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“Miti e leggende giapponesi” di Fabiola Palmeri

Copertina di Miti e leggende giapponesi di Fabiola PalmeriC’è stato un tempo in cui animali ed esseri umani avevano una lingua in comune, e in cui le dee scendevano sulla Terra e si bagnavano nelle sue acque, lasciando il loro meraviglioso abito di piume rilucere al sole.

C’è stata un’epoca in cui tutto era possibile: bambini alti un dan, oni da sfidare, draghi con gemme in testa, divinità ballerine.

Questo ci racconta Fabiola Palmeri nel suo Miti e leggende giapponesi (La Nuova Frontiera, 2023). Appare presto chiaro che si tratta più di affascinanti narrazioni dalle origini perse nella notte dei tempi: sono, infatti, ancora in grado di influenzare il nostro immaginario, dalla letteratura agli anime, e di far vibrare qualcosa di atavico dentro di noi. Complici, senz’altro, anche le meravigliose illustrazioni del volume firmate da André Ducci, che sanno proiettarci in una dimensione sognante e incantata.

Una divinità femminile si libra in voloAccompagnandoci con uno stile elegante e piano, che non risulta però mai didascalico, l’autrice ci trasmette l’essenza di questi racconti: il potere della curiosità, la bellezza della meraviglia, il desiderio di coltivare la gentilezza, la fiducia nella vita stessa.

 

Ps: vi consiglio anche un altro volume molto recente di Fabiola Palmeri, A ogni gatto il suo autore. Gatti e scrittori nel Giappone contemporaneo (Lindau).

 

Daruma, il tè e la meditazione

Il è la bevanda per eccellenza del Sol Levante; le sue origini – ci ricorda Una stanza tutta per (il) tè sono lontane nel tempo e nello spazio.
Sebbene nell’immaginario popolare il tè rievochi alla mente principalmente la raffinata cerimonia (talvolta non priva di presunte sfumature erotiche, come aveva notato Mishima),  locha (questo il suo nome in giapponese) ha – secondo un poetico racconto secolare – radici molto più umili e, per certi versi, filosofiche:

[…] Secondo la leggenda, il tè ebbe origine con Daruma, fondatore della setta Zen del Buddhismo. Si narra che egli abbia viaggiato dell’India alla Cina portando con sé la sacra ciotola dei patriarchi. Al “Buddha bianco”, com’era chiamato dai Cinesi, venne dato asilo in un tempio collocato in una grotta, in montagna, dove rimase a meditare per nove anni, guadagnandosi il titolo di “santo che guarda fisso”. Durante una delle sue meditazioni si addormentò. Quando si risvegliò era così dispiaciuto che si tagliò le palpebre, per essere sicuro che mai più avrebbe commesso una simile trasgressione. Nel punto in cui erano cadute le sue palpebre, crebbe dal suolo una strana pianta, le cui foglie avevano la proprietà di scacciare il sonno. Il germe del Chanoyu* era stato gettato – la meditazione!

Julia V. Nakamura, La cerimonia del tè. Un’intepretazione per occidentali

* Chanoyu significa letteralmente “acqua calda per il tè”, ed è l’espressione con cui di solito si designa la cerimonia del tè.

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