«La fantascienza lavora a stretto contatto con l’universo», ha detto una volta Ray Bradbury; perché, a differenza di quanto si è soliti pensare, essa – specie se di buona fattura – è visceralmente legata all’attualità, alle sue più profonde lacerazioni, alle sue ambiguità. Seppur solo in parte ascrivibile a questo genere, il romanzo di Itō Seikō Radio Imagination (Souzou Radio 想像ラジ,オ2013; trad. di Gianluca Coci, Neri Pozza, 2015) – vincitore del premio Noma per i nuovi scrittori – è un ottimo esempio di una letteratura militante capace di coniugare impegno e invenzione fantastica in maniera convincente. Occorre per questo, specie nelle prime pagine, abbandonarsi fiduciosi al flusso apparentemente surreale di parole, captando segnali e indizi (soprattutto emotivi) di una storia che sa ben presto rivelarsi toccante in modo genuino e originale.
Facendo ricorso a uno scenario bizzarro e quasi onirico, l’autore tenta di gettare luce su una delle pagine più drammatiche della storia giapponese recente, vale a dire il terremoto e lo tsunami verificatisi nel marzo 2011. Proprio in quei giorni, il trentottenne Akutagawa Fuyusuke finisce per ritrovarsi intrappolato fra i rami di un’alta criptomeria, senza sapere come e perché è giunto sin lì. Isolato dal mondo e disorientato, tenta di colmare la solitudine che lo assedia parlando con se stesso e rievocando brani musicali (su Youtube è disponibile una compilation dei pezzi citati nel libro). Quelli che all’inizio appaiono semplici brandelli di una conversazione intima si trasformano ben presto in un denso flusso di riflessioni, aneddoti, canzoni chiamato da Fuyusuke – ribatezzatosi per l’occasione DJ Ark – Radio Imagination; inoltre, poco alla volta, l’uomo scopre di essere in grado di mettersi in contatto con altri esseri umani attraverso il pensiero. E a tutti coloro che desiderano raccontare la propria storia lui lascia generosamente spazio: dietro quelle voci c’è l’urgenza di stabilire un contatto, comunicare un’emozione fragile, condividere un dolore insostenibile.
Il sisma, il maremoto e i conseguenti avvenimenti di Fukushima hanno infatti provocato un’interminabile scia di sofferenze, tanto che persino i defunti non si arrendono all’idea di abbandonare la Terra senza lasciare testimonianza di quanto patito:
«Non credo che i morti se ne siano andati all’altro mondo in silenzio!» […] sicuramente le loro grida disperate dovevano aver riecheggiato a lungo in tutta la città, fino all’ultimo respiro, insieme al loro lamento straziante e ai continui e rabbiosi gemiti.
Adoperando le voci dei suoi personaggi, Itō Seikō denuncia in tal modo il perbenismo dei media e la leggerezza con cui l’opinione pubblica tenta di disfarsi del pesante fardello delle vite ormai spente o indelebilmente ferite, pur di non compromettere un presente che, in fondo, tende a replicare gli stessi errori del passato perché incapace di imparare da esso:
«[…] siamo ossessionati dal desiderio di ascoltare la voce dei morti. Ma purtroppo non riusciamo a sentire niente. O meglio, sentiamo solo quello che si dice in giro, ovvero un mucchio di parole improntate a una finta allegria e a un falso ottimismo. Parole che provengono in misura più o meno uguale dalla televisione, dalla radio, dai giornali e anche dalla strada. Vogliono costringerci a seguire un’unica direzione: pregare per i morti del disastro, allontanarci da loro e dimenticarli al più presto, così da guardare solo avanti ed evitare che il paese si fermi a riflettere. Ma ovviamente non è giusto».
E ancora:
«Credo che sia assolutamente necessario rifondare il Giappone insieme ai morti, senza dimenticarsi di loro. E invece che cosa stiamo facendo? Insistiamo che bisogna guardare avanti come se non fosse accaduto niente, mettendo un coperchio sopra le nostre tragedie. Dove andremo a finire? Cosa ne sarà di questo paese?»
Con ironia, pathos e grande tatto, Itō Seikō ci costringe a fare i conti non soltanto con le vittime del marzo 2011, ma di ogni tempo e luogo; le coscienze – sembra dirci – non possono e non devono mai adagiarsi, pena la perdita della loro stessa umanità.
Se non tendiamo l’orecchio a quelle voci, che ci rivelano tutta la rabbia, l’orrore e il rammarico che i morti hanno provato, i nostri sforzi non si riducono forse a qualcosa di molto superficiale?
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Questa mia recensione è apparsa in Pagine zen, n. 108, liberamente scaricabile qui.
L’immagine è tratta da qui.
Sempre tradotto da Gianluca Coci, uscirà il 16 marzo – questa volta è sicuro – La ragazza dell’altra riva, di kakuta Mitsuyo, ed. Neri Pozza.
Ciao, Barbara, ti ringrazio. Sapevo della notizia e sto aspettando il libro con ansia, perché l’autrice mi piace molto.
La capacità degli autori giapponesi di usare la chiave del fantastico per raccontare ogni aspetto della vita è qualcosa che non smetterà mai di riempirmi di meraviglia. Lo fanno per elaborare lo stupore? Per fissare preventivamente la distanza fra storia e lettore, e proporgli in quella cornice anche tematiche che altrimenti sarebbe portato a schivare?
Mi chiederò sempre come mai di questo rapporto non vincolante con il realismo. O forse dovremmo girare la domanda: è la letteratura occidentale ad essere ossessionata dal realismo?
Come che sia, grazie della recensione! Radio Imagination/i> è sicuramente un libro che vorrò recuperare.