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Sushi, amore e fantasia: “La cartella del professore” di Kawakami

In questo periodo di gloria dei foodblogger, in cui sembra che il cibo abbia acquisito un nuovo significato a tavola e nella cultura (nonché un significativo ritorno economico, vista la messe di trasmissioni televisive e volumi dedicati all’argomento), mi pare che gli editori nostrani si stiano sforzando di pubblicare libri a sfondo gastronomico, in cui amore e ingredienti vadano a braccetto. E così, dopo Il ristorante dell’amore ritrovato, ci ritroviamo oggi a parlare de La cartella del professore di Kawakami Hiromi (Einaudi, pp. 186, € 18,50; acquistabile, cliccando qui, su Amazon a € 12,03 ). Per leggerne l’incipit, vedi qui.
La quarta di copertina introduce così il libro, fresco di stampa:

Tsukiko ha poco meno di quarant’anni.
Vive sola, e dopo il lavoro frequenta uno dei tanti piccoli locali di Tokyo dove con una modica spesa si possono mangiare ottimi manicaretti e bere qualche bicchiere di  birra o di sake. È un’abitudine molto diffusa fra gli uomini della metropoli, meno fra le donne. In una di queste occasioni incontra il suo insegnante di giapponese, che riconosce, malgrado i tempi del liceo siano ormai lontani, quando lo sente ordinare le stesse pietanze. Tsukiko e il prof, come lei lo chiama, iniziano a parlare e trovano subito un‘intesa nella loro passione per il cibo. Fagioli fermentati con tonno, frittelle di radici di loto, scalogni sotto sale e altre leccornie della delicata cucina giapponese accompagnano gli incontri mai programmati, ma non per questo meno frequenti, di due persone così diverse eppure simili nella quieta accettazione della propria solitudine, e ogni incontro rappresenta un impercettibile avvicinamento, serve a chiarire dubbi e fraintendimenti. Ma la donna fatica a trovare una sua dimensione adulta, e il professore – che è vedovo e ha settanta anni – non riesce a uscire dal suo passato di marito e insegnante. Arriva la stagione dei funghi, le ferie di Capodanno passano senza allegria, poi fioriscono i ciliegi, si organizza una gita che delude le aspettative e termina, come tante serate, nel torpore dell’alcol… Trascorrono così due anni. E dopo infiniti appuntamenti, giunge il momento in cui il prof, nella sua lingua un po’ vecchiotta, con i suoi modi di fare non proprio disinvolti, vince il pudore e chiede a Tsukiko se accetterebbe di frequentarlo «con la prospettiva di stringere una relazione amorosa».
La storia di un amore insolito, e la scoperta di una scrittrice capace di cogliere, senza mai cadere nel sentimentalismo, la dolcezza della vita.

Fra tradizione e pop: “Culture del Giappone contemporaneo”

Come si interseca il passato del Giappone, ricco di tradizioni, con il suo presente pop? A questa domanda hanno tentato di rispondere gli studiosi che sono stati impegnati in due edizioni del convegno “Wabi Sabi Cyber” (promosso dall’università “L’Orientale” di Napoli), i cui atti sono stati riuniti in Culture del Giappone contemporaneo. Manga, anime, videogiochi, arti visive, cinema, letteratura, teatro, architettura (Tunué, pp. 288, € 16,50).
Ancora non ho avuto modo di sfogliare il libro, ma avendo partecipato a uno dei congressi, sono certa sia un’opera di ottima qualità, che riunisce prospettive e interessi eterogenei.

“Filosofia nei manga”di Massimo Ghilardi

Nell’immaginario comune, il mondo dei manga e degli anime è generalmente ritenuto soltanto uno svago per bambini e adolescenti, privo di contenuti con spessore.
La realtà è però ben diversa, come dimostra efficacemente Marcello Ghilardi, ricercatore e autore di Filosofia nei manga. Estetica e immaginario nel Giappone contemporaneo (Mimesis, pp. 162, € 14; ora in offerta su Amazon.it a € 11,90 cliccando qui).

Dopo aver tracciato un profilo storico-culturale dei manga, comprendente le tappe più importanti (dagli schizzi di Hokusai alle influenze sull’arte di Van Gogh) con riferimenti alla tradizione artistica ed estetica della Cina e del Sol Levante, lo studioso si sofferma su alcuni aspetti significativi dei fumetti del Sol Levante, spesso sfuggenti a un lettore digiuno di rudimenti filosofici e di un’approfondita conoscenza del contesto nipponico. Si pensi, per esempio, ai numerosi accenni  all’etica e alle vicende dei samurai, o ai valori del buddhismo e dello shintoismo, trasparenti solo a una minoranza di occidentali.
Uno dei temi portanti dell’opera è rappresentato da un’approfondita e documentata riflessione sul complesso rapporto intercorrente tra uomini, robot e cyborg, e ai legami intercorrenti fra le tre categorie; da essi Ghilardi tenta di estrinsecare una sorta di ontologia dell’automazione, riflettendo sulle cause che l’hanno generata e sulle ragioni che hanno decretato il suo successo. Nel fare ciò, illustra le teorie di Gomarasca in merito (le storie di robot racchiudono una metafora sociologica, una psicologica e una storica); in parallelo alla trattazione teorica, l’autore presenta  testimonianze concrete, sviscerando alcuni aspetti tanto interessanti quanto poco noti di manga e anime più o celebri (Neon Genesis Evangelion, Gunslinger girl, Ghost in the shell, etc.).
Nel denso contributo di Marco Pellitteri, Giappornologie, vengono evidenziati altri elementi caratterizzanti la produzione nipponica contemporanea, vale a dire quelli legati al mondo del sesso e del porno, con un’attenzione particolare verso le loro radici socio-antropologiche e le dinamiche sottese; anche in questo caso, la figura dell’automa (in particolare della donna cyborg) e quella della bambola gonfiabile assumono un significato ben preciso, in quanto esseri passivi, non minacciosi e facilmente controllabili.
Conclude il volume La verità dell’illusione, dedicato al regista Satoshi Kon che, con le sue commistioni di onirico e reale, umano e cibernetico, ha dato vita a nuovi orizzonti cinematografici e semantici, in cui l’apparenza – non di rado dall’impronta postmoderna – si confonde e si sposa con ciò che siamo abituati a chiamare  (riduttivamente?) realtà.

“Scrittura giapponese” di Susanna Marino

Quanti bambini sono stati incantati da quegli strani simboli che comparivano nelle sigle dei cartoni animati giapponesi? E quanti, da adulti, hanno guardato con stupore le opere dei maestri calligrafi e hanno avuto – almeno per un momento – la tentazione di carpire i loro segreti? La scrittura giapponese, coi suoi pieni e i suoi vuoti, esercita sempre il suo fascino, tanto da essere – in alcuni casi – una delle principali motivazioni dello studio della cultura e della lingua nipponica.

A tutti coloro che subiscono il fascino degli ideogrammi (e non solo) è dedicato il volume Scrittura giapponese (Zanichelli, pp.192, € 25) di Susanna Marino, con la collaborazione di Ikuko Sugiyama. Per leggerne un corposo estratto, clicca qui.

Qualche brano tratto da “Un viaggio chiamato vita” di Yoshimoto Banana

Per chi ancora non avesse avuto modo di prendere in mano la nuova opera di Yoshimoto Banana, Un viaggio chiamato vita (tradotto dalla bravissima Gala Maria Follaco), può rifarsi leggendo qualche brano da esso estrapolato, tratto da wuz.it.
Per leggerne ulteriori stralci, vi consiglio di cliccare qui.
Buona lettura.

Le piramidi stanno a guardare
Giza è una città strana, che fa sentire un po’ come sollevati da terra, senza nessun appiglio. Forse dipende dal fatto che non è stata costruita per essere abitata. Quando in una città c’è una presenza così strana, l’atmosfera non può che esserne dominata. Una volta, a una persona cresciuta alle pendici del Monte Fuji, avevo detto:
“Beato te che avevi ogni giorno davanti agli occhi il bel panorama del Fuji…”.
Ma con mia grande sorpresa mi aveva risposto:
“Non scherziamo! Era spaventoso!”.
Mi diceva che quando era bambino si chiedeva come avrebbero fatto in caso di eruzione, e se, durante l’ora di educazione fisica si voltava e vedeva il Monte Fuji che sovrastava il cortile della scuola, quella che percepiva non ne era la bellezza, ma una sensazione inspiegabile di paura. Una paura forse più vicina a una sorta di timore arcano.
A Giza, sia quando il vecchio profumiere mi suggeriva un’essenza dicendo che “è economica, ma la composizione è in tutto e per tutto uguale a Chanel n. 5!” (possibile?), sia quando andavo a spasso nel deserto in groppa a un cammello, sia quando mangiavo, sia quando bevevo deliziosi cocktail di frutta fresca al bar dell’albergo, ogni volta che mi voltavo le piramidi erano lì. Apparivano fuse nel solito paesaggio, eppure emanavano un’aura diversa. Ho avuto l’impressione che le piramidi racchiudessero qualcosa di grande che guardava nella nostra direzione anche se era buio e non si vedeva niente. Quella presenza l’ho sentita arrivare da lontano mentre ero concentrata in altro e non quando mi ci trovavo di fronte, ad esempio durante gli spettacoli di suoni e luci.
In quel momento mi sono detta che è vero che le piramidi andrebbero viste almeno una volta nella vita. È come se fossero state costruite in previsione del futuro, e se noi, che siamo gli abitanti del futuro, non andiamo a vederle, chi ci andrà? Non so chi le abbia costruite e con quale finalità, ma finché non le si va a vedere non si può capire nulla del loro mistero.
Il clima secco dell’Egitto è l’ideale per asciugare per bene il cuore molle di un giapponese. Se lo si visita quando si è stanchi, aiuta a sentirsi meglio. Ho la sensazione che i raggi di quel sole possiedano una grande forza, tale da penetrare nel cuore delle persone, in qualsiasi condizione queste si trovino.
E’ probabile che le piramidi siano state costruite con quella stessa forza.

Il Giappone che ho incontrato in Australia
Sono andata in Australia a raccogliere del materiale per il mio nuovo romanzo Honeymoon. In realtà avevo pensato a una storia più incentrata sull’Australia, ma mentre scrivevo questo romanzo la situazione interna in Giappone è andata complicandosi, e forse per questo mi è venuta voglia di concentrarmi su elementi come i giardini e i paesaggi giapponesi. Penso che in fondo un viaggio sia tale quando non si protrae per lungo tempo, in quanto a un certo punto si deve ritornare. E proprio sul tema del ritorno mi sono concentrata, per questa volta, e quindi non ne ho potuto parlare nel romanzo, ma durante il viaggio sono andata in un posto interessante.
Trattandosi di una piccola residenza, non mi dilungherò in dettagli (a cercarla, la si troverebbe subito), ma tra le montagne nei pressi di Brisbane c’è un alloggio in stile giapponese in cui ho trascorso una notte. Il proprietario è un monaco che produce carta di riso. E sua moglie prepara ottimi piatti giapponesi per gli ospiti. Tutt’intorno ci sono boschi di banani, serpenti e sanguisughe, un paesaggio inimmaginabile in Giappone, eppure una volta messo piede in quella casa, era in tutto e per tutto un’abitazione giapponese. Le stanze erano in stile occidentale, ma piene di libri giapponesi e saggi calligrafici, tanto che mi sembrava di trovarmi in un rifugio nelle montagne di Nagano o di Yamanashi. Poi, un po’ più in là, c’era un rotenburo di legno di cipresso, per la gioia del corpo e degli occhi esausti per quel viaggio così faticoso. Immersa nell’acqua bollente in mezzo all’aria rarefatta di montagna mi sono sentita felice di essere giapponese. Fino al giorno prima ero in una camera d’albergo e conducevo una vita del tutto diversa da quella in Giappone, mangiavo con forchetta e coltello, e il giorno dopo in un rotenburo… non mi sembrava vero. Sentivo il corpo sciogliersi. Ho pensato al fatto che noi in casa non portiamo le scarpe, che sciogliamo i muscoli nella vasca da bagno, che abbiamo una costituzione fisica che predilige alimenti leggeri. Lo si capisce meglio quando si è all’estero.
Per fare spese bisogna per forza scendere dalla montagna e raggiungere la città; occuparsi della piantagione di banani e raccogliere i filamenti per la carta è un lavoro impegnativo, e anche la gestione dell’alloggio e la cura della vasca da bagno devono essere piuttosto faticose. Eppure proprio quando ho ritrovato la cultura giapponese in mezzo a quella natura brutale, ne ho compreso fino in fondo il valore. I giapponesi sono dotati di una meravigliosa saggezza che fa sì che non rinuncino alle comodità, che tengano in grande considerazione lo spirito, che amino le cose delicate, che vivano in armonia con la natura. Chi abitava quella casa aveva davvero un bel viso, privo di ombre. Decisi che se mi fosse capitato di andare di nuovo in Australia avrei raggiunto quell’alloggio alla fine del viaggio, ritemprato il corpo e lo spirito e poi sarei tornata a casa.
Un’altra cosa che mi è rimasta impressa è il “buffet di frittura”.
… anche se, più che di cibi tipici di un paese in particolare, si trattava di una cosa per molti versi approssimativa ma estremamente divertente, che prevedeva che gli ospiti si mettessero innanzitutto in fila davanti a una specie di salad bar. Solo che quello non era un salad bar, ma un carne bar! Fettine congelate di pollo, maiale, manzo e agnello erano disposte una sopra l’altra e allineate in base al tipo di carne, e se ne potevano prendere a volontà. Poi c’era un banco pieno di verdure organizzato allo stesso modo, e anche lì si prendeva tutto quello che si voleva. E poi gli alcolici, il sale, le spezie, la salsa di soia, l’aceto, il pepe, gli intingoli e ancora tanti altri tipi di condimento a piacere. Infine si portava questo piatto verso un’enorme piastra rotonda sotto cui crepitava il fuoco. A quel punto, un signore coreano scoppiettante e vigoroso spargeva dell’olio su tutta la superficie, rovesciava in un sol gesto il contenuto del piatto e aiutato da una specie di lunga pala forata lo faceva soffriggere fragorosamente, lo girava e, dopo questa performance, lo rimetteva nel piatto. Visto che ci si poteva servire a volontà, ci divertivamo a pensare sempre cosa avremmo mangiato dopo, l’agnello con i germogli di soia, il pollo con il cavolo, il sale e il sakè, con il risultato che alla fine abbiamo mangiato moltissimo. E anche questa volta ho pensato a quanto sia bello essere giapponese. Rispetto agli australiani intorno a noi, i condimenti che avevamo scelto erano decisamente alla giapponese.

A Roma presentazione del terzo volume di “Manga Academica”

A tutti gli appassionati di anime, manga e affini, consiglio di non mancare alla conferenza di presentazione del terzo volume di Manga Academica. Rivista di studi sul fumetto e sul cinema di animazione giapponese (ed. La Torre, pp.  164, € 10,50), che si terrà giovedì 2 dicembre 2010 alle ore 18.00 presso il nuovo punto vendita della Libreria Orientalia in via Giolitti, 321, Roma.
Per consultare il sommario del terzo volume, clicca qui.

Intervista a Chiara Gallese, autrice di “Tokyo night”

Solitamente, questo blog tratta di scritti d’autori giapponesi o dedicati a tematiche nipponiche. Oggi, però, le cose andranno in maniera un po’ diversa: non soltanto il volume del giorno è un romanzo composto da una ragazza italiana, Chiara Gallese, appassionata di Sol Levante e giurista, ma sarà lei stessa a parlarci della sua opera in un’intervista.

Ma partiamo con ordine. Il libro è intitolato Tokyo night (Cerebro editore, pp. 218; € 15; per chi lo volesse, è acquistabile su Ibs o, dal 2014, su Amazon) e presenta una struttura piuttosto particolare: ciascuno dei venti capitoli che lo compone è legato a una delle stazioni della metropolitana della capitale.

La storia della giovane Keiko – sognatrice, creativa e amante dell’Italia – s’intreccia  così di continuo con il respiro, i ritmi, i luoghi e le abitudini della città, vera protagonista dell’opera. E’ infatti riservata una grande attenzione a molte componenti della cultura nipponica, classica e contemporanea: accanto agli haiku, ai templi e alla pittura tradizionale, troviamo mode, locali e comportamenti attualissimi. Non mancano, inoltre, numerosi accenni alla vita nipponica quotidiana, fatta di piccole abitudini, oggetti caratteristici e riti.

Ma lasciamo che sia la stessa autrice a raccontarci della sua opera; colgo l’occasione per ringraziarla della sua gentilezza.

Biblio. g.: Chiara, parliamo per prima cosa della gestazione del tuo romanzo: alle sue origini c’è stato un evento particolare?
Chiara Gallese: Non direi proprio un evento, quanto piuttosto un momento di vita da elaborare: nel 2007 sono andata in Giappone per un viaggio studio, e mi sono trovata talmente bene che sarei voluta restare lì a vivere. Poi purtroppo non sono riuscita a organizzarmi con mia figlia, perciò ho scritto questo romanzo per rovesciare nella carta tutte le sensazioni che ho provato in quel periodo.
B. g.: Com’è nata nella tua mente l’idea di abbinare a ogni capitolo una stazione diversa della metropolitana di Tokyo?
C. G.: Nel Giappone moderno, le stazioni della metro svolgono una funzione sociale molto importante. Si possono paragonare all’agorà, quindi mi è venuto spontaneo scandire i momenti più significativi della vita della protagonista con i nomi delle stazioni in cui si svolge la vicenda.
B. g.: Qual è l’episodio che più ami del tuo romanzo? Perché?
C. G.: Sicuramente il terzo capitolo, in cui le sensazioni negative sono del tutto autobiografiche. A diciannove anni, quando mi sono opposta con tutte le mie forze all’idea di abortire, mi sono immaginata come sarebbe stata la mia vita futura se avessi fatto una scelta diversa: quello scenario è confluito nel mio romanzo. Inoltre, come la protagonista, anch’io sono stata lasciata dal mio fidanzato alla vigilia della laurea, e poco prima di andare a convivere. In quel periodo ho preso una parte di me stessa e nel libro ho descritto in modo preciso come mi sono sentita.
B. g.: Ed ora una domanda d’obbligo che si rivolge a tutti gli scrittori: quanto ti rispecchi in Keiko, la protagonista?
C. G.: Ho cercato di fare un modo che Keiko risultasse quasi l’opposto di me sia fisicamente che caratterialmente, mentre quasi tutti gli altri personaggi sono modellati su persone vicine a me.
B. g.: Quali sono i modelli letterari – giapponesi e non – che più credi ti abbiano influenzato?
C. G.: Come ho scritto nella postfazione, ho usato uno stile il più possibile simile a quello di Banana Yoshimoto. Ma ho subito influenze anche da parte di Haruki Murakami, Yasunari Kawabata, Yukio Mishima e Natsuo Kirino.
B. g.: Infine, domanda a bruciapelo: pensi di scrivere un altro libro legato al Giappone?
C. G.: Al momento sto scrivendo un libro di tutt’altro genere, sugli studenti di Giurisprudenza. Ho altri sette progetti in cantiere, perciò non prevedo di parlare del Giappone nell’immediato.

A Roma presentazione di "Haiku. Estetica e poetica"

Poiché il primo amore non si scorda mai (vale a dire gli haiku, cioè la ragione per cui mi sono avvicinata alla letteratura giapponese), vi segnalo la presentazione di Haiku. Estetica e poetica (Empiria, pp. 101, € 18), volume fresco di stampa e frutto della giovane e promettente Maria Rosa Piranio. L’evento si terrà giovedì 28 ottobre, alle ore 18,30, presso la libreria Empiria (via Baccina 79, Roma).
Questa la presentazione dell’editore:

Questo testo è una profonda riflessione sull’essenza dello haiku basata su estetica e poetica, due categorie ormai entrate nel vocabolario dei critici giapponesi, che aprono un nuovo scorcio nello studio di questa complessa forma di poesia, lontano da esotismi e da esemplificazioni. “Ci sono due momenti nella realizzazione dello haiku: uno di fruizione dell’esperienza estetica, l’altro di stesura” afferma l’autrice, svecchiando tra gli altri il vecchio stereotipo secondo cui lo haiku è soltanto l’immediata descrizione di una scena. Vengono inoltre riesaminati i termini usati dalla critica occidentale nell’analisi dello haiku, mettendone a fuoco la natura e la relazione tra il contenuto e la forma. Un’analisi precisa e argomentata, che si conclude esaminando nuove possibilità di traduzione in italiano e in generale nelle lingue alfabetiche: traduzione poetica e traduzione visuale secondo la sezione aurea.

Presentazione di "Tarantino vs Kitano"

Tra Tarantino e Kitano, secondo voi, chi vince? La domanda se l’è posta anche Angela Cinicolo, autrice di Tarantino vs Kitano (Sovera ed., pp. 158, € 15), recentemente pubblicato; in esso, vengono analizzate e ripercorse le scelte stilistiche e tematiche che contraddistinguono i due geniali registi.
Il volume sarà presentato a Roma, domenica 24 ottobre, alle ore 19, presso AltroQuando (Via del Governo Vecchio, 80, 82, 83), libreria nota certamente a tutti i cinefili, a due passi da Piazza Navona.

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