A forza di cercare sempre libri legati al Giappone o ambientati in quei paraggi, si è forse attivata in me una specie di calamita che mi permette di pescare volumi di tal genere tra gli scaffali affollati delle biblioteche o delle librerie. E così, quando qualche giorno fa, dando un’occhiata alla quarta di copertina di Fare l’amore di Jean-Philippe Toussaint (ed. nottetempo, pp. 152, € 13), ho letto che le vicende si svolgono nel Sol Levante, ho preso il volume senza esitare.
Le delusioni, però, sono arrivate ben presto, a causa dei numerosi cliché in cui è possibile imbattersi pagina dopo pagina. La trama, piuttosto semplice, racconta la dolorosa fine di un amore tra un uomo e una donna francesi durante un soggiorno di lavoro a Tokyo; la narrazione è infatti scandita dai momenti di esasperazione del protagonista, che tenta di rompere con Marie, prototipo dell’artista bellissima e maledetta. I due – nei (rari) momenti in cui non litigano o non pensano al sesso – compiono tutti quei gesti tipici da gaijin (ossia stranieri) fuoriposto: bisticciano per strada, non rispettano elementari regole di educazione e non si preoccupano di imbarazzare chiunque abbiano davanti.
I giapponesi non fanno una figura migliore: ridotti a figurine o automi, si limitano a sorridere e ad annuire senza comprendere cosa accade intorno a loro.
Tokyo e Kyoto, infine, appaiono come meri fondali della passione distruttiva degli amanti; non a caso, buona parte della poetica del libro potrebbe essere riassunta nell’affermazione che chiude il primo capitolo: “il giorno si levava su Tokyo, e io le infilai un dito nel buco del culo.”