Tag: Giappone

Dal Giappone con passione: “Vado, Tokyo e torno” di Fabio Bartoli

In questi giorni di preludio all’estate siete alla ricerca di un libro frizzante che sappia condurvi per qualche ora dall’altra parte del mondo? Allora vi consiglio Vado, Tokyo e torno di Fabio Bartoli (Tunué, pp. 112 con illustrazioni, € 9,70, disponibile su Amazon.it cliccando qui a 6,31), una delle uscite più recenti della casa editrice specializzata in pop e forme dell’immaginario (fumetti, videogiochi, graphic novel, etc.).
Qualcuno, però, potrebbe pensare che sia l’opera sbagliata nel momento sbagliato: perché pubblicare i ricordi di viaggio di un ragazzo italiano alle prese con una Tokyo rutilante, a distanza di poche settimane dal grande terremoto dell’11 marzo e dai catastrofici eventi che ne sono conseguiti? Io credo che stia proprio in questo contrappunto il (nuovo) significato del volumetto, composto prima della tragedia (e non dopo, per cavalcare l’onda emotiva): mostrare il brulichio costante della capitale, le sue abitudini, la fretta di vivere tipica soprattutto dei suoi abitanti più giovani, in contrasto con le immagini di desolazione e sterilità sulle quali oggi diversi media vogliono appiattire il Giappone. Non si tratta quindi di sottovalutare l’accaduto o di voltare lo sguardo dall’altra parte, ma di far valere nel proprio piccolo l‘istinto vitale ad andare avanti nonostante tutto, accompagnato dalla necessità di ricordare – a se stessi, agli altri – che l’arcipelago nipponico non è ridotto a un cumulo di macerie e di scorie radioattive, come purtroppo alcuni credono.
In un momento in cui – a volte un po’ ridicolmente – in Italia si teme il contatto con tutto ciò che è giapponese, la scelta di pubblicare questo libro non solo va rispettata, ma anche apprezzata. Penso che a far ciò riusciranno soprattutto le generazioni nate o cresciute nel corso degli anni Ottanta, la stessa a cui appartiene l’autore (e, per la cronaca, anche io stessa): Fabio, difatti, impronta buona parte del suo racconto di viaggio – svoltosi nell’aprile 2010 – alla realizzazione dei desideri di molti suoi coetanei, divenuti adolescenti seguendo una rigida dieta a base di anime e manga giapponesi, e coltivando il sogno di conoscere un giorno dal vivo quella terra lontana a lungo immaginata.
Le avventure descritte dal narratore spaziano così dalle incursioni negli studios dei più celebri produttori di anime, al bagno di un onsen collocato ai piedi del Fuji, passando per le ricognizioni metropolitane (nei quartieri di Harajuku, Shibuya, Shinjuku…), alla scoperta di look inaspettati e tendenze autoctone. Non mancano le riflessioni riguardanti gli aspetti che maggiormente colpiscono il turista occidentale in trasferta nel Sol Levante, come la proverbiale gentilezza degli abitanti, la dedizione al lavoro dei サラリーマン (i “salary men”, ossia i dipendenti) o la varietà della cucina nipponica; nell’esaminare tutto ciò, lo scrittore non teme di riconoscere i limiti della propria interpretazione, che anzi è sempre disponibile a mettere in discussione.
Questo diario di viaggio, che si legge tutto d’un fiato, non ha infatti la pretesa di essere esaustivo o di sostituirsi ad una guida turistica: ho avuto come l’impressione che miri soprattutto a spingerci a una scoperta personale e unica del Giappone e del suo “cuore caldo”, che batte forte anche oggi fra i bollettini da Fukushima e i nostri timori per il futuro del paese.

Brividi dal Giappone: “La confessione” di Kanae Minato

Dal Giappone è arrivato un nuovo, agghiacciante thriller (gentilemente segnalatomi da Barbara, che ringrazio), tanto più inquietante dal momento che vede vittima una bambina uccisa da due alunni della madre, insegnante di scuola media: si tratta de La confessione di Kanae Minato (Giano, pp. 288, € 17; ora qui disponibile a 12,25 su Amazon.it ), da cui è stato ricavato il film Confessions (Kokuhaku) del regista Tetsuya Nakashima, candidato agli Oscar come miglior film straniero (sotto potete vedere il trailer).
Per saperne di più, ecco la presentazione dell’editore:

La rivelazione è di quelle agghiaccianti, soprattutto se a farla è una giovane professoressa che ha da poco perso la sua bambina e ad ascoltarla sono i suoi alunni, la classe alla quale Moriguchi Yuko rivolge un discorso di addio: «La mia Manami non è morta accidentalmente; è stata uccisa da qualcuno di voi».
La figlia dell’insegnante di scienze aveva quattro anni quando, un mese prima della fine dell’anno scolastico alla scuola media S, in una cittadina del Giappone, è stata trovata morta nella piscina dell’istituto. A causa di quello che tutti hanno ritenuto un incidente, la madre ha deciso di abbandonare per sempre il suo lavoro. Ma al termine dell’ultimo giorno di scuola, alla classe che ascolta immobile giunge il glaciale annuncio: lí nella I B, presenti in aula, ci sono due assassini.
Freddamente, quasi scientificamente definendoli A e B, la professoressa rende identificabili ai compagni i due ragazzi e rivela la sua scoperta di come essi abbiano premeditato e compiuto l’omicidio di una bambina indifesa. Inoltre, con altrettanta freddezza, l’insegnante comunica la sua decisione: non ha intenzione di denunciare i due assassini alla polizia. Ha invece già messo in atto una personale vendetta, atroce e immediata ma escogitata in modo che le devastanti conseguenze si manifestino lentamente, affinché i giovani criminali abbiano il tempo di pentirsi e trascorrere il resto dei loro giorni sopportando il fardello della colpa di cui si sono macchiati.
Nelle settimane successive, attraverso un diario, un blog, una lettera, appare in tutta la sua spaventosa portata il perché del gesto compiuto da Nao e Shūya, due adolescenti diversi tra loro ma entrambi apparentemente senza problemi. Dietro lo squilibrio psichico e morale dei due ragazzi, emergono le responsabilità delle rispettive famiglie, tra una madre iperprotettiva e una assente, e di una società dove sempre piú il disagio giovanile sfocia in efferati delitti. E ancora, violente e tragiche, affiorano le conseguenze della vendetta subita, non solo e non tanto sul loro fisico, ma soprattutto sul loro già instabile equilibrio interiore. Fino all’erompere di un’imprevedibile e sconvolgente conclusione.
Come un Delitto e castigo contemporaneo, Confessione svela il nichilismo degli adolescenti perduti del Giappone d’oggi, una società nella quale la capacità di agire con distacco, l’autocontrollo sulle proprie emozioni e reazioni, la lucidità nella follia rendono ancor piú inquietante e apocalittico lo smarrimento delle giovani generazioni.

“Urashima Tarō”: la leggenda giapponese del pescatore e della tartaruga

“Molto tempo fa viveva in Giappone un giovane pescatore di nome Urashima Tarō. Nella nostra storia, lo chiameremo Tarō. Un giorno, mentre lavorava vicino al mare Tarō vide sulla spiaggia alcuni bambini che tormentavano una piccola tartaruga. Il pescatore, che aveva un animo gentile, corse da loro e li convinse a lasciarla libera.”: così inizia Urashima Tarō. Una storia giapponese di Davide Longaretti e Mayuko Tazumi (in italiano e in giapponese con illustrazioni di Davide Longaretti, Mayuko Tazumi; Orecchioacerbo editore, € 13, e ora disponibile su Amazon.it a € 11, 86), una favola  apparsa per la prima volta in Giappone intorno al quindicesimo secolo.
Qui potete leggere la presentazione che riporto e sfogliare online le prime pagine del volume:

Un pescatore – Urashima Tarō – sottrae una tartaruga alle angherie di un gruppo di bambini. Come ricompensa, la regina Othoime lo invita nel suo regno sottomarino dove, tra meraviglie d’ogni sorta, Tarō trascorre giorni davvero felici. Ma la nostalgia si fa sempre più intensa e Taro decide di tornare a casa. Come ricordo, la regina gli dona un prezioso scrigno che egli però non dovrà aprire mai. Al ritorno, Tarō scopre che tutto è cambiato. Il suo paese è diventato una città, una fabbrica ha preso il posto della sua casa, per le strade è tutto un viavai di auto, l’aria è diventata irrespirabile. Triste e desolato va alla spiaggia, si ricorda dello scrigno e lo apre. Una nuvola di fumo bianco lo avvolge. E Tarō invecchia improvvisamente… Un’antica storia giapponese, a metà tra fiaba e mito, riletta in chiave contemporanea e trasformata in una moderna parabola sul rapporto tra uomo e natura. La luminosità dei colori e la limpidezza delle immagini restituiscono l’antico sapore della storia mentre la tecnica con la quale sono state realizzate le tavole -plastilina e computer- dimostra che anche la tecnologia qualche volta va d’accordo con l’ambiente. Forse anche per questo le immagini di Davide Longaretti e Mayuko Tazumi – al loro libro d’esordio – sono state selezionate nel 2007 alla Mostra Illustratori della Fiera Internazionale del Libro di Bologna.

“Pagine giapponesi”: il mio incontro sui libri nipponici in Italia e sulle influenze del Sol Levante nella nostra letteratura

Lo sapevate che significativi scrittori del nostro paese, quali Sanguineti, Calvino, Saba e Pasolini, si sono ispirati alla cultura e alla letteratura giapponese in diverse loro opere? E sapevate anche che il più celebre adattamento cinematografico nostrano di un romanzo giapponese porta la firma di Tinto Brass?
Se avete voglia di scoprirne di più in proposito, siete tutti invitati all’incontro che terrò mercoledì 1 giugno, alle ore 18, presso Doozo art book & sushi (Via Palermo 51-53, Roma), dal titolo Pagine giapponesi, in cui traccerò una breve storia della pubblicazione di volumi giapponesi nel nostro paese e parlerò delle suggestioni nipponiche rintracciabili nei libri di alcuni scrittori italiani (oltre a quelli citati all’inizio del post, ricordo Baricco, Parise, D’Annunzio, Vasio, etc.).
Questa è la presentazione ufficiale dell’evento:

Nel 1854, dopo un isolamento volontario durato circa due secoli, il Giappone apre di nuovo le sue frontiere e inzia a stipulare trattati commerciali con le nazioni straniere: non solo ciò favorisce la conoscenza e lo studio del Sol Levante in occidente, ma determina anche la nascita di un importante movimento culturale, il japonisme, che si propone di adattare all’arte europea figure, caratteristiche e stilemi derivati da quella nipponica, spesso attraverso il filtro dell’esotismo. Da questi fermenti non è immune neppure l’Italia, dove, dalla fine del XIX sec., si sviluppa interesse per le “giapponeserie”: si pensi, per esempio, alla “Madama Butterfly” di Puccini e all'”Iris” di Mascagni, oppure ad alcuni versi di D’Annunzio, Saba e Govoni.
Parallelamente, la pubblicazione di testi estremo-orientali – in un primo momento riguardanti soprattutto storie di guerra o d’amore – inizia a muovere i primi passi, ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale (in particolare dagli anni Ottanta) la produzione letteraria giapponese riesce ad acquisire sempre più spazio nell’editoria nostrana e un maggior numero di lettori, grazie all’impegno di ottimi traduttori e alla creazione di apposite collane (prima fra tutte, “Mille gru” di Marsilio).
Nel corso degli anni, il fascino della cultura nipponica si è andato consolidando, come testimonia l‘esperienza di numerosi scrittori (Calvino, Baricco, Parise, Sanguineti, Vasio, Bacchini, ecc.), che hanno saputo fecondare in modo originale la nostra letteratura con suggestioni provenienti dal Giappone.

Qui a lato: James Tissot, La Japonaise au Bain, 1864

La bellezza salverà (ancora) il mondo?

Oggi ho scoperto un affascinante racconto di Jorge Luis Borges dedicato al Giappone, intitolato Della salvezza con le opere, che contiene chiari riferimenti alla mitologia nipponica (in particolare al Kojiki) e alla cultura occidentale, soprattutto biblica.
Per me è stato inevitabile pensare che l’accenno ivi contenuto alla potente “arma invisibile” alluda all’energia atomica, utilizzata a fini bellici, cui viene contrapposta la nuda semplicità delle diciassette sillabe che compongono uno haiku. Tra pochi giorni, in Italia, saremo chiamati a votare per un referendum riguardante il nucleare: continueremo a sperare che la bellezza salvi da sola il mondo, o ci impegneremo anche noi in prima persona?

In un autunno, in uno degli autunni del tempo, le divinità dello Shinto si riunirono, non per la prima volta, a Izumo. Si dice che fossero otto milioni, ma sono un uomo molto timido e mi sentirei un po’ sperduto tra tanta gente. Inoltre, non conviene maneggiare cifre inconcepibili. Diciamo che erano otto, giacché l’otto è, in queste isole, di buon augurio.
Erano tristi, ma non lo parevano perché i volti delle divinità sono Kanjis che non si lasciano decifrare. Sulla verde cima di un colle si sedettero in tondo. Dal loro firmamento o da una pietra o da un fiocco di neve, avevano sorvegliato gli uomini. Una delle divinità disse:

Molti giorni, o molti secoli fa, ci riunimmo qui per creare il Giappone e il mondo. Le acque, i pesci, i sette colori dell’arcobaleno, le generazioni delle piante e degli animali, ci sono riusciti bene. Affinché tante cose non li opprimessero, demmo agli uomini la successione: il giorno plurale e la notte unica. Concedemmo loro anche il dono di provare alcune variazioni. L’ape continua a ripetere alveari; l’uomo ha immaginato strumenti: l’aratro, la chiave, il caleidoscopio. Ha anche immaginato la spada e l’arte della guerra. Ha appena immaginato un’arma invisibile che può essere la fine della storia. Prima che accada questo fatto insensato, cancelliamo gli uomini.

Si misero a pensarci. Un’altra divinità disse senza imbarazzo:

E’ vero. Hanno immaginato quella cosa atroce, ma anche questa che sta nello spazio che abbracciano le sue diciassette sillabe.

Le scandì. Erano in un idioma sconosciuto e non potei intenderle.

La dinità maggiore sentenziò:

Che gli uomini perdurino.

Così, per opera di un haiku, la specie umana si salvò.

Jorge Luis Borges, Della salvezza con le opere, in Atlante (cit. da Tutte le opere – vol. II, Mondadori, 2003, pp. 1421-1423)

Gothic lolita a Roma: presentazione del libro più stand

Durante un viaggio in Giappone, il turista medio è solitamente colpito dall’abbigliamento dei giovani; soprattutto nelle grandi città è possibile imbattersi, con una certa facilità, in ragazzi dall’aspetto alquanto curioso (capelli tinti e/o cotonati, accessori bizzarri, ardui accostamenti di colore…) e adolescenti dai vestiti pieni di merletti o dall’abbronzatura improbabile. Una delle tendenze che di certo ha riscosso – e riscuote tuttora – più successo è senza dubbio quella che va sotto il nome di “gothic lolita“: le ragazze che seguono questo stile si ispirano all’abbigliamento di epoca vittoriana, con contaminazioni goth (in Italia, chiamate talvolta dark).
Per saperne di più, vi consiglio di prendere parte, sabato 28 maggio, dalle ore 18, presso Doozo. Art book & sushi (Via Palermo 51-53, Roma) alla presentazione del volume Gothic Lolita di Valentina Testa (Edizioni Tunué; disponibile qui a 8,30 €; per un’anteprima del libro, clicca qui), introdotto dall’autrice stessa; e per chi avesse voglia di darsi allo shopping, ricordo anche che sarà presente uno stand di abbigliamento e accessori in stile gothic lolita.


Voci da occidente: “Mizumono” di Francesca Scotti

Tutti coloro che si cimentano nello scrivere del Giappone (così come di qualunque paese lontano) rischiano spesso di infrangere la sottile soglia che distingue la fascinazione per l’Altro da un esotismo autoreferenziale; per questa ragione, leggendo alcuni testi – seppur piacevoli o fondati su ottime intenzioni – si ha purtroppo l’impressione che il punto di registrazione della realtà nipponica (sociale, storica, percettiva, etc.) sia inevitabilmente esterno a essa e permeabile a infiltrazioni estetizzanti o esterofile, nonché a stereotipi e pregiudizi.
Al contrario, tutta la raccolta Mizumono di Francesca Scotti (ed. Il Robot adorabile, arricchita da una bellissima tempera di Adalberto Borioli) mi è parsa bisbigliata da un angolo in penombra dello stesso Giappone, un cantuccio intimo e silenzioso, in comunicazione però con un universo sottile e poetico, a tratti surreale, mai sconfinante nell’onirismo solipsistico.
Ciascuno dei tre brevissimi racconti che compongono l’opera (consultabili qui, nel sito del nuovo libro dell’autrice, Qualcosa di simile) getta uno sguardo su un (non) luogo diverso in cui scorre l’esistenza lieve di un microcosmo senza tempo, scandita da un linguaggio minimo ed esatto, capace di far affiorare con naturalezza le parole dalla superficie della pagina.
La continuità fra brano e titolo fa sì che la narrazione scorra via in un respiro, fondendo insieme la dimensione testuale con quella extratestuale in cui si muove il lettore, letteralmente imprigionato nelle maglie della storia. E così ci smarriamo anche noi nella folla festante di un matsuri, tra incensi e fuochi d’artificio, spettatori impotenti di una piccola tragedia; i nostri piedi si bagnano nelle acque grigie e calde d’un villaggio di pescatori di granchi, mentre i nostri passi già si perdono in un quartiere dimenticato d’una città qualunque, per attraversare l’eternità con un Daruma.

Tutti coloro che si cimentano nello scrivere del Giappone (così come di qualunque paese lontano) rischiano spesso di infrangere la sottile soglia che distingue la fascinazione per l’Altro da un esotismo autoreferenziale; per questa ragione, leggendo alcuni testi – seppur piacevoli o fondati su ottime intenzioni – si ha purtroppo l’impressione che il punto di registrazione della realtà nipponica (sociale, storica, percettiva, etc.) sia inevitabilmente esterno a essa e permeabile a infiltrazioni estetizzanti o esterofile, nonché a stereotipi e pregiudizi.
Al contrario, tutta la raccolta
Mizumono di Francesca Scotti (ed. Il Robot adorabile, arricchita da una bellissima tempera di Adalberto Borioli) mi è parsa bisbigliata da un angolo in penombra dello stesso Giappone, un cantuccio intimo e silenzioso, in comunicazione però con un universo sottile e poetico, a tratti surreale, mai sconfinante nell’onirismo solipsistico.
Ciascuno dei tre brevissimi racconti che compongono l’opera (consultabili qui, nel sito del nuovo libro dell’autrice,
Qualcosa di simile) getta uno sguardo su un (non) luogo diverso in cui scorre l’esistenza lieve di un microcosmo senza tempo, scandita da un linguaggio minimo ed esatto, capace di far affiorare con naturalezza le parole dalla superficie della pagina.
La continuità fra brano e titolo fa sì che la narrazione scorra via in un respiro, fondendo insieme la dimensione testuale con quella extratestuale in cui si muove il lettore, letteralmente imprigionato nelle maglie della storia. E così ci smarriamo anche noi nella folla festante di un matsuri, tra incensi e fuochi d’artificio, spettatori impotenti di una piccola tragedia; i nostri piedi si bagnano nel
le acque grigie e calde d’un villaggio di pescatori di granchi, mentre i nostri passi già si perdono in un quartiere dimenticato d’una città qualunque, per attraversare l’eternità con un Daruma.

Arte, manga e letteratura negli atti del convegno “Tra arte e letteratura, tra Italia e Giappone”

Vi riporto un’interessantissima notizia tratta dal blog dello studioso e traduttore Massimo Soumaré:

Sul numero 73 di Maggio 2011 della rivista di Arti, Scienze e Cultura Porti di Magnin edita dall’associazione omonima, sono stati pubblicati nello speciale letterario Magnin Litteraire n. 8 (pagg. 67-132) gli atti del convegno Tra arte e letteratura, tra Italia e Giappone tenutosi all’Accademia Albertina di Torino il 2-5 febbraio 2010 in concomitanza con la mostra Dall’ukiyo-e all’illustrazione contemporanea: la grande grafica giapponese (14 gennaio-14 febbraio 2010).
Segue l’indice dei quindici saggi editi:

Tra arte e letteratura-Tra Italia e Giappone, Prefazione pag. 81

Manga: fumetto e societa’ contemporanea di Massimo Melotti pag. 82

Calligrafia tra Cina e Giappone: evoluzione grafica della scrittura di Kazuko Hiraoka pag. 85

“Kitsukiba”: <dietro le quinte> del progetto di una graphic novel italo-giapponese di Fulvio Gatti, Vittorio Pavesio, Massimo Soumaré pag. 87

Japan in five ancient chinese chronicles-Alle origini del Sol Levante: le piu’ antiche cronache sul Giappone di Massimo Soumaré pag. 89

Angeli o Tenshi? Ovvero l’immagine dell’angelo nella cultura pop giapponese di Luca Della Casa pag. 92

Volpi magiche e spiriti inquieti nell’eta’ di internet: influenza della narrativa fantastica classica e del folklore tradizionale giapponesi sui mezzi di comunicazione di massa contemporanei di Massimo Soumaré pag. 94

“Foglie multicolori dal Sol Levante” e “ALIA6″, narrativa contemporanea giapponese e mondiale di Massimo Citi, Davide Mana, Massimo Soumaré, Silvia Treves pag. 98

Parole immaginate: piccolo viaggio intorno a segni e narrazioni di Fabio Lastrucci pag. 101

L’opera di Akemi Takada: dimostrazione di disegno di Akemi Takada pag. 104

Amici immaginari-l’occidente nel fantasy giapponese e il Giappone nel fantasy occidentale: streghe e miko, cavalieri e samurai di Reiko Hikawa, Davide Mana pag. 105

Ukiyo-e: l’arte del dissenso di Giorgio Arduini pag. 112

Attori kabuki e loro ritratti di Akane Fujisawa pag. 116

L’opera di Minae Takada: dimostrazione di incisione su rame di Minae Takada pag. 120

L’ukiyo-e e la moda di Edo: l’ukiyo-e come mass media di Murasaki Fujisawa pag. 122

Spire d’oriente, immaginario d’occidente di Franco Pezzini pag. 125

Conferenza sulla letteratura giapponese al femminile a Roma

A chi domani, venerdì 20 maggio, ha la possibilità di trovarsi in quel di via Nazionale, a Roma, consiglio di assistere alla conferenza della prof.ssa Giuliana Carli, che avrà luogo dalle 18 presso Doozo. Art, books and sushi (via Palermo 51-53), dal titolo dal titolo “Le maglie larghe della scrittura delle donne in Giappone. Metamorfosi e trasmutazioni nei canoni della letteratura femminile”.
Questa la presentazione dell’evento:

La scrittura delle donne in Giappone ha origini molto antiche. Si è evoluta con lunghe, riconoscibili pause fortemente legate al mutamento di status delle donne nel corso della storia. Dall’antichità fino al dopoguerra incontriamo scrittrici come Ono no Komachi, Murasaki Shikibu, Higuchi Ichiyō, Yosano Akiko, Miyamoto Yuriko, Hayashi Fumiko, nomi in grado, da soli, di evocare intere epoche. Di certo non basta più ascrivere alla vecchia voce joryubungaku, letteralmente la “corrente letteraria femminile”, i nomi di autrici come Kirino Natsuo, Ogawa Yōko o l’icona Banana Yoshimoto.
Curiosamente, però, nella raffinata ricerca letteraria della contemporaneità sono rintracciabili gli echi di temi e stili che hanno caratterizzato la letteratura classica delle donne, quella joryubungaku che, pur nello stigma, ha gettato le basi di una produzione femminile che non ha eguali al mondo e che per questo incuriosisce un pubblico vasto e non più eminentemente di sole donne.

Voci da occidente: “Haisan sotto gli alberi” di Fabio Pasquarella

Negli ultimi mesi ho avuto il piacere di ricevere e leggere diverse opere di autori italiani ispirate al Giappone, sotto forma di haiku, romanzi e racconti. Per ringraziare questi autori e per dare loro un piccolo aiuto nella promozione dei lavori, nasce oggi nel blog una rubrica apposita, Voci da occidente.
Un elemento comune a molti di questi scritti è, senza dubbio, la ricerca dell’essenzialità e della sintesi, percepite come elementi fondanti e distintivi della tradizione letteraria ed estetica giapponese; ciò si ritrova anche in una raccolta poetica ispirata agli haiku, Haisan* sotto gli alberi, di Fabio Pasquarella (liberamente consultabile e scaricabile qui).
Ma ora lascio parlare l’autore, riportando una sua breve dichiarazione di poetica tratta dal suo sito:

La poetica soggiacente al mio lavoro è molto semplice, azzarderei banale: riconoscere nel reale un segno, un pattern e trasporlo come un passo musicale indecodificato nella sua veste “propria” così da preservarne la potenza significante. Consegnando la farfalla nel suo bozzolo proliferante,  purché per un breve istante, la forma perde lo scettro di metodo, di contenitore metrico entro cui misurare la rivelazione.
Ciò che mi avvicina all’haiku è l’atteggiamento di poetica attenzione, la transustatazione di una tradizione culturale che mi accompagna ormai da più di venti anni, la ricerca appunto nella quotidianità di una struttura materica significativa in privazione di “io”. Quello che mi allontana è invece la mia posizione sulla linea geografico-linguistica con tutto ciò che ne comporta, come l’impossibilità di coniugare simboli fonetici e immagini (ideogrammi) nel delicato equilibrio di una densificazione del significato tipico dell’haiku. E ancora la rinuncia alle strutture formali e ai riferimenti tipici come il kigo o la metrica peculiare, quindi la rottura frequente di un metodo interno e del rapporto intertestuale. Per questo ho chiamato haisan, termine felicemente coniato da Tartamella, quei componimenti costituiti da tre versi. Le variazioni di questi nell’incedere dell’opera sono in qualche modo parenti, mostrano dei comportamenti ereditati.

* Nel Manifesto della Poesia Haiku in lingua italiana, lo haisan è definito “un componimento poetico formato da tre versi. Il termine è composto dall’unione della prima parte della parola Haiku: HAI e dalla parola SAN che in giapponese vuol dire TRE. Quindi semplicemente ‘tre versi’. Sono gli haiku liberi, che non rispettano le sillabe, che non rispettano il Kigo.”

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