Tag: letteratura giapponese

Un’inquietante sinfonia: “Musica” di Mishima Yukio

Lo ammetto: così proprio non me lo aspettavo. Probabilmente è stato il titolo a ingannarmi, a farmi credere che si sarebbe trattato di un romanzo piano, senza scossoni, delicato; insomma, per usare una parola vecchio stampo che calza a pennello: garbato.

Ma Musica (trad. di E. Ciccarella, Feltrinelli, pp. 208, € 7,50; ora in offerta cliccando qui su Amazon.it a € 5,62) di Mishima Yukio si rivela in realtà ben altro, malgrado agli esordi dia tutta l’impressione di voler presentarsi soltanto come un puntuale e accurato referto clinico (non a caso, il sottotitolo dell’opera è Un’interpretazione psicoanalitica di un caso di frigidità), stilato in prima persona da un tal dottor Shiomi Kazunori, analista di successo, alle prese con Reiko, giovane paziente ossessionata dalla sua incapacità di abbandonarsi alla soave melodia dell’orgasmo e con una spiccata tendenza alla menzogna.

Man mano che la narrazione procede – sempre all’insegna della lucidità e del rigore scientifico – s’infiltrano nella trama elementi perturbanti in grado di creare scompiglio nella vita e nell’interiorità di chiunque abbia a che fare con Reiko; più la ragazza tenta di avvicinarsi alla verità, più sente il bisogno di confondere se stessa e gli altri, suscitando conflitti e sentimenti ambigui.

Ciò che ne scaturisce è un racconto capace di mettere in discussione non soltanto la presunta normalità sessuale, ma una vasta gamma di valori e di certezze (la sanità della famiglia borghese, i metodi infallibili della psicoanalisi, la purezza dell’amore…), inevitabilmente corrotti dalle vischiose zone d’ombra dell’animo umano.

Novità: “La vergine eterna” di Ōe Kenzaburō

Una bellissima notizia per tutti gli amanti della letteratura giapponese contemporanea: da una settimana è disponibile in libreria La vergine eterna (trad. di Gianluca Coci, Garzanti, pp. 252, € 18,50; cliccando qui in offerta ora su Amazon.it a 13,95) di Ōe Kenzaburō, premio Nobel per la letteratura. Questa la presentazione del romanzo:

La pioggia cessa e il cielo diventa sereno all’improvviso, mentre qualche goccia continua a cadere. L’erba di un verde sfolgorante accarezza i piedi nudi di una bellissima fanciulla dai lunghi e lucidi capelli neri. Fin dalla sua prima giovinezza Kenzaburō Ōe è rimasto incantato dalla scena di questo film. Ma quello che più l’ha folgorato è stata lei, Sakura, attrice al suo debutto di fronte alla macchina da presa. La ragazza è poi diventata una stella del cinema hollywoodiano, specializzata nel ruolo di bellezza orientale, acclamata e adorata da registi e produttori famosi. Molti anni sono passati. Le proteste politiche degli anni Settanta a favore dei diritti dell’uomo stanno infiammando le piazze e le aule universitarie giapponesi. Sakura è ormai un’affermata artista internazionale, sposata a un professore di letteratura americano. Ma il Giappone e le cupe foreste dello Shikoku le sono rimaste nell’anima, insieme al desiderio di celebrarle in un film che la veda insieme protagonista e produttrice. Grande è la sorpresa di Kenzaburō Ōe nell’apprendere che è proprio lui, scrittore emergente, che la donna vuole come sceneggiatore della pellicola, ispirata a un famoso romanzo di Heinrich von Kleist. Un impegno prestigioso e lusinghiero, ma che diventa invece una discesa agli inferi per tutti coloro che vi lavorano. Prima fra tutte Sakura, che tra gli alberi della foresta è costretta a fronteggiare i fantasmi del suo passato. Un passato misterioso e buio, che anche lei credeva di aver dimenticato, ma che affonda le radici proprio in quel lontano giorno di primavera, mentre il suo cuore fremeva dall’emozione per il primo ciak della sua vita.

Il Giappone incontra la Cina: “Gli scrittori Meiji e la Cina” di Luca Milasi

Natsume Sōseki e Mori Ogai sono considerati due dei principali autori giapponesi del ‘900; non tutti però forse sanno che la loro opera è stata influenzata dal contatto con la Cina, come  spiega Luca Milasi in Gli scrittori Meiji e la Cina. Suggestioni letterarie nella produzione di Mori Ogai, Natsume Sōseki e Koda Rohan (edizioni Libreria universitaria, pp. 348, € 20). Questa la presentazione ufficiale:

La letteratura cinese ha esercitato notevoli suggestioni sulla produzione della generazione di scrittori giapponesi attivi nel periodo Meiji (1868-1912). L’ingresso nell’epoca moderna favorisce nei letterati giapponesi una conoscenza diretta della realtà della Cina contemporanea; allo stesso tempo, lo studio della cultura cinese è incentivato dal contatto con le teorie letterarie e scientifiche occidentali, che trasmettono agli autori giapponesi moderni un approccio filologico ai classici: nasce così la moderna sinologia giapponese, a tutt’oggi una delle scuole più puntuali e rigorose. L’influenza, sul piano letterario e linguistico, della cultura cinese sulle opere degli intellettuali giapponesi attivi a fine Ottocento è evidente in scritti autobiografici sugli anni della formazione, registrazioni di dibattiti letterari, stralci di romanzi e racconti originali qui presentati in traduzione per testimoniare la poliedricità dei narratori giapponesi moderni e la loro ammirazione per la letteratura cinese: un amore antico quanto la scoperta della scrittura stessa.

 

Murakami, il tè e il centro commerciale

Nell’immaginario occidentale, si tende a credere che in Giappone il tè sia una sorta di elisir circondato da un alone di rispettabilità quasi reverenziale, da sorseggiare alla penombra di un tempio o inginocchiati su un tatami. In realtà, le cose non stanno esattamente così: basti pensare alle innumerevoli macchinette automatiche – presenti davvero in ogni angolo – da cui acquistare la bevanda nipponica per eccellenza, per lo più ghiacciata o bollente (colgo l’occasione per sconsigliarvi di tutto cuore il terribile mix di caffè espresso e tè, assaggiato una volta soltanto per evitare l’assideramento).
Troviamo una conferma di ciò nel famosissimo Norwegian wood (da noi conosciuto anche come Tokyo blues) di Murakami Haruki. Durante la lettura del romanzo incappiamo in un tipico spaccato di vita quotidiana: due amici in un centro commerciale, quattro chiacchiere, una tazza di tè e qualcosa da mangiare.

Prendemmo la metropolitana e arrivammo a Nihonbashi. Forse perché dalla mattina non smetteva di piovere, le grandi sale dei magazzini Takashimaya erano deserte. Anche dentro arrivava l’odore della pioggia e le commesse si aggiravano con un’aria vagamente annoiata. Scendemmo al ristorante nel primo piano sotterraneo e dopo avere esaminato accuratamente i campioni di plastica esposti nella vetrina, ci decidemmo entrambi per il bentó. Anche
lì c’era pochissima gente, considerato che era ora di pranzo.
“E’ molto tempo che non mangio nel ristorante di un grande magazzino,” dissi mentre bevevo il té verde in una di quelle tazze bianche e lucide che si trovano solo, per l’appunto, nei ristoranti dei grandi magazzini.
“A me piace moltissimo,” disse Midori. “Mi dà la sensazione di fare qualcosa di speciale. Sarà perché da bambina non mi ci portavano quasi mai.”
[…]
“Quando ero piccola io pensavo che da grande sarei andata da sola al ristorante nei grandi magazzini e che avrei mangiato tutto quello che volevo e quanto volevo,” disse Midori. “Invece sono rimasta delusa: mangiare da sola in un posto del genere non è tutto questo gran divertimento. Prima cosa non è che si mangia tanto bene, poi anche se sono tanto grandi c’è sempre troppa folla e l’aria è viziata. Però ogni tanto mi prende la voglia di venirci.”

Audiobook gratis in giapponese

Grazie a una lettrice, Erika, da oggi è possibile consultare nella sezione del sito “Libri gratis una nutrita serie di ebook gratuiti in giapponese, con tanto di registrazione audio, testo e talvolta traduzione in inglese, tratti da questo link.
Nella lista sono presenti grandi romanzieri, quali Osamu Dezai (Il sole si spegne, Memorie…) , Murasaki Shikibu (Genji monogatari) e Soseki Natsume (Botchan, Kokoro, Io sono un gatto…), e celebri narratori, come Fumiko Hayashi, Ogai Mori, Kenji Miyazawa, Kido Okamoto e Ryūnosuke Akutagawa.

 

Anteprima di “High & dry”, il nuovo romanzo di Banana Yoshimoto

E’ finalmente giunto in libreria il nuovo atteso romanzo di Banana Yoshimoto – tradotto dalla bravissima Gala Maria Follaco- High & dry: primo amore (Feltrinelli, pp. 112, € 10; potete ora trovarlo qui su Amazon.it a 6,50), di cui parlerò presto più diffusamente. Per ora godetevi questa anteprima dal libro:

Nei primi giorni dell’autunno dei miei quattordici anni, come se presagissi qualcosa, il mondo mi sembrava risplendere di un colore ben preciso.
Sarà stato il marrone brillante delle castagne e il giallo vivo del loro interno, o l’odore di legno secco dei funghi maitake appena tirati fuori dal sacchetto di carta, o forse il verde e il giallo della zucca, la sua pienezza. Le foglie morte color dell’oro danzavano al soffio del vento nella luce anch’essa dorata, e l’aria era satura dell’odore che sprigionavano, un odore puro, come di qualcosa che è bruciato.
Tutto sembrava tempestato di grani d’oro, molto più del normale.
Quando la pioggia spazzava via la sporcizia dalla strada, l’aria tersa si sollevava come qualcosa di appena nato, e come un essere animato si metteva a vibrare. E tutt’intorno si diffondevano il profumo dell’osmanto, quel freddo che pizzica un po’ il naso, l’odore della terra bagnata. Che splendore, pensavo, sembra che il mondo intero renda omaggio all’autunno. Attraverso tutto ciò, la bellezza che custodivo dentro di me si spingeva con forza verso il mondo. Era una sensazione intensissima.

A quell’epoca ero sempre molto presa dalle mie riflessioni, che la maggior parte delle volte riguardavano il modo e i meccanismi in base ai quali funziona il mondo.

A causa di tutto questo riflettere, quando poi tornavo alla realtà capitava che mi trovassi davanti agli occhi cose strane.
Per esempio, una volta vidi un uomo sospeso sotto un viadotto, con un casco in testa. Vicino a lui non c’era nemmeno l’ombra di una motocicletta. Sorpresa, guardai meglio. Allora l’uomo sparì, e al suo posto c’erano dei mazzi di fiori, portati probabilmente da persone diverse, appoggiati al guardrail.
Ecco, è morto lì… mi dissi, e giunsi le mani con discrezione. Fu un pensiero spontaneo.
E così avevo imparato un’altra cosa.
Portare fiori a un morto non è una perdita di tempo. Quell’uomo stava lì apposta per reggerli. Sicuramente gli facevano bene, e gli arrivava anche il loro profumo.
Oppure, una volta che fissavo distrattamente la schiena di una compagna di classe, mi si materializzò davanti agli occhi la scena di suo padre e sua madre che litigavano. Non sapevo neanche che faccia avessero, eppure li vidi.
Mi chiesi se fosse vero e provai subito simpatia per quella ragazza, che non era nemmeno mia amica. Timidamente pensai: spero che tuo padre e tua madre facciano pace! E così lei, che non parlava quasi mai, durante la ricreazione mi fece un sorriso, e prima di tornare a casa agitò la mano e mi salutò con un “bye-bye!”.
Mi domandai cosa le fosse preso. Forse le persone sono capaci di comunicare anche così, senza che dal di fuori si veda nulla.
Allora è per questo che certe volte, dopo aver incontrato qualcuno apparentemente molto allegro, sentiamo un brivido in fondo al cuore… A volte scoprivo anche cose del genere. […]

“Paprika”: un romanzo, un anime

Il libro di cui voglio parlarvi oggi forse suonerà familiare agli appassionati di manga, sebbene sia un romanzo: sto pensando a Paprika di Tsutsui Yasutaka, uno dei più celebri scrittori di fantascienza giapponese. L’opera è stata pubblicata nella rivista Marie Claire all’inizio degli anni ’90, per poi essere adattata ad anime nel 2006 dal compianto regista Satoshi Kon (qui sotto potete vedere il trailer del film). Da quanto mi è dato sapere, purtroppo non esiste una traduzione italiana del volume; è però reperibile quella inglese.
La vicenda narrata ruota attorno a una nuova rivoluzionaria tecnica di intervento nel trattamento dei disordini mentali: la psichiatra vincitrice del Nobel Chiba Atsuko utilizza il suo alter ego Paprika per intervenire nei sogni altrui e aiutare gli individui a superare i loro problemi. La realtà finisce in tal modo per confondersi al mondo onirico, e viceversa; ed il lettore – così come lo spettatore – non può fare a meno di abbandonarsi a questo fantasmagorico caleidoscopio.

 

Una riflessione inquietante sul femminile: “Il bagno” di Tawada Yōko

E’ bene dirlo subito: ci sono delle storie che non sono per tutti, e Il bagno di Tawada Yōko (ed. Ripostes, pp. 95, 8 €) è una di queste.

Le ragioni sono tante: pochi potrebbero amare le atmosfere vischiose e decadenti che l’autrice dipinge con maestria, le sue lucide allucinazioni, la sofferta ambiguità dei personaggi. Coloro che concepiscono la letteratura come uno spazio piano, solare, razionale sono destinati a rimanere delusi dalla materia magmatica di questo racconto, che si struttura e si decostruisce senza sosta, in un susseguirsi di immagini acuminate e stranianti. Non si tratta, però, di una semplice parata di incubi, ma di un discorso figurativo e letterario che, attraverso l’utilizzo di visioni perturbanti, intende mostrare le difficoltà dell’esser donna, in particolare se di origine giapponese e residente in Europa; Tawada Yōko le conosce bene, dal momento che vive oramai da quasi trent’anni in Germania ed ha avuto modo di sperimentare sulla sua pelle gli stereotipi occidentali circa il femminino orientale.

Pagina dopo pagina, la giovane protagonista del libro – non a caso priva di un nome proprio e incline a riferirsi a se stessa utilizzando la terza persona singolare, come se parlasse di un’altra – è chiamata a confrontarsi con una serie di personaggi che tentano di foggiare per lei un’identità corrispondente ai loro bisogni o ai loro timori.

Ossessionata dal proprio fisico ontologicamente fuori controllo e in perpetuo mutamento (“Si dice che il corpo umano sia composto per l’ottanta per cento di acqua, per cui non c’è da meravigliarsi se ogni mattina allo specchio appare un viso diverso”), la ragazza tenta disperatamente di crearsi un volto e un organismo attraverso inverosimili prodotti di bellezza e ricorrendo agli sguardi indagatori della macchina fotografica di Xander, suo partner, nonché donatore di parola (è lui infatti che le insegna il tedesco, lingua della terra in cui vive) e artefice della donna, modellata affinché corrisponda ai canoni occidentali in materia di fascino nipponico. Gli scatti in cui lei è immortalata risultano in realtà sprovvisti di un soggetto: l’uomo giustifica l’evento inconsueto (“Ciò dipende sicuramente dal fatto che Lei non ha un aspetto abbastanza giapponese”) e modifica di conseguenza l’aspetto della compagna, tingendole i capelli di nero e le labbra di rosso, in ossequio ai più triti luoghi comuni legati al Sol Levante. Non soddisfatto, gestisce il rapporto di coppia con un paio di burattini (lui violinista, lei bambola giapponese rivestita di seta) che manovra a piacere, riducendo del tutto la donna a puro simulacro e contenitore dei suoi desideri.

Una volta acquisita questa identità posticcia, la protagonista si vede derubata anche dell’ultimo baluardo della sua autonomia: lo spettro della donna-ratto – incarnazione dell’individuo emarginato perché non uniformato – le sottrae con l’inganno la lingua, strumento fondamentale per esprimere il proprio pensiero, esercitare la volontà e costruire un io indipendente e libero (solo grazie al suo lavoro di interpete la ragazza potrebbe continuare a mantenersi economicamente, lontana dal proprio paese e da una madre immatura).

Privata dell’identità e ricoperta di squame (segno tangibile di una metamorfosi che la rende sempre più simile a un essere afono e passivo), la giovane è ridotta letteralmente a un fenomeno da baraccone; eppure, persino al circo, viene trattata con sufficienza e crudeltà.

L’incontro con la madre in Giappone, nelle stanze dell’infanzia, approfondisce il baratro: la vecchia che ha davanti, nevrotica e lacrimevole, è la negazione di qualsivoglia modello positivo di redenzione, europeo o nipponico che sia.

La conclusione non può che essere amarissima: la donna, le donne sono costrette dalla società ad alienarsi da sé e a condurre una vita estranea, incapaci di ribellarsi al mutismo e alla reificazione cui sono sottoposte giorno dopo giorno.

Nuovo numero di “Bonsai & suiseki magazione” con recensione di “Prima neve sul Fuji”

Con l’arrivo dell’estate, il desiderio di stare all’aria aperta e in contatto con la natura cresce esponenzialmente; perché allora non sfogliare il nuovo numero di “Bonsai & suiseki magazine” per ricavare qualche idea interessante? Basta cliccare qui per leggere gratuitamente la rivista.
Se oltre al pollice verde siete dotati anche di una certa dose d’amore per la letteratura giapponese, allora vi consiglio di dare un’occhiata a pag. 189 alla mia recensione di Prima neve sul Fuji, una raccolta di racconti firmati Kawabata (qui un assaggio).

Brividi dal Giappone: “La confessione” di Kanae Minato

Dal Giappone è arrivato un nuovo, agghiacciante thriller (gentilemente segnalatomi da Barbara, che ringrazio), tanto più inquietante dal momento che vede vittima una bambina uccisa da due alunni della madre, insegnante di scuola media: si tratta de La confessione di Kanae Minato (Giano, pp. 288, € 17; ora qui disponibile a 12,25 su Amazon.it ), da cui è stato ricavato il film Confessions (Kokuhaku) del regista Tetsuya Nakashima, candidato agli Oscar come miglior film straniero (sotto potete vedere il trailer).
Per saperne di più, ecco la presentazione dell’editore:

La rivelazione è di quelle agghiaccianti, soprattutto se a farla è una giovane professoressa che ha da poco perso la sua bambina e ad ascoltarla sono i suoi alunni, la classe alla quale Moriguchi Yuko rivolge un discorso di addio: «La mia Manami non è morta accidentalmente; è stata uccisa da qualcuno di voi».
La figlia dell’insegnante di scienze aveva quattro anni quando, un mese prima della fine dell’anno scolastico alla scuola media S, in una cittadina del Giappone, è stata trovata morta nella piscina dell’istituto. A causa di quello che tutti hanno ritenuto un incidente, la madre ha deciso di abbandonare per sempre il suo lavoro. Ma al termine dell’ultimo giorno di scuola, alla classe che ascolta immobile giunge il glaciale annuncio: lí nella I B, presenti in aula, ci sono due assassini.
Freddamente, quasi scientificamente definendoli A e B, la professoressa rende identificabili ai compagni i due ragazzi e rivela la sua scoperta di come essi abbiano premeditato e compiuto l’omicidio di una bambina indifesa. Inoltre, con altrettanta freddezza, l’insegnante comunica la sua decisione: non ha intenzione di denunciare i due assassini alla polizia. Ha invece già messo in atto una personale vendetta, atroce e immediata ma escogitata in modo che le devastanti conseguenze si manifestino lentamente, affinché i giovani criminali abbiano il tempo di pentirsi e trascorrere il resto dei loro giorni sopportando il fardello della colpa di cui si sono macchiati.
Nelle settimane successive, attraverso un diario, un blog, una lettera, appare in tutta la sua spaventosa portata il perché del gesto compiuto da Nao e Shūya, due adolescenti diversi tra loro ma entrambi apparentemente senza problemi. Dietro lo squilibrio psichico e morale dei due ragazzi, emergono le responsabilità delle rispettive famiglie, tra una madre iperprotettiva e una assente, e di una società dove sempre piú il disagio giovanile sfocia in efferati delitti. E ancora, violente e tragiche, affiorano le conseguenze della vendetta subita, non solo e non tanto sul loro fisico, ma soprattutto sul loro già instabile equilibrio interiore. Fino all’erompere di un’imprevedibile e sconvolgente conclusione.
Come un Delitto e castigo contemporaneo, Confessione svela il nichilismo degli adolescenti perduti del Giappone d’oggi, una società nella quale la capacità di agire con distacco, l’autocontrollo sulle proprie emozioni e reazioni, la lucidità nella follia rendono ancor piú inquietante e apocalittico lo smarrimento delle giovani generazioni.

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