Già quasi un secolo prima del celebre Memorie di una geisha di Arthur Goldon, l’intento di descrivere la vita nei quartieri giapponesi del piacere aveva mosso la penna di uno scrittore purtroppo poco noto in occidente, Kafū Nagai (1879 – 1959), diretto conoscitore delle gioie e delle tribolazioni delle geisha, avendo vissuto per diverso tempo in mezzo a loro.

Testimonianza impareggiabile di ciò è il romanzo La luce della luna, pubblicato in patria per la prima volta nel 1918 e ora edito da pochissimo per i tipi Castelvecchi (trad. di V. Cerqua, pp. 240, € 16; in offerta ora su Amazon.it a 13,60 € cliccando qui), in cui vengono rivelate luci e ombre dell’esistenza delle geisha attraverso gli amori di Komayo, giovane donna sola al mondo, costretta a riprendere dopo la vedovanza il suo antico mestiere per tentare di mantenersi. Una volta fatto ritorno con vergogna all’okiya (la residenza delle geisha) dove è stata educata, incontra casualmente una vecchia fiamma, Yoshioka, che l’aveva abbandonata quando lei era appena diciottenne.

Pentito e, soprattutto, stanco delle solite amanti, l’uomo s’invaghisce ben presto del candore di Komayo. Ma lei, ormai, ha abbandonato ogni ingenuità, spinta dall’impellenza di trovare una sistemazione che le permetta di non arrabattarsi più; per questa ragione, si avvicina – sebbene a malincuore – a personaggi viscidi e discutibili, quali il cosiddetto “mostro marino”, un antiquario tanto facoltoso quanto ripugnante. Le sue reali simpatie si dirigono invece verso un attore di talento, Segawa, che pare ricambiare con ardore i sentimenti della geisha, ben attenta a non far scoprire la tresca a Yoshioka, divenuto frattanto il suo danna (protettore). Komayo ha però, senza accorgersene, oltrepassato il punto di non ritorno: l’eccessiva fiducia nei suoi progetti le impedisce di accorgersi che gli ingranaggi della vendetta e della rivalità sono già entrati in moto.

Il racconto delle avventure della ragazza è intervallato da quello della vita senz’altro più ardua di coloro che, per  sopravvivere con un briciolo di dignità, sono costretti a rimettersi continuamente in discussione, mentre nelle ochaya, le case da tè dove si esibiscono le geisha, ricche donne svendono il proprio corpo per noia e uomini d’affari riflettono sul denaro da sborsare per la prossima fanciulla.

Lo stile dello scrittore assorbe costantemente l’attenzione per la sua fluidità e piacevolezza, tanto che si ha spesso l’impressione di essere dinanzi a un variopinto set cinematografico, in cui la macchina da presa si concentra talvolta su scene drammatiche e complesse, talaltre sui dettagli minimi e quotidiani della vita nascosta delle geisha, fatta anche di spilloni che s’inceppano, di trucco sciolto, di sigarette fumate in penombra dopo una notte di lavoro.

Non mancano in questo quadro picchi lirici di sommessa bellezza, capaci di far intuire anche al lettore italiano quel tesoro di meraviglie della natura che i giapponesi sanno cantare con rara delicatezza. Questi momenti poetici contrastano espressionisticamente con la fauna di personaggi pittoreschi e sovente equivoci del quartiere Shimbashi di Tokyo, dei quali Kafū Nagai mostra squarci di un’esistenza improntata all’espediente e al compromesso. Per ritrarli, l’autore si è ispirato a tutta una folla di attori, cantastorie, cameriere, geisha, maiko, parassiti, figli ripudiati, bohemien, intellettuali in declino e ubriaconi che hanno realmente profuso se stessi nelle torbide notti del Giappone primonovecentesco: di essi oggi non rimane neppure il nome, eppure – attraverso La luce della luna – ci pare ancora di udire l’allegria squillante delle loro risate o il suono secco delle lacrime nascoste dalla manica del kimono.