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Due testimonianze di Tawada Yōko e Murakami Haruki sull’11 marzo

Circa sei mesi fa, un violento terremoto – con tutto ciò che ne è conseguito – ha sconvolto alcune aree del Giappone. Oggi, dopo molte polemiche e molto dolore, voglio presentarvi le testimonianze di due importanti scrittori nipponici, Murakami Haruki e  Tawada Yōko (di cui mi sono occupata già in un altro post). Il contributo del primo è stato pubblicato qualche giorno fa nel <<Corriere della sera>> ed è consultabile a questo link (ringrazio Elena per la segnalazione); quello dell’autrice è invece riportato qui sotto. Il brano è stato tradotto da Mariano Manzo e tratto dal sito Le Rotte:

LA CALMA NELLA TEMPESTA
La parola “catastrofe” ha un suono diverso per le orecchie giapponesi

Da bambini abbiamo imparato a mantenere la calma in caso di una catastrofe naturale. Infatti quando sento la parola “catastrofe naturale” divento calma.
L’11 Marzo, poco dopo essermi svegliata mi ha chiamato una conoscente tedesca e mi ha chiesto se fosse successo qualcosa alla mia famiglia a Tokyo. Non sapevo ancora di cosa parlasse. Durante il giorno ero sempre più impressionata dalle tante persone dalla Germania, Francia, Italia, Stati Uniti e altri paesi che con apprensione mi telefonavano o mi scrivevano e-mail. Ho quindi provato a contattare da Berlino mia madre a Tokyo, ma subito ho realizzato che telefonicamente non ci sarei riuscita. Così ho inviato un’e-mail a mio padre e mia sorella per sapere se tutto andava bene.
Mio padre mi ha subito risposto che la metropolitana avrebbe ripreso a funzionare il giorno dopo e che quindi sarebbe potuto andare all’antiquariato per procurarmi quel libro che volevo. Questa è stata la prima cosa che mi ha scritto e non ho potuto fare a meno di ridere. Il libro mi serve urgentemente, certo, ma per quanto riguarda il terremoto? Mi sono ricordata lentamente che in queste situazioni bisogna concentrarsi su cose concrete, piccole e quotidiane come un libro, invece di pronunciare frasi ad effetto.
In giapponese non esiste una corrispondenza precisa alla parola “catastrofe”. Questo termine importato dal tedesco viene usato per la natura e in politica. Ciò dà la possibilità alle persone in caso di catastrofi naturali di pensare subito alla politica. Mio padre mi ha scritto poi che non poteva tornare a casa e che perciò avrebbe pernottato nell’ufficio della sua casa editrice. Sette scaffali erano caduti e i libri giacevano sul pavimento, ma non era successo niente.
In Giappone ci sono spesso terremoti sia lievi che forti e quindi non è per niente inusuale che gli scaffali cadano.
Fin dall’infanzia mi è stato detto continuamente che nell’arco della mia vita sarebbe arrivato un forte terremoto a Tokyo. Nel mio piccolo ero in qualche modo preparata, ma, attraverso le drammatiche riprese delle onde dello tsunami e di altre scene che si possono vedere su internet, sono stata improvvisamente messa di fronte a una paura fuori portata che si è impressa nei miei occhi. Questo non l’avevo calcolato.
La mia personalissima previsione era più prosaica. Ho sempre pensato che anche se tutta la casa o tutta la città venisse trascinata via, qualche sopravvissuto avrebbe cominciato, con un calzino o con una tazza, a ricostruire la vita nuovamente. Evitare il drammatico e concentrarsi sui piccoli oggetti che si possono toccare.
Ci sono alcune cose che mi hanno meravigliata. Per esempio non ho capito perché si parla della mancanza di energia elettrica come fosse il problema principale. Ho persino il sospetto che determinate persone usino questa situazione per dimostrare l’importanza delle centrali nucleari.
“Gente, se le centrali nucleari non lavorassero, la vita sarebbe così buia! Non è terribile?”
In Giappone il sole brilla più spesso e più forte che in Germania ma ci sono meno persone che credono che dal sole si possa ottenere energia. Naturalmente anche a Fukushima ci sono molte persone che si sono battute contro la costruzione delle centrali nucleari ma le loro voci non sono presenti nella stampa giapponese e sul pericolo della radioattività non si è mai parlato chiaramente.
Si parla di catastrofe naturale riguardo alla morte per radioattività ma la natura non ne è responsabile.

Una riflessione inquietante sul femminile: “Il bagno” di Tawada Yōko

E’ bene dirlo subito: ci sono delle storie che non sono per tutti, e Il bagno di Tawada Yōko (ed. Ripostes, pp. 95, 8 €) è una di queste.

Le ragioni sono tante: pochi potrebbero amare le atmosfere vischiose e decadenti che l’autrice dipinge con maestria, le sue lucide allucinazioni, la sofferta ambiguità dei personaggi. Coloro che concepiscono la letteratura come uno spazio piano, solare, razionale sono destinati a rimanere delusi dalla materia magmatica di questo racconto, che si struttura e si decostruisce senza sosta, in un susseguirsi di immagini acuminate e stranianti. Non si tratta, però, di una semplice parata di incubi, ma di un discorso figurativo e letterario che, attraverso l’utilizzo di visioni perturbanti, intende mostrare le difficoltà dell’esser donna, in particolare se di origine giapponese e residente in Europa; Tawada Yōko le conosce bene, dal momento che vive oramai da quasi trent’anni in Germania ed ha avuto modo di sperimentare sulla sua pelle gli stereotipi occidentali circa il femminino orientale.

Pagina dopo pagina, la giovane protagonista del libro – non a caso priva di un nome proprio e incline a riferirsi a se stessa utilizzando la terza persona singolare, come se parlasse di un’altra – è chiamata a confrontarsi con una serie di personaggi che tentano di foggiare per lei un’identità corrispondente ai loro bisogni o ai loro timori.

Ossessionata dal proprio fisico ontologicamente fuori controllo e in perpetuo mutamento (“Si dice che il corpo umano sia composto per l’ottanta per cento di acqua, per cui non c’è da meravigliarsi se ogni mattina allo specchio appare un viso diverso”), la ragazza tenta disperatamente di crearsi un volto e un organismo attraverso inverosimili prodotti di bellezza e ricorrendo agli sguardi indagatori della macchina fotografica di Xander, suo partner, nonché donatore di parola (è lui infatti che le insegna il tedesco, lingua della terra in cui vive) e artefice della donna, modellata affinché corrisponda ai canoni occidentali in materia di fascino nipponico. Gli scatti in cui lei è immortalata risultano in realtà sprovvisti di un soggetto: l’uomo giustifica l’evento inconsueto (“Ciò dipende sicuramente dal fatto che Lei non ha un aspetto abbastanza giapponese”) e modifica di conseguenza l’aspetto della compagna, tingendole i capelli di nero e le labbra di rosso, in ossequio ai più triti luoghi comuni legati al Sol Levante. Non soddisfatto, gestisce il rapporto di coppia con un paio di burattini (lui violinista, lei bambola giapponese rivestita di seta) che manovra a piacere, riducendo del tutto la donna a puro simulacro e contenitore dei suoi desideri.

Una volta acquisita questa identità posticcia, la protagonista si vede derubata anche dell’ultimo baluardo della sua autonomia: lo spettro della donna-ratto – incarnazione dell’individuo emarginato perché non uniformato – le sottrae con l’inganno la lingua, strumento fondamentale per esprimere il proprio pensiero, esercitare la volontà e costruire un io indipendente e libero (solo grazie al suo lavoro di interpete la ragazza potrebbe continuare a mantenersi economicamente, lontana dal proprio paese e da una madre immatura).

Privata dell’identità e ricoperta di squame (segno tangibile di una metamorfosi che la rende sempre più simile a un essere afono e passivo), la giovane è ridotta letteralmente a un fenomeno da baraccone; eppure, persino al circo, viene trattata con sufficienza e crudeltà.

L’incontro con la madre in Giappone, nelle stanze dell’infanzia, approfondisce il baratro: la vecchia che ha davanti, nevrotica e lacrimevole, è la negazione di qualsivoglia modello positivo di redenzione, europeo o nipponico che sia.

La conclusione non può che essere amarissima: la donna, le donne sono costrette dalla società ad alienarsi da sé e a condurre una vita estranea, incapaci di ribellarsi al mutismo e alla reificazione cui sono sottoposte giorno dopo giorno.

Bologna: Body Tracing – La traccia del femminile nel corpo della metropoli

Vi segnalo subito un evento interessantissimo del quale mi hanno parlato (grazie a arta Bi per la segnalazione):

* Body Tracing – La traccia del femminile nel corpo della metropoli (23 Ottobre – 11 Dicembre 2009)*

Dal 23 ottobre all’11 dicembre la libreria Serendipità e la Biblioteca Amilcar Cabral propongono un ciclo di incontri sulla letteratura giapponese contemporanea al femminile, dal titolo “Bodytracing”, curato da Paola Scrolavezza, docente di Lingua e letteratura giapponese all’Università Ca’ Foscari di Venezia e all’Università de- gli studi di Bologna, con la consulenza scientifica di Gianluca Coci, docente di Lingua e letteratura giapponese all’Università degli studi di Torino e con la collaborazione di Valerio Luigi Alberizzi (JSPS postdoctoral fellow), Dottore di ricerca in Civiltà dell’India e dell’Asia Orientale.
É un percorso attraverso sette romanzi o racconti, pubblicati tra il 2005 e il 2009, nei quali le autrici esplorano il complesso rapporto tra la donna e la città, il ruolo dello spazio urbano nella costruzione dell’identità di genere e la traccia del femminile nel corpo della metropoli. Sentimenti, desideri e paure si intrecciano nelle strade di città reali (Tokyo, Amburgo, Praga) e iperreali nelle pagine di Kirino Natsuo, Taguchi Randy, Yamada Eimi, Tawada Yoko, Hasegawa Junko, Ogawa Yoko, Yu Miri.
Ad ognuna di queste scrittrici sarà dedicato un incontro, che prevede la lettura di brani del libro e una discussio ne con studiosi ed esperti di diverse discipline: architetti, sociologi, antropologi, linguisti e registi cinematografi ci. Durante la lettura saranno proiettate immagini di opere di artisti contemporanei giapponesi che esplorano le relazioni fra architettura, corpo e spazio urbano.

Unopera di Hideaki Kawashima
Un’opera di Hideaki Kawashima

Ad ogni incontro sarà presente il traduttore italiano del libro in oggetto e in due casi le autrici.

> 23 ottobre 2009 Cappella Farnese ore 18,30 «GROTESQUE» di KIRINO NATSUO conducono Paola Scrolavezza e Gianluca Coci, intervengono Giovanna Franci, Raffaele Milani, Marco Bettini, Michele Righini
> 30 ottobre 2009 Cappella Farnese ore 18,30 «MOSAICO» di TAGUCHI RANDY incontro con Taguchi Randy; conducono Paola Scrolavezza e Gianluca Coci, intervengono Tommaso Pincio e Tiziana Villani
> 13 novembre 2009 Sala dell’Angelo, via San Mamolo 24, 18,30 «L’UOVO INFECONDO» di HASEGAWA JUNKO incontro con Hasegawa Junko; conducono Paola Scrolavezza e Gianluca Coci, interviene Alessandra Criconia
> 20 novembre 2009 Sala Conferenze, Quartiere Santo Stefano, via Santo Stefano 119, ore 18,30 «OCCHI NELLA NOTTE» di YAMADA EIMI conduce Paola Scrolavezza, interviene Tiziana Villani
> 27 novembre 2009 Sala dell’Angelo, via San Mamolo 24, ore 18,30 «IL BAGNO» di TAWADA YOKO conduce Paola Scrolavezza, intervengono Lucia Perrone Capano e Francesco E. Barbieri
> 4 dicembre 2009 Cappella Farnese ore 18,30 «PROFUMO DI GHIACCIO» di OGAWA YOKO conduce Paola Scrolavezza, interviene Massimiliano Matteri
> 11 dicembre 2009 Sala dell’Angelo, via San Mamolo 24, ore 18,30 «SCENE DI FAMIGLIA» di YU MIRI conduce Paola Scrolavezza, interviene Fabio Calvi

La manifestazione si svolge nel contesto dell’iniziativa nazionale per la promozione alla lettura “Ottobre Piovono Libri”, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e nasce dalla collaborazione di due diverse realtà che a Bologna lavorano per promuovere lo studio e la conoscenza delle culture dei paesi extraeuropei: una Biblioteca specializzata del Comune di Bologna, la Biblioteca Amilcar Cabral, e una Cooperativa di recente istituzione, Serendipità, che unisce all’attività editoriale quelle di biblioteca e libreria specializzata. (http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=69853)

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