A primo impatto, è difficile prendere sul serio il Vietnam di Dien Bien Phu (trad. Gigi Boccasile, Bao Publishing, 2021), per quanto il manga prenda il nome dalla celebre battaglia del 1954 che sancì la divisione del paese in due stati – stati che poi, a strettissimo giro, diventeranno teatro del lungo conflitto fra vietnamiti e statunitensi (1955-1975).
Nishijima Daisuke si concentra, appunto, su quest’ultimo e lo dipinge con tratti bizzarri: i personaggi hanno un aspetto spesso kawaii, mentre l’atmosfera che si respira è quasi surreale, per quanto carica di una tensione capace di assumere sfumature esoteriche. Prendete, per esempio, Hikaru, il protagonista di origine giapponesi che, seppur ingaggiato dall’esercito americano come fotografo di guerra, ha un aspetto adolescenziale ed è sempre fuori posto, mentre i piccoli Bao e Nhieu dimostrano invece un’intraprendenza e un’audacia fuori dal comune. Anche le avventure dei personaggi hanno un che di sorprendentemente inaspettato: leggenda e miseria, misticismo e sensualità, morte e anelito alla vita convivono, si intrecciano, si confondono.
Ma perché rappresentare in questo modo un evento della portata – ideologica, politica, bellica – della guerra del Vietnam, addirittura per tutta una saga? Le risposte potrebbero essere tante: per esempio, in questo modo è possibile mettere meglio a nudo la crudezza e l’insensatezza del conflitto; evidenziare l’umanità – con tutte le sue possibili storture – di chi vi fu coinvolto; spingere a rileggere in modo ampio un processo storico fondamentale, facendo leva su figure e situazioni tutt’altro che perfetti ma, proprio per questo, verosimili e in grado di suscitare una vasta gamma di emozioni nel pubblico.
Sia come sia, una cosa però è certa: è difficile non rimanere colpiti – nel bene o nel male – da Dien Bien Phu.