“Dopo più di novanta tombe può farsi valere la tendenza a stilare liste, come la dama di corte giapponese Sei Shoˉnagon che intorno all’anno 1000 annotò nelle sue Note del guanciale le cose che trovava più belle in ogni stagione. La mia lista si presenterebbe in questo modo: tombe inadatte ai loro morti, tombe difficili da trovare, tombe di persone conosciute di persona, tombe che dovrebbero trovarsi da qualche altra parte. Murasaki Shikibu, autrice della magistrale Storia di Genji, fu come Sei Shoˉnagon dama di compagnia alla raffinatissima corte di Kyoto durante il periodo Heian: ora riposa in uno strano luogo non protetto di quella stessa città, accanto a una strada su cui le auto corrono a tutta velocità, accostata al muro cieco di un edificio insignificante. Una piccola lapide e un’iscrizione a caratteri giapponesi in un cortiletto aperto: una sepoltura del tutto inadeguata a una donna per cui le minime differenze tra l’abito di un camerlengo di terzo rango e quello di un camerlengo di quarto rango erano questioni di vita quotidiana e che nel segreto di quella corte ha composto un capolavoro che viene letto a mille anni di distanza.
E anche davanti alla tomba del sottilissimo Kawabata – il poeta delle fluide linee poetiche e dei sentimenti erotici finemente modulati – provo un senso di smarrimento. Non saprei dire che genere di sepoltura mi fossi aspettato, in ogni caso qualcosa che suggerisse un senso di malinconia e di fugacità, non quello spoglio monumento di marmo grigio scuro, una specie di fortezza della morte entro cui silhouette esotica tra tutti quei grandi scienziati americani. Ora è sepolto in una sconfinata distesa di tombe nei pressi di Kamakura. Siamo arrivati fin lì con il taxi 33-54. Credo di essermi annotato quel numero perché era l’unica cosa che riuscissi a leggere. Tutti i cimiteri sono romanzi, ma questo romanzo per me non ha parole, solo segni. La giornata è luminosa. Il grigio, quando vuole, può irradiare una luce intensa. È un lungo cammino fino alla tomba, una composizione per ghiaia e suola delle scarpe. Qualcuno prova a spiegarmi il significato dei segni. Il suo stemma di famiglia, un triangolo rivolto verso il basso tra tre triangoli rivolti verso l’alto. Cosa c’è scritto: il suo nome, che ha vinto il premio Nobel, che è stato insignito di un ordine importante, che si tratta di una tomba di famiglia. E poi quella sorprendente invenzione giapponese: un nome postumo. Perché noi non abbiamo niente del genere? Un nome che vale soltanto quando non ci sei più, così nell’aldilà sanno come devono chiamarti. Puoi scegliertelo da solo? E se sì, come vorresti chiamarti? Qualcuno? Niente? Nessuno? Chiunque? Il Morto? O, semplicemente, con il nome con cui hai
attraversato la tua vita ormai conclusa?”
Brano tratto da Tumbas. Tombe di poeti e pensatori di Nooteboom Cees (trad. di F. Ferrari, Iperborea, 2015, pp. 39-40)
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L’immagine della tomba di Murasaki Shikibu tratta da Tale of Genji