Enigmatiche, affascinanti, ingenue o ribelli: in occidente sembra facile etichettare le gothic lolita – ragazze che tentano di rievocare l’epoca vittoriana (1837-1901) soprattutto (ma non solo) attraverso l’abbigliamento -, eppure ogni particolare del loro aspetto fisico, dalla veletta all’ombrellino lezioso, cela un messaggio che fatichiamo a comprendere o anche solo a recepire.
Inoltrandosi in un campo sinora inesplorato, Gloria Carpita nel suo Gothic Lolita. Storia, forme e linguaggi di una moda giapponese (ed. La Torre, pp. 136, € 14,50) ripercorre in modo articolato le origini di questo trend (divenuto poi anche way of life). Per far ciò, l’autrice analizza il fenomeno nelle sue componenti sociologiche e semiotiche, evidenziando in special modo i processi di risemantizzazione (rilettura) dei prestiti interculturali, in bilico tra est e ovest.
Scopriamo così che l’assorbimento del patrimonio inglese del tardo Ottocento non avviene nel Sol levante in modo passivo e automatico, bensì all’insegna della contaminazione e della rielaborazione. Le ragazze nipponiche, inoltre, incarnano perfettamente il cosiddetto modello del moratorium ningen, vivono cioè rimandando di continuo l’ingresso nella temuta (e un poco disprezzata) età adulta. Questo tentativo di posticipare la piena maturità si manifesta anche attraverso l’amore verso il kawaii (il carino infantile), che tra il 1960 e il 1970 ha appunto contribuito a dar vita al gothic lolita.
Questo stile, dunque, cela un complesso discorso sociologico – ripercorso con dovizia di particolari dall’autrice – che attraversa gli ultimi cinquant’anni e si esprime tanto attraverso la moda quanto molteplici forme artistiche, come il cinema (Kamikaze girls), i manga (NANA, Lady Oscar, X-day…), e la musica (visual kei, Malice Mizer, Moi dix Moi…).
Dietro merletti e balze, insomma, le gothic lolita nascondono un’identità dalle forti radici e, soprattutto, un’anima: un’anima che cerca di contrastare la realtà con un pizzico di candore, di dolcezza e, forse, persino di sana follia.