Non è un libro semplice, Viaggio a Tokyo, uno di quelli che puoi sfogliare dovunque, ché tanto l’autore e la trama sembrano quasi adattarsi a te, alla situazione del momento.
E no. Così, l’ho iniziato almeno in cinque diverse circostanze, in altrettanti posti, prima di incappare nella volta buona. Non ricordo neanche più dove fossi, forse nella sala d’aspetto dell’aeroporto o in un vagone della metropolitana solitario, perché, credo, sia meglio affrontare questo volume autobiografico di Vincenzo Filosa (dedicato al suo soggiorno in terra nipponica nel 2007) quando si è in transito, fuori dalla propria comfort zone.
Fatto sta che, poi, l’ho letto – l’ho dovuto leggere – tutto d’un fiato, lasciandomi attraversare dalle immagini, dal grovoglio di emozioni che scatena, dal suo fitto tessuto di citazioni. Eppure, il graphic novel non ha nulla di retorico, ricercato o, tantomeno, convenzionale; anzi, fra gli innumerevoli lavori dedicati al Giappone, sembra distinguersi per la sua tagliente genuinità.
Il ritratto del paese e della vita da stranieri che ne emerge non possiede, infatti, nulla di edulcorato. Il senso di stupita (e un po’ ingenua) ammirazione caratteristico di tanti reportage e saggi lascia qui il posto al dubbio, alla ricerca del kawaii e del dettaglio curioso è preferita l’inquietudine. Nelle pagine di Filosa tutto è incredibilmente reale, e realistico: le delusioni, gli amici da salutare in fretta prima della partenza, il senso di vertigine, la passione per il genere fumettistico gegika, divenuta ben più di un semplice hobby. I disegni – asciutti, sintetici – riflettono ciò; non ci sono concessioni, né stilistiche né contenutistiche, ai luoghi comuni o al tipico, superficiale immaginario connesso al Giappone.
Il risultato è un’opera matura, cangiante; dietro quel viaggio a Tokyo, infatti, si spalanca davvero un itinerario che conduce alla meta più distante e ardua da raggiungere: se stessi.
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Vincenzo Filosa, Viaggio a Tokyo, Canicola, 2015, pp. 264, € 18
