la nostra vista. Forse, nel momento in cui scopriamo, per caso, la bellezza in qualcuno, in realtà, stiamo inventando un romanzo, una finzione. Siamo noi l’inganno o il quadro che abbiamo dinanzi?

Dopo il male, dopo la crudeltà, Taeko abbandona i suoi sogni e sprofonda nuovamente nella purezza della sua solitudine, quel luogo a lei caro, fatto di ricordi, istanti, fotografie di momenti che, a contatto con l’acqua, sbiadiscono: Avrebbe realmente amato l’uomo che le stava di fronte quando sarebbe giunta a metà strada della sua vita, ma lui l’aveva fatta soffrire con una perfidia che oltrepassava ogni immaginazione. La sua cattiveria intrinseca, i suoi calcoli avidi erano così evidenti che non lasciavano più spazio al sogno.

Mishima ci mostra con questo romanzo che non esiste una scuola della carne, che non si può imparare a gestire il mistero della sensualità, perché nella pelle si cela l’inganno dei sensi.

Con delicata crudeltà, l’autore giapponese rappresenta il mercato dell’amore, in quella fredda agorà del cuore dove tutto si vende, persino i sentimenti e dove la passione è una moneta che vale più dell’oro.
Mariella Soldo

A Bologna ciclo di conferenze sul Giappone

Grazie a Francesca, vi segnalo un interessante ciclo di conferenze dedicato al Giappone, organizzato dalla prof.ssa Scrolavezza. Gli incontri avranno luogo presso l’Aula Magna della Facoltà di Lingue, via Filippo Re 8, Bologna.

– 1 aprile 2011, ore 16:00: Adriana Boscaro (Università Ca’ Foscari di Venezia), “Il Giappone incontra l’Altro”

– 8 aprile 2011, ore 16:00: Matteo Casari (Alma Mater Studiorum Università di Bologna) e Toshio Miyake (Università Ca’ Foscari di Venezia) presentano il volume Culture del Giappone contemporaneo

15 aprile 2011, ore 16:00: Giorgio Colombo (Università Ca’ Foscari di Venezia), “Prove tecniche di litigiosità: oltre il mito dell’armonia giapponese”

– 29 aprile 2011, ore 16:00: Maria Teresa Orsi (Università “La Sapienza” di Roma), “Oltre il Millennio”

Kawabata e l’acqua per il tè

I libri, forse, possono dividersi in due gruppi: da un lato, ci sono quelli che devi leggere nel posto giusto per gustarli appieno; dall’altro, quelli che ti portano dove vogliono loro, in qualunque luogo li sfogli.  Quest’ultimo è per me il caso delle raccolte di Kawabata Yasunari, forse perché nessun racconto somiglia al precedente; si può percepire una sorta di fil rouge che accomuna le sue storie, ma – nel momento di descriverlo – ecco che vengono a mancare le parole.

Forse la sede più adatta per perdersi in Cristantemo nella roccia, la novella che ho scelto con Francesca per la Stanza del tè, potrebbe essere un giardino giapponese, quieto, quasi dimenticato. Eppure, io l’ho letta in una fredda sera di marzo, aspettando un autobus che non voleva mai arrivare, tra un parcheggio vuoto e i neon di un supermercato. Avevo però l’impressione di essere dall’altra parte del mondo, davanti alla roccia umida che dà il titolo alla narrazione; e il rumore dell’acqua del tè, cui Kawabata accenna, mi riscaldava.

In questo breve brano che oggi vi presento, troveremo un personaggio già conosciuto, vale a dire  Sen no Rikyū, uno dei più importanti maestri della cerimonia del tè, coerente con la sua scelta di vita per l’eternità;di lui ci parla più approfonditamente Francesca nella sua Stanza tutta per (il) tè, ricca di profumi e suggestioni. Buona lettura.

Pur abitando nella valle del Kakuenji, con le sue magnifiche tombe di pietra, ho scoperto per la prima volta la bellezza di quest’arte a Kyōto quando, nel Daitokuji, vidi il prezioso stupa [monumento buddhista che spesso custodisce reliquie] che orna la tomba di Sen no Rikyū e la lanterna di pietra che orna quella di Hosokawa Sansai. Sia lo stupa che la lanterna sono opere per cui Rikyū e Sansai nutrivano una vera predilezione, e furono essi a sceglierle per le proprie tombe. Per questo sin dall’inizio le guardiamo come opere d’arte di cui questi grandi maestri del tè avevano riconosciuto la bellezza. E forse per l’atmosfera del mondo del tè che evocano in noi, in essesto avvertiamo un senso di familiarità e calore che raramente si prova davanti a vecchie pietre tombali.

Nella parte del prezioso stupa di Sen no Rikyū che dovrebbe corrispondere all’entrata, la pietra è stata scavata, e si dice che, accostando l’orecchio a quella cavità, si possa sentire un rumore sommesso, come di vento che soffia tra i pini. E’ il rumore dell’acqua che bolle per il tè.

Kawabata Yasunari, da Cristantemo nella roccia (tratto dalla raccolta Prima neve sul Fuji)

Foto tratta da qui.

Sushi, amore e fantasia: “La cartella del professore” di Kawakami

In questo periodo di gloria dei foodblogger, in cui sembra che il cibo abbia acquisito un nuovo significato a tavola e nella cultura (nonché un significativo ritorno economico, vista la messe di trasmissioni televisive e volumi dedicati all’argomento), mi pare che gli editori nostrani si stiano sforzando di pubblicare libri a sfondo gastronomico, in cui amore e ingredienti vadano a braccetto. E così, dopo Il ristorante dell’amore ritrovato, ci ritroviamo oggi a parlare de La cartella del professore di Kawakami Hiromi (Einaudi, pp. 186, € 18,50; acquistabile, cliccando qui, su Amazon a € 12,03 ). Per leggerne l’incipit, vedi qui.
La quarta di copertina introduce così il libro, fresco di stampa:

Tsukiko ha poco meno di quarant’anni.
Vive sola, e dopo il lavoro frequenta uno dei tanti piccoli locali di Tokyo dove con una modica spesa si possono mangiare ottimi manicaretti e bere qualche bicchiere di  birra o di sake. È un’abitudine molto diffusa fra gli uomini della metropoli, meno fra le donne. In una di queste occasioni incontra il suo insegnante di giapponese, che riconosce, malgrado i tempi del liceo siano ormai lontani, quando lo sente ordinare le stesse pietanze. Tsukiko e il prof, come lei lo chiama, iniziano a parlare e trovano subito un‘intesa nella loro passione per il cibo. Fagioli fermentati con tonno, frittelle di radici di loto, scalogni sotto sale e altre leccornie della delicata cucina giapponese accompagnano gli incontri mai programmati, ma non per questo meno frequenti, di due persone così diverse eppure simili nella quieta accettazione della propria solitudine, e ogni incontro rappresenta un impercettibile avvicinamento, serve a chiarire dubbi e fraintendimenti. Ma la donna fatica a trovare una sua dimensione adulta, e il professore – che è vedovo e ha settanta anni – non riesce a uscire dal suo passato di marito e insegnante. Arriva la stagione dei funghi, le ferie di Capodanno passano senza allegria, poi fioriscono i ciliegi, si organizza una gita che delude le aspettative e termina, come tante serate, nel torpore dell’alcol… Trascorrono così due anni. E dopo infiniti appuntamenti, giunge il momento in cui il prof, nella sua lingua un po’ vecchiotta, con i suoi modi di fare non proprio disinvolti, vince il pudore e chiede a Tsukiko se accetterebbe di frequentarlo «con la prospettiva di stringere una relazione amorosa».
La storia di un amore insolito, e la scoperta di una scrittrice capace di cogliere, senza mai cadere nel sentimentalismo, la dolcezza della vita.

Due iniziative per aiutare il Giappone

Per raccogliere fondi a favore della ricostruzione del Giappone e dei sopravvissuti, si stanno organizzando in tutta Italia (e non solo) numerosi eventi; vi propongo oggi due delle moltissime iniziative in corso.
La prima avrà luogo domani pomeriggio, sabato 2 aprile, a Ostia (Roma), presso la parrocchia di santa Monica (Piazza di Santa Monica 1): dalle 16 alle 18 si terrà un mercatino di prodotti artigianali giapponesi (origami, dolci, opere di calligrafia, piatti nipponici, etc.), seguito alle ore 19,15 da un concerto tenuto dai due soprano Keiko Morikawa e Nagi Fukuda, accompagnati al pianoforte da Yukari Nakayama.
La seconda proposta d’aiuto è molto originale ed è frutto della fantasia di una giovane studentessa italiana, Caterina.

Ascoltate il suo messaggio su Youtube qui sotto:

“Cosa possiamo fare per il Giappone” di A. Pastore

E dopo l’editoriale di Amitrano, oggi vi presento una sorta di lettera aperta di Antonietta Pastore (traduttrice a lungo residente in Giappone), tratta dal sito della casa editrice Einaudi, per cui lei ha curato Leggero il passo sui tatami e Nel Giappone delle donne, nonché alcune opere di Murakami. Ecco il testo:

Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici…
Davanti alle immagini del terremoto e dello tsunami più devastanti che la storia del Giappone ricordi, benché il suo popolo non sia stato vittima della follia omicida degli esseri umani, ma della violenza innocente della natura, sono queste parole di Primo Levi a tornarmi in mente con insistenza. Perché per quanto ci si possa sentire partecipi del dolore e dell’angoscia dei giapponesi, resta il fatto che loro sono lì, in uno stato di totale incertezza ed estrema privazione, e noi invece qui, nella confortevolezza delle nostre abitudini quotidiane. Sono immagini difficili da sopportare quelle che vediamo scorrere sugli schermi dei nostri televisori: un uomo che cerca il figlio sepolto sotto macerie irriconoscibili, una mamma che solleva le braccia del suo bambino perché venga controllato dal rilevatore di radioattività, un vecchio – unico sopravvissuro della sua famiglia – che si stringe al petto un cagnolino, una donna che contempla attonita un ammasso surreale di detriti sul luogo dove un tempo sorgeva la sua casa… Di fronte a queste scene e al senso di perdita che ci trasmettono, non possiamo che ammirare il ritegno con cui i giapponesi esprimono il proprio dolore. Ma questo ritegno fa parte della loro cultura e della loro identità: manifestare in modo plateale i propri sentimenti, per queste persone cui non resta quasi nulla, equivarrebbe a smarrire anche il senso di sé, in un momento in cui, per sopravvivere, vi si devono aggrappare con tutte le forze.

Il divario fra la tragica situazione delle zone sinistrate e la nostra seppur relativa sicurezza è tale da provocare in noi – impotenti, se non in minima misura, ad alleviare la sofferenza di tanta gente – frustazione e sgomento. In un angolo della nostra coscienza però si acquatta anche, malgrado la tristezza, il sollievo di non essere noi le vittime, di non esserci trovati lì nel momento sbagliato – avrebbe potuto accadere, prima dello tsunami l’incantevole costa di Matsushima era una meta turistica –, di non essere un abitante di Sendai, di non vivere vicino a quelle centrali nucleari che stanno rilasciando il loro micidiale veleno e potrebbero esplodere da un momento all’altro. E questo sollievo per essere sani e salvi, insieme ai nostri cari, nell’ambiente che ci è familiare, a sua volta ingenera sensi di colpa, che cerchiamo di alleviare inviando denaro, versando qualche lacrima, scambiando meste considerazioni con amici e conoscenti, mostrandoci afflitti.
La vita quotidiana però ci impone il suo ritmo, allontanando la nostra attenzione dalla sciagura che ha colpito il popolo giapponese. Nelle prima pagine dei giornali questa ha già lasciato il posto ad eventi più vicini a noi, e gli articoli che ancora ne parlano si occupano più del rischio nucleare e degli spostamenti della nube radioattiva, che dello strazio di decine di migliaia di persone. Tornare alle occupazioni ordinarie è d’altronde un processo inevitabile e necessario. Anche in Giappone, dove la popolazione non direttamente coinvolta nell’emergenza continua a lavorare, a fare acquisti, a studiare, ma anche a svagarsi e a divertirsi: nelle zone lontane dalla costa nord-orientale, cinema, ristoranti e locali notturni, dopo un primo momento di shock, hanno ripreso a funzionare a pieno ritmo.
Col passare dei giorni, il pensiero torna sempre meno a quanto accaduto nelle regioni di Iwate, Miyagi e Fukushima l’11 marzo 2011. E noi occidentali, una volta messa a posto la coscienza con una donazione, o con qualche preghiera se siamo credenti, ci rassegniamo a lasciare che le cose facciano il loro corso, rassicurati dalla convinzione che i giapponesi, con l’efficienza e il coraggio consueti, sapranno tirarsi su e ricostruire ciò che è stato distrutto.
E non ci sbagliamo, perché ci riusciranno. Tuttavia, qualcosa di buono per loro lo possiamo fare anche noi, qualcosa di cui saremo i primi a trarre beneficio.

In questi giorni abbiamo visto, sugli schermi che riempiono le nostre tiepide case, persone che hanno perso tutto, provate dal dolore, dalla fatica, dalle privazioni, dal disagio di stare ammassate a centinaia in ricoveri di fortuna. E abbiamo imparato a riconoscere sui loro volti e nei loro atteggiamenti, al di là della compostezza, i segni della sofferenza; ad apprezzare la loro umanità; a intuire in loro la capacità di soffrire, di gioire e di amare quanto e come noi. Allora cerchiamo di ricordarla, questa verità che abbiamo intravisto nelle lacrime furtivamente asciugate e nei singhiozzi a fatica repressi, cerchiamo di non confinare di nuovo i giapponesi in quell’immagine stereotipata – gentili ma distanti, sorridenti ma inaffettivi – che in modo del tutto arbitrario, per ignoranza, abbiamo creato e a lungo conservato. Continuiamo a sentirci vicini a loro, uniti e solidali nella comune sorte umana.

Foto tratte da qui e qui.

Un video e un convegno per riflettere sulla situazione in Giappone

In questi giorni – com’è giusto che sia – si sta parlando molto dei terremoti e dei problemi nucleari in Giappone; non di rado, però, i mass media hanno trasmesso al pubblico notizie false e talvolta persino tendenziose.
Per questa ragione, consiglio la visione di un servizio di Emilio Casalini (Report) andato in onda ieri sera, dedicato alla vita quotidiana a Fukushima in questi giorni (disponibile qui); inoltre, raccomando a chi abbia la possibilità di trovarsi a Milano di partecipare all’incontro “Il Giappone e l’informazione <<mediata>>”, promosso dall’Università degli studi di Milano, dall’Istituto giapponese di cultura, dal Contemporary Asia Research Centre e dall’Aistugia, che si terrà il 31 marzo alle 10,30 presso l’Aula magna del Polo di Mediazione linguistica e culturale, Sesto S. Giovanni, Piazza I. Montanelli 1.

Interverranno di persona o in collegamento via skype:
– Corrado MOLTENI, Professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, Addetto
Accademico e Culturale presso l’Ambasciata d’Italia a Tōkyō
– Carlo FILIPPINI, Professore ordinario di Economia Politica, Università Bocconi
– Alberto MENGONI, ENEA, Addetto Scientifico dell’Ambasciata d’Italia a Tōkyō
– Emilio CASALINI, giornalista RAI per la trasmissione “Report”
– Naotaka SAKAGUCHI, Console Generale Aggiunto, Consolato Generale del Giappone a Milano
– Studenti ed ex studenti rientrati in Italia dopo gli eventi sismici
Letture:
– La cognizione del dolore
di Giorgio Amitrano, Professore ordinario, Preside della Facoltà di
Scienze Politiche dell’Università “L’Orientale” di Napoli
– testimonianza quotidiana di Miya Itō, cittadina di Sendai

Ringrazio Francesca per la segnalazione.

Eventi interessanti a Milano

Ho scoperto, tramite il blog Milleorienti (che vi consiglio di visitare spesso), una serie di interessanti iniziative che si terranno a Milano nelle prossime settimane per la rassegna “Frammenti di Giappone”, presso il Museo d’Arte e Scienza, via Quntino Sella 4. Questo il programma:

10 marzo ore 18.30
CARMEN COVITO
Miyabi. L’estetica di corte nel Giappone medievale

24 marzo ore 18.00 e ore 19.00
RYOKO TAKANO
Workshop di origami

31 marzo ore 18.30
GIAMPIERO RAGANELLI
Non solo Kurosawa: il cinema nella tradizione del Sol Levante

7 aprile ore 18.30
ROSSELLA MARANGONI
Evanescente come rugiada: l’estetica del mondo fluttuante

14 aprile ore 18.30
ROSSELLA MARANGONI e FULVIO CINQUINI
Matsuri, feste religiose e chiave di lettura della società giapponese

21 aprile ore 18.30
ROSSELLA MARANGONI e TOMOKO HOASHI
La vestizione del kimono

28 aprile ore 18.00 e ore 19.00
TOMOKO HOASHI e ALBERTO MORO
La cerimonia del tè

5 maggio ore 18.30
GRAZIANA CANOVA TURA
Tradizione, stagioni e cultura del cibo giapponese*
con catering a cura dell’Associazione Ristoratori Giapponesi

Novità: “Lampi” di Hayashi Fumiko

Colgo la segnalazione di Barbara (che ringrazio) per annunciarvi la recente pubblicazione di Lampi di Hayashi Fumiko (Marsilio, pp. 232, € 15). L’autrice, vissuta nella prima metà del ‘900, si segnalò all’epoca come una delle più originali e anticonformiste: donna di bassa estrazione sociale e per di più figlia illegittima, scrisse di relazioni instabili, di eroine forti e di personaggi al margine della società.
Tornando al romanzo, eccovi la presentazione dell’editore:

Scritto nel 1936, Inazuma (Lampi) segna una tappa fondamentale nell’evoluzione artistica di Hayashi Fumiko, il passaggio da una scrittura più strettamente avvinta all’esperienza personale a una narrativa che vuole essere oggettiva. Una scelta non solo stilistica, ma che tocca nodi profondi e complessi come il rapporto fra gender, genere sessuale, e genre, genere letterario. Al centro del romanzo Kiyoko, il prototipo della giovane donna ribelle, concentrata nella ricerca testarda della propria indipendenza e pur tuttavia piena di contraddizioni nel suo rifiuto di piegarsi all’etica tradizionale che vuole una donna moglie e madre. La sua diversità è scritta nel corpo, nel labbro leporino, la cui cicatrice deturpa un volto altrimenti perfetto; la sua ricerca di una vita diversa, lontana dalla famiglia d’origine e dai modelli di femminilità interpretati dalle sorelle, è problematica, e il suo stesso rifiuto del matrimonio non è rifiuto dell’istituzione, quanto delle pressioni sociali e familiari dalle quali come donna si vede costretta. Romanzo dell’ambiguità, Inazuma si conclude senza dare al lettore alcuna certezza. Kiyoko decide di riprendere gli studi e di trovare un lavoro che le consenta di vivere con dignità, non rifiuta il matrimonio in sé, quanto la realtà familiare nella quale è cresciuta, un rapporto di coppia come quelli che ha visto vivere dalle sorelle. Ma rimane il dubbio che la possibilità di un amore differente le sia precluso dal suo handicap.

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