"Il suono della montagna" di Kawabata Yasunari

Il suono della montagna di Kawabata Yasunari è, a ragione, ritenuto uno dei massimi capolavori della narrativa giapponese del ‘900. Libro apparentemente semplice e ingenuo, nasconde in verità dentro di sé numerosi temi e ancora maggiori spunti di riflessione, accompagnandoli da un’acuta, ma mai invasiva capacità di approfondimento e di introspezione dei personaggi, delineati in modo realistico e, al tempo stesso, lirico.

La locandina del film (1954) tratto dal libro
La locandina del film (1954) tratto dal libro

La trama, estremamente lineare, può apparire ad un primo sguardo come il nudo racconto dell’invecchiamento ― pacato ma inevitabile ― del protagonista che, giorno dopo giorno, è costretto sempre più a osservare, quasi impotente, il silenzioso spettacolo del disfacimento della sua famiglia e di se stesso.
Le piccole amnesie quotidiane, gli improvvisi e malinconici risvegli nel cuore della notte, i comportamenti irresponsabili dei figli non fanno altro che rammentare a Shingo i suoi limiti, sempre più angusti. L’uomo, però, soffre soprattutto per la forzata e dolorosa rinuncia alla gioventù e alla bellezza, incarnate dalla lieve Kikuko, la nuora di Shingo, verso la quale egli prova un’intensa ed equivoca tenerezza.
Sotto i gesti e le parole, sempre commisurati a un forte senso dell’onore, vi è, in realtà, un sottobosco di rimpianti, di allusioni, di ricordi, che trovano spesso una metafora nel mondo naturale. Esemplare è il caso del bonsai d’acero, simbolo del primo e, forse unico, grande amore di Shingo, la sorella defunta della moglie: la pianta, infatti, ha custodito in sé la grazia sommessa della proprietaria. L’affezione dell’uomo per questo piccolo acero ha permesso a Kawabata di scrivere toccanti pagine sui bonsai, non ritenuti meri elementi decorativi, ma parte viva dell’esistenza. Vogliamo perciò concludere con questa semplice, ma veritiera riflessione: «[…] Quando si viene in possesso di un vaso di bonsai, uno si sente responsabile di non rovinare la forma della pianta, di non farla morire. È una buona medicina per chi è pigro.»

Il nuovo romanzo di Murakami: 1Q84

Chiedo scusa agli appassionati di Murakami Haruki, ma pubblico solo oggi le notizie relative al suo ultimo romanzo, uscito in Giappone a maggio: non amando particolarmente questo scrittore, non lo seguo con assiduità.
Il libro si chiama 1Q94 (il numero 9, in giapponese, si pronuncia “kyu”) e sta facendo impazzire il Giappone; iIn Italia, per leggerlo, si dovrà attendere il 2011, data giustificabile vista la mole del volume (1055 pagine). I fan di Murakami, per ingannare il tempo, possono consolarsi con le ristampe dei suoi testi, in uscita nei prossimi mesi.
Vi lascio con un articolo di Paolo Salom, tratto dal <<Corriere della sera>>:

Un bestseller ancor prima di raggiungere gli scaffali. È un caso l’ ultimo romanzo di Haruki Murakami, arrivato nelle librerie del Giappone avvolto da una impenetrabile cortina di riserbo. L’ autore giapponese, tornato a pubblicare dopo cinque anni di silenzio – l’ ultima sua opera, After Dark, è del 2004 – ha preteso che la casa editrice Shinchosha non rivelasse una sola parola contenuta nelle mille e più pagine di 1Q84, saga in due volumi che già dal titolo appare come un omaggio a Orwell. La lettera «Q», infatti, in giapponese suona «kyu» ed è omofona del numero 9. Dunque, il titolo letto in originale – ichi kyu hachi yon – diventa, appunto, 1984. Nonostante la totale assenza di pubblicità, a Tokio e nelle altre principali città del Sol Levante, migliaia di appassionati si sono messi in coda ieri nella speranza di poter acquistare il libro, la cui prima tiratura è stata già aumentata, viste le richieste, da 380 mila a 480 mila copie. Perché tanto mistero? Pare che i fan di Murakami si fossero molto indispettiti in occasione dell’ uscita (2002) di Kafka sulla spiaggia, pubblicato in Italia da Einaudi. Le proteste dei lettori sono prese in grande considerazione in Giappone: da qui la decisione, condivisa da autore e casa editrice, di non divulgare anticipazioni. Visto il successo di 1Q84, la scelta appare remunerativa: «È la prima volta che pubblichiamo un lavoro senza alcuna promozione commerciale», ha confessato, soddisfatta, Akiko Saito, direttrice editoriale della Shinchosha. Murakami, 60 anni, è venerato come il più grande scrittore vivente in Giappone, tanto che da tempo si parla di lui come un possibile Premio Nobel. In 1Q84, spiega da Tokio Alessandro Gerevini, traduttore di Banana Yoshimoto, l’autore costruisce due mondi paralleli e speculari, divisi tra realtà e irrealtà, con i protagonisti, un uomo e una donna, che si cercano pagina dopo pagina fino all’ epilogo finale, un colpo di scena in cui prevale il mondo della fantasia, tra scoppi di violenza, uccisioni e suicidi. È il classico universo di Murakami, una sorta di citazione circolare delle proprie opere – per prima Kafka sulla spiaggia – e omaggi, almeno apparenti, ai grandi scrittori dell’ Occidente: Kafka, appunto, nel 2002, e ora George Orwell. Tributi che non necessariamente sono evidenti nello svolgersi del romanzo. Ma che possono avere un senso in un progetto autoriale che appare qui nel suo culmine. In Italia, 1Q84 uscirà (nel 2011) da Einaudi.

Grazie
Chiedo scusa agli appassionati di Murakami Haruki (come .., che ha lasciato un commento nel blog in questi giorni) ma pubblico solo oggi le notizie relative al suo ultimo romanzo, uscito in Giappone a maggio: non amando particolarmente questo scrittore, non lo seguo con assiduità.
La sua ultima fatica si chiama 1Q94 (il numero 9, in giapponese, si pronuncia “kyu”) e sta facendo impazzire il Giappone. In Italia, per leggerlo, si dovrà attendere ben il 2011; data giustificabile vista la mole del volume (1055 pagine). I fan di Murakami, per ingannare il tempo, possono consolarsi con le ristampe dei suoi testi, in uscita nei prossimi mesi.
Vi lascio con un articolo di Paolo Salom, tratto dal Corriere della sera:

Un bestseller ancor prima di raggiungere gli scaffali. È un caso l’ ultimo romanzo di Haruki Murakami, arrivato nelle librerie del Giappone avvolto da una impenetrabile cortina di riserbo. L’ autore giapponese, tornato a pubblicare dopo cinque anni di silenzio – l’ ultima sua opera, After Dark, è del 2004 – ha preteso che la casa editrice Shinchosha non rivelasse una sola parola contenuta nelle mille e più pagine di 1Q84, saga in due volumi che già dal titolo appare come un omaggio a Orwell. La lettera «Q», infatti, in giapponese suona «kyu» ed è omofona del numero 9. Dunque, il titolo letto in originale – ichi kyu hachi yon – diventa, appunto, 1984. Nonostante la totale assenza di pubblicità, a Tokio e nelle altre principali città del Sol Levante, migliaia di appassionati si sono messi in coda ieri nella speranza di poter acquistare il libro, la cui prima tiratura è stata già aumentata, viste le richieste, da 380 mila a 480 mila copie. Perché tanto mistero? Pare che i fan di Murakami si fossero molto indispettiti in occasione dell’ uscita (2002) di Kafka sulla spiaggia, pubblicato in Italia da Einaudi. Le proteste dei lettori sono prese in grande considerazione in Giappone: da qui la decisione, condivisa da autore e casa editrice, di non divulgare anticipazioni. Visto il successo di 1Q84, la scelta appare remunerativa: «È la prima volta che pubblichiamo un lavoro senza alcuna promozione commerciale», ha confessato, soddisfatta, Akiko Saito, direttrice editoriale della Shinchosha. Murakami, 60 anni, è venerato come il più grande scrittore vivente in Giappone, tanto che da tempo si parla di lui come un possibile Premio Nobel. In 1Q84, spiega da Tokio Alessandro Gerevini, traduttore di Banana Yoshimoto, l’ autore costruisce due mondi paralleli e speculari, divisi tra realtà e irrealtà, con i protagonisti, un uomo e una donna, che si cercano pagina dopo pagina fino all’ epilogo finale, un colpo di scena in cui prevale il mondo della fantasia, tra scoppi di violenza, uccisioni e suicidi. È il classico universo di Murakami, una sorta di citazione circolare delle proprie opere – per prima Kafka sulla spiaggia – e omaggi, almeno apparenti, ai grandi scrittori dell’ Occidente: Kafka, appunto, nel 2002, e ora George Orwell. Tributi che non necessariamente sono evidenti nello svolgersi del romanzo. Ma che possono avere un senso in un progetto autoriale che appare qui nel suo culmine. In Italia, 1Q84 uscirà (nel 2011) da Einaudi.

Foto tratta da qui

Manga, anime e un libro

Dato che il fine settimana si avvicina e la stanchezza si fa notevolmente sentire, stasera voglio staccare dai “soliti” libri e dedicare il post al mondo degli anime e dei manga, segnalandovi alcuni eventi.
Innanzitutto, da oggi sino al 17 gennaio si svolgerà a Torino, presso la Mole antonelliana, la mostra Manga Impact,  con l‘anteprima del film Il mio vicino Totoro di Miyazaki (per il programma delle manifestazioni, leggete qui). Per gli abitanti della capitale, invece, all’Istituto di cultura giapponese di Roma, il 20 ottobre, alle 18.30, si terrà una conferenza dedicata agli anime e ai manga.
E per chi, invece, non può spostarsi da casa? Basta mettere sul comodino il volume L’incanto del mondo. Il cinema di Hayao Miyazaki, di Anna Antonini (ed. Il Principe Costante,pp. 192, 14 €). E questa la recensione di Giulia Mozzato:

Sebbene sia spesso critico verso la letteratura giapponese per ragazzi, si dichiari ammiratore di autori occidentali per l’infanzia e abbia molto in comune con Carroll e Saint-Exupéry, Miyazaki non può prescindere da ciò che è peculiare della sua cultura d’origine. Il risultato è una mediazione tra culture in cui l’armonia finale è data dal fondersi di diverse concezioni del mondo e del narrare. La scelta di tali elementi sembra seguire le modalità del pensiero giapponese: ciò che funziona, è suggestivo ed è concretamente utile all’economia del racconto viene conservato e assorbito. E poco importa se arriva da Oriente o da Occidente.”
Sono tanti i professionisti dell’animazione che in questi anni hanno percorso nuove strade sia da un punto di vista prettamente tecnico che per ciò che riguarda l’ideazione e la realizzazione di storie originali.
Come tutti sanno in questa direzione sono andati molti autori giapponesi, alcuni dei quali totalmente sconosciuti in Italia dove persiste un certo pregiudizio sulla qualità delle loro opere. Non è il caso di Miyazaki Hayao, ormai osannato dalla critica (la giuria del Festival del Cinema di Venezia quest’anno gli ha attribuito il Leone d’oro alla carriera ed è solo l’ultimo di una serie importante di riconoscimenti europei) e amatissimo dal pubblico. La città incantata, ad esempio, Orso d’oro nel 2002 a Berlino, è uno di quei film che difficilmente trovano detrattori.
Così come pare sia destinato a ricevere solo elogi l’ultimo lungometraggio proprio in questi giorni nelle nostre sale, Il Castello Errante di Howl.
Alla luce di tutto ciò ha sicuramente un senso cercare di conoscere meglio la sua storia professionale, ripercorrendone le tappe che vanno dai serial televisivi destinati al grande pubblico, ma non per questo meno curati nella loro realizzazione, come Heidi (chi non la ricorda?), Anna dai capelli rossi, Lupin III, Il fiuto di Sherlock Holmes, per citarne alcuni conosciuti anche dal pubblico italiano.
Anna Antonini innanzitutto affronta e smonta nell’Introduzione alcuni pregiudizi radicati sull’opera dei disegnatori giapponesi: dal motivo per il quale realizzano occhi grandi e rotondi a quello per cui hanno spesso scelto storie tradizionali europee anziché narrazioni nipponiche. E ci ricorda che la prima serie televisiva prodotta al di fuori degli Stati Uniti ad arrivare in Italia nel 1975, Vicky il vichingo, era già una coproduzione della tedesca Munchen Merchandising e della Toei Doga, colosso dell’animazione giapponese dove a lungo ha lavorato Miyazaki: ma quanti lo sapevano?
Nel 1985 Miyazaki e l’amico e collega Takahata fondano lo Studio Ghibli, che ancor oggi gestisce tutte le fasi di produzione e postproduzione delle sue opere, “battezzandolo sì con il nome del vento, ma soprattutto con il nome di un aereo da guerra italiano di cui Miyazaki ama particolarmente il design”. Divertente e illuminante la citazione dello stesso autore che offre una chiave di lettura di due suoi capolavori, Kiki’s Delivery Service (1989) e La città incantata, paragonando molti momenti delle due storie con “un esordio nel mondo dell’animazione” e le successive difficoltà di lavoro e di rapporti. “La strega Yubaba è il signor Suzuki, il presidente dello studio Ghibli. Il funzionamento e l’organizzazione del bagno termale sono in effetti molto simili a quelli della nostra società. Chihiro potrebbe essere considerata una giovane disegnatrice appena arrivata”. L’avreste mai immaginata una simile metafora? Tutto il saggio del resto è costellato di curiosità e scoperte, affiancate a un’analisi approfondita dei singoli aspetti dell’intera opera del disegnatore: dalle origini alle fonti d’ispirazione, dalle tecniche più raffinate alle difficoltà pratiche, dalla scelta dei personaggi (predilette le protagoniste femminili) alle ambientazioni. E in appendice dettagliate schede filmografiche dei suoi lavori più importanti e una filmografia completa.

In viaggio con Murakami: reportage di Repubblica.it (2)

Ecco qui la seconda puntata del reportage In viaggio con Murakami di Dario Olivero, pubblicato da Repubblica.it, dal calviniano titolo
Se una notte d’estate un viaggiatore:

Una porta deve essere qui, alla stazione della metro di Shinjuku. Non quella di Shibuya dove vive il protagonista di Dance dance dance. A Shinjuku, dove succede sempre qualcosa nei libri di Haruki Murakami. Un’altra porta potrebbe essere all’Albergo del Delfino, ma è a Sapporo, non a Tokyo. Un’altra in fondo a qualche pozzo, ma dove si può trovare un pozzo in una città che ha fatto dell’altezza la sua principale dimensione di sviluppo? No, la porta deve essere qui, a Shinjuku.

Shinjuku
Shinjuku

Qui, seduto da queste parti, Okada Toru impara a guardare i volti delle persone come in una pratica zen nell’Uccello che girava le viti del mondo. Qui consuma i suoi pomeriggi da disoccupato, qui incontra la donna che darà l’ennesimo giro di ruota al suo destino sempre più occulto. Qui il Ranocchio mette in atto il suo piano per salvare Tokyo chiedendo a un mediocre impiegato di banca che lavora a due passi dalla stazione di aiutarlo nella sua lotta contro il Gran Lombrico nel racconto contenuto in Tutti i figli di dio danzano. Qui, a Shinjuku, crocevia di treni e di uomini.
Fuori dalla stazione non si fuma. Dentro qualsiasi locale sì. Virtù pubblica, vizi nei posti pubblici. C’è un’area fumatori in cui tutti si ammassano, all’aperto. Un metro più in là è vietato, anche se l’aria e il cielo sono gli stessi. Un vigile controlla. Pendolari arrivano e tornano come branchi di pesci. Uno se li immagina impiegati di banche, finanziarie, società hi-tech. Murakami ha sempre avuto un’altra idea del lavoro. Contando a caso nei suoi romanzi si individuano tra le altre le seguenti meno roboanti occupazioni: contatori di uomini calvi, fabbricanti di parrucche, fabbricanti di elefanti, controllori di merci in grandi magazzini, donne delle pulizie in love hotel, modelle di moda fotografate soltanto per le loro meravigliose orecchie. Intanto, nel mondo reale, il Giappone perde il 9,6% della produzione industriale, il 46 di esportazioni e quasi il sei di crollo del Pil. Tasso di disoccupazione salito al 4,4, diecimila suicidi all’anno tra gli over sessanta rimasti senza lavoro. Quando rimangono senza lavoro, continuano ad alzarsi presto, si radono, si vestono, escono di casa e rientrano la sera. Fanno finta di niente fino a quando resistono, come un imperatore che non ammette la sconfitta. Quanti di loro stanno prendendo ora il treno a Shinjuku? Quanti conoscono la porta nascosta qua sotto?
Due compagnie della metro, ci vorrà un po’ a capire che un biglietto di una non funziona per l’altra. Anche perché spesso le linee corrono praticamente parallele, si sovrappongono. Due linee, due mondi, due città. La prima è Il Paese della meraviglie, l’altra è La fine del mondo, come il titolo del libro. Il protagonista del romanzo vive in entrambe. Una è quella di superficie, l’altra è protetta da mura e quando vi si entra occorre lasciare fuori la propria ombra. Tra le due città, una scorza impenetrabile. Ogni tanto un varco, ma come gli illuminati, da Kafka a Lewis Carroll a Rudolf Steiner sanno, a ogni soglia c’è un Guardiano. E’ lui che taglia l’ombra di chi vuole entrare nell’altra città. Questo è il prezzo da pagare per lasciare quello che si crede noto per quello che si crede ignoto.
Tutto è verosimile, niente è reale alla Fine del mondo. Prendi una linea, la Yamanote per esempio. Attraversa tutte le stazioni in cui un turista potrebbe scendere per dare corpo al suo viaggio ideale, poi ritorna a Shinjuku. Ma è ancora lo stesso treno? Quante volte, in quante fermate, a seconda dell’ora, del vento, della luce, del capriccio di un dio sotterraneo si scende nella stessa città? Le due città si assomigliano, i gusti sono leggermente diversi, il cibo meno familiare, solo le stagioni sembrano identiche. E’ tutto dietro quella porta nascosta a Sninjuku. Nessuno la conosce, sarà la porta a decidere se manifestarsi. Forse stanotte, forse in sogno. Purché ne valga la pena.
Da La fine del mondo e il paese delle meraviglie: “Il problema era che non riuscivo assolutamente a ricordarmi né la ragione né lo scopo per cui avevo abbandonato il mio vecchio mondo ed ero venuto in quel posto. Qualcosa, qualche forza mi ci aveva portato. Qualche straordinaria e assurda energia. Così avevo perso la mia ombra e i miei ricordi, e adesso stavo per perdere il mio cuore”.

(fonte: http://olivero.blogautore.repubblica.it/2009/07/29/in-viaggio-con-murakami-2/;)
(foto: http://farm1.static.flickr.com/151/391469293_e89e2dac08.jpg)

“La città bucata”, di Satomi Ono

lacittabucataDa piccola, non vedevo l’ora che ricominciasse la scuola solo per poter sfogliare le nuove antologie; a quanto pare, il vizio della lettura mi è rimasto. Ripensando alla mia infanzia e alla mia sete di storie, dedico il post di oggi alle letture per bambini, che ultimamente ho un po’ trascurato. Il libro del giorno è, infatti, La città bucata di Satomi Ono (illustrazioni di Yoshihiro Ono, traduzione di Maria Cristina Gasperini), dell’editore Orecchio acerbo (16 pp., 6,50 €; età consigliata: quattro-otto anni).

Libro di qualità promosso anche da Legambiente, sicuramente insegnerà ai più piccoli il rispetto per l’ambiente e li aiuterà a confrontarsi con quelle zone buie di se stessi con le quali hanno poca confidenza.

Per saperne di più, ecco una recensione di Del Gobbo, tratta da qui, ed uscita su LIBER, ottobre-dicembre 2002:

Solo di recente Orecchio Acerbo, già da tempo studio grafico, ha esordito come editore. Dei tre libri finora pubblicati colpisce il progetto grafico originale ispirato alle edizioni francesi, all’avanguardia quanto a innovazione e sperimentazione. I libri, realizzati in cartoncino piegato a fisarmonica e che si può distendere, sono stampati su fronte e retro; la scelta dei caratteri tipografici e la disposizione dei testi, oltre al formato, sono le peculiarità che li contraddistinguono.

L’idea di esordire come editori si è concretizzata l’inverno scorso con il libro di Fabian Negrin Il gigante Gambipiombo, pubblicato dopo la mostra delle opere dell’artista allestita dallo studio. Poco dopo è apparso La città bucata, le cui illustrazioni avevano vinto il primo premio alla 7ª edizione del concorso d’illustrazione della città di Chioggia, promosso dall’associazione Teatrio. Si rivolge a bambini tra i 4 e gli 8 anni, pubblico al quale sono destinati gli albi illustrati.

Degli albi infatti questi libretti hanno le caratteristiche: immagine coloratissime a piena pagina e breve testo.
Incuriosisce la storia dal finale aperto e permeata di mistero, il cui protagonista è un buco che si apre d’improvviso in città,. Le spiegazioni dell’evento sono molteplici quanto fantasiose, paradossalmente formulate da coloro che dovrebbero essere razionali: gli scienziati. Ma nonostante nessuno ne conosca origine né natura, gli adulti all’insaputa dei bambini lo impiegano gettandovi dentro quel che non serve più.
Il buco inizia allora a rimpicciolirsi, fino a scomparire; ma poi riappare in cielo e getta i rifiuti sulla testa dei cittadini.
“E, cosa ancor più strana, nuovi buchi si aprirono in tutta la città. Nessuno capì mai cosa fossero. Tu lo sai?”

Il mistero rimane intatto e nel finale la storia rivela la sua struttura: circolare. Le illustrazioni tendono a imitare lo stile infantile, pur mantenendosi compositivamente equilibrate; il punto forte sono i colori e in alcuni felici momenti le figure diventano fortemente evocative. Sono da apprezzare la creatività e la professionalità dimostrate nel progetto e nelle illustrazioni. Ci aspettiamo altrettanta qualità nella cura dei testi, affinché l’orecchio acerbo di rodariana memoria su faccia davvero interprete dell’orecchio bambino, quello interessato a storie che gli adulti ormai non ascoltano più.

"Il crisantemo e la spada" di Ruth Benedict

E’ stato recentemente ristampato da Laterza uno dei più famosi saggi del Novecento dedicati alla cultura giapponese, Il crisantemo e la spada di Ruth Benedict (pp. 350, € 20). Si tratta di un’opera commissionata all’autrice, docente alla Columbia University, dall’Office of War Information degli Stati Uniti nel 1944 per studiare il misconosciuto Giappone, in modo tale da colpire con più efficacia i suoi punti deboli.

Ecco la presentazione, tratta dalla Prefazione di Ian Buruma:

Il crisantemo e la spada è un classico in virtù della sua lucidità intellettuale e stilistica. La Benedict era una scrittrice eccellente che spiegava idee complicate senza ricorrere al gergo tremendo degli addetti ai lavori. Lo stile, qualcuno direbbe, è un riflesso del carattere. Era una scrittrice di grande umanità e generosità di spirito. Pur essendo la descrizione di un nemico mortale approntata in tempo di guerra, questo libro, se letto oggi, forse potrebbe non offendere un lettore giapponese, anche qualora lui o lei fosse in disaccordo con alcune delle conclusioni dell’autrice. Nonostante i numerosi cambiamenti che hanno trasformato il Giappone e i giapponesi nel corso dell’ultimo mezzo secolo, c’è molto in questo libro che ancora suona vero.

Indice: Prefazione di Ian Buruma – Ringraziamenti – I Il Giappone come oggetto di studio – II I Giapponesi e la guerra – III « Ognuno al proprio posto » – IV La riforma Meiji – V I debiti nei confronti del passato e del presente – VI La difficile impresa di ripagare l’« on » – VII Il modo più difficile di ripagare un debito – VIII Il dovere di cancellare il disonore – IX Le passioni umane – X Il dilemma della virtù – XI L’autodisciplina – XII L’educazione del bambino – XIII Il Giappone dal giorno della sconfitta – Glossario – Note – Indice dei nomi

Un brano dell’opera: La difficile impresa di ripagare l’« on »

L’on è un debito e come tale, bisogna pagarlo, ma, in effetti, i Giapponesi considerano le forme di pagamento vero e proprio come appartenenti a tutt’altra categoria. Essi ritengono la nostra etica, che confonde, teoricamente e praticamente, due categorie diverse quali sono quella degli obblighi e quella dei doveri, altrettanto curiosa di quanto sarebbero curiosi, ai nostri occhi, i rapporti commerciali in comunità tribali il cui linguaggio non distinguesse il «debitore» dal «creditore» nelle operazioni monetarie. Nella società giapponese, la più importante, ed onnipresente, forma di debito che va sotto il nome di on è totalmente distinta dall’atto assolutamente costrittivo con cui il debito viene pagato e per indicare il quale si usa una terminologia che denota un contenuto concettuale completamente diverso. L’avere un debito (un on) non è un segno di merito, mentre il ripagarlo lo è. Il merito è, infatti, legato al fatto che ci si dedichi attivamente all’« impresa » della riconoscenza. Per capire questa questione del merito, può essere utile per noi fare un parallelo con quello che avviene in America nel campo delle operazioni finanziarie, comprese le sanzioni previste per i trasgressori delle leggi sulla proprietà. La gente è obbligata a mantenere gli impegni assunti e non vi sono attenuanti per chi si appropria dei beni altrui, così come non si considera il fatto di pagare o meno il debito contratto con una banca collegato a una questione di impulsi personali e si ritiene il debitore responsabile dell’aumento degli interessi e della somma originaria presa a prestito. Invece, il patriottismo e gli affetti familiari, per esempio, vengono visti come appartenenti a tutt’altra sfera, in quanto l’amore è visto come un fatto emotivo, il cui valore aumenta, aumentando la spontaneità con cui viene dato. Il patriottismo, inteso come il fatto di porre gli interessi della propria patria sopra a tutto, è ritenuto un atteggiamento alquanto donchisciottesco, e del tutto incompatibile con la debolezza della natura umana, a meno che gli Stati Uniti non vengano attaccati dal nemico. Venendo a mancare il fondamentale postulato giapponese del grande debito contratto automaticamente da ogni essere umano per il fatto di essere stato messo al mondo, pensiamo che ogni individuo dovrebbe, in caso di bisogno, avere compassione dei propri genitori ed aiutarli, che non dovrebbe picchiare la moglie e che dovrebbe provvedere alle necessità dei propri figli. Non si considerano, però, questi doveri alla stregua di un debito pecuniario, né se ne trae un tornaconto come se si trattasse di una questione d’affari. In Giappone, invece, si considerano tutti questi comportamenti alla stessa stregua in cui si considera, in America, la solvibilità finanziaria e le sanzioni previste sono altrettanto severe di quelle previste in America per chi non paga i conti o non corrisponde gli interessi ipotecari. Per i Giapponesi si tratta, cioè, di questioni di cui non ci si deve preoccupare solo in casi di emergenza, come, ad esempio, in caso di una dichiarazione di guerra o di grave malattia dei genitori, ma sono cose che costituiscono una costante preoccupazione per ogni individuo indistintamente, paragonabile a quella di un piccolo agricoltore dello Stato di New York preoccupato per le ipoteche che gravano sul suo podere o a quella di un finanziere di Wall Street, che veda il mercato salire dopo aver venduto «allo scoperto». I Giapponesi dividono in categorie distinte, ciascuna con regole sue proprie, le forme di pagamento dell’on che non hanno limiti né di valore né di tempo, da quelle con un equivalente quantitativo e che si è tenuti a rispettare in casi particolari. Il pagamento illimitato di un debito si esprime con il termine gimu e di esso si dice: « Non è possibile ripagare neppure una decimillesima parte di (questo) on. Il gimu di ciascun individuo comprende due diversi tipi di doveri: ripagare l’on verso i propri genitori, indicato con il termine ko, e ripagare l’on verso l’Imperatore indicato con il termine chu.

Bookcrossing a Biblioteca giapponese?

Biblioteca giapponese, come sapete, si propone di diffondere la conoscenza della letteratura e della cultura del Sol Levante. Per questa ragione, voglio lanciare un piccolo progetto, all’insegna del book crossing: darò in prestito alcuni dei miei volumi d’argomenti giapponese a chi me lo chiederà. In cambio, vorrei solo che i testi non siano stati maltrattati e che magari serbino una traccia di chi li ha letti (che so: un post it con un saluto, un fiore appassito, una bustina di tè come segnalibro… etc).
L’idea mi è venuta leggendo il blog http://librinprestito.splinder.com/ e notando quanti pochi libri giapponesi siano in circolazione nelle librerie.
Chiunque voglia partecipare al progetto è bene accetto: basta spedirmi un’email a bibliotecagiapponese@gmail.it con la richiesta del libro che volete prendere in prestito o con la lista dei libri che potreste prestare.
Al più presto cercherò di definire le modalità del prestito e vi informerò di tutto.

Per ora, i libri che potrei dare in prestito sono:
– Tanizaki Junichiro, Morbose fantasie (racconti)
– Mishima Yukio, Inquietudine d’amore (pezzo teatrale)
– Yoshimoto Banana, Tsugumi (romanzo)
– Francesco Morena, Utamaro (saggio d’arte)

Ora vi pregherei di lasciare nei commenti la vostra opinione, così che io possa scoprire se la mia idea può aver seguito o meno. Grazie. 🙂

[foto tratta da qui]

Venite a trovarmi su Facebook

Sono lieta di invitarvi sul neonato gruppo Facebook dedicato a Biblioteca giapponese, dove potrete trovare news ed eventi:
http://www.facebook.com/profile.php?id=100000186830951&ref=profile#/group.php?gid=156758405335

Mi potete trovare anche qui, nel gruppo dedicato agli haiku:
http://www.facebook.com/pages/Haijin-Community/141895621984?v=info&ref=mf#/pages/Haijin-Community/141895621984?v=wall&viewas=100000186830951&ref=mf
Lo so, i gruppi sono un po’ spogli, ma presto cresceranno, grazie anche alla vostra collaborazione. ^.^
Ps: al momento, nel profilo accetto solo l’amicizia di chi già conosco, semplicemente per una questione di riservatezza.

Cosa leggere durante un viaggio in Giappone…

… in particolare tratto dall’opera di Murakami Haruki? La domanda è stata posta a <<The Millions>>, uno dei maggiori blog del mondo dedicati ai libri. Il giornalista, Ben Dooley, raccomanda Kokoro di Natsume Soseki, un grande classico della letteratura nipponica, e Norwegian Wood (in Italia, tradotto come Tokyo Blues) di Haruki Murakami, malgrado non ritenga questo autore il più adatto per saperne di più sul Sol Levante. Dooley completa prematuramente il quadro con un’introduzione storica al Giappone, Inventing Japan (1853-1964) di Ian Buruma, e Dogs and Demons di Alex Kerr.
In tutta sincerità, io avrei dato maggiore spazio agli autori nipponici, proponendo, ad esempio, il Libro d’ombra di Tanizaki Yunichiro e, per confrontarsi con un particolare taglio occidentale, il romanzo Stupore e tremori di Amélie Nothomb. E voi, cosa suggerireste a qualcuno in partenza per il Giappone?

* * * * * *
Qui l’articolo di Dooley:

Former Millions contributor Emre writes in with this question:

“I’m flying to Japan on Saturday and, shamefully, have never read Haruki Murakami. I’ll be visiting Tokyo and other destinations for two weeks, what do you recommend I read that’ll be both a good intro to Murakami and teach me something about japan, too?”

coverIf you have your heart set on Murakami, I recommend you start with Norwegian Wood, the bittersweet love story that propelled him to superstardom. It lacks the fantastic elements of much of Murakami’s more popular work, but it contains perhaps the best depiction of modern Japanese life that Murakami has ever written.

To be honest, though, Murakami isn’t a great place to learn about Japan. As much as I like him, he doesn’t have much of interest to say about Japan as a country. His obsession with the West, rather than honing his eye for dissecting his own culture, has led him to cut it out of his stories almost entirely. As a result, Japan never plays a major role in his books. His characters tend to be culturally ambiguous and many of his novels could have just as easily taken place in, I don’t know, Sweden.

coverIf you really want to learn more about what it means to be Japanese, you might consider picking up a copy of Kokoro, by Natsume Soseki. Kokoro is a, perhaps the, great modern Japanese novel (at least most Japanese would tell you that) in much the same way that The Great Gatsby Is a great American novel. Kokoro trades Gatsby’s wit and panache for a solemn melancholy that I, frankly, find off-putting, but it’s unquestionably one of the most “important” Japanese novels, and a great introduction to the soul of modern Japan.

covercoverOn the non-fiction front, I highly recommend Ian Buruma’s Inventing Japan, which provides an excellent, entertaining encapsulation of Japan’s modern history. At a mere 174 pages, you can read it on the plane ride over, and still have time for two terrible movies. For a bleaker take on modern history, you might consider Alex Kerr’s Dogs and Demons, a dystopic look at Japanese bureaucracy and the country’s appalling environmental legacy. It can be a bit of a downer, but it provides an insightful behind-the-scenes look at what makes the country run.

Have a safe trip!

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