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Vent'anni di manga in Europa in mostra a Bruxelles

Eccovi un articolo di Alessandro Trevisani, pubblicato nel<<Corriere della sera>>  dell’11 marzo 2009.

Da Akira a Lady Oscar, una mostra sui vent’anni di manga in Europaakira
BRUXELLES – Vent’anni di manga in Europa. Vent’anni da quel 1989, quando Jacques Glénat andò in Giappone a promuovere il fumetto franco-belga, e se ne tornò con Akira: 2000 pagine di fantascienza giapponese che cambiarono la storia del fumetto in Europa. Bruxelles festeggia questa “invasione” con una esposizione al Belgian Comics Center, che inaugura l’11 marzo per chiudere il 7 giugno prossimo. La mostra di Bruxelles cade nell’anno del cinquantenario dei Puffi, di cui il Belgio è patria, come di Tintin e Lucky Luke. RIVOLUZIONE – Centinaia di originali e riproduzioni di copertine, pupazzi, manifesti, merchandising. Spagna, Svizzera, Germania, Polonia, Belgio, ma soprattutto Francia e Italia: è qui che la cultura “manga” ha attecchito di più. «Ma il manga è il fumetto più letto nel mondo – dice Marco Pellitteri, sociologo dei processi culturali, autore di “Il Drago e la Saetta” (Tunué, 2008) – Socialmente il manga è stato una rivoluzione: prima non c’erano molti fumetti dedicati alle ragazze, o allo sport, e l’erotismo dei manga è molto diverso rispetto ai nostri fumetti». IL MERCATO – Personaggi sfumati, trame complesse: così il manga ha conquistato il 40% del mercato in Europa. «Hanno coperto una voragine di pubblico – continua Pellitteri – perché il manga shôjo approccia direttamente le ragazze, le cui aspettative non sono premiate dai nostri fumetti: parliamoci chiaro, Dylan Dog a ogni numero va con una donna diversa!». E nell’esposizione i manga al femminile come Lady Oscar e Candy Candy stanno accanto ai shônen-manga, quelli rivolti ai ragazzi: Kenshin, Yu-Gy-Oh!, Detective Conan. Ma ci sono anche i manga-seinen, rivolti agli adulti, come Tokyo Tribe e Say Hello to Black Jack. I manga hanno anche generato sotto-culture come quella del cosplay, la moda di confezionare e indossare gli abiti dei personaggi dei fumetti giapponesi. I CARTONI ANIMATI – Senza dimenticare che la prima “invasione” dei manga avvenne coi cartoni animati negli anni ’70 e ’80, quando le neonate tv private si accaparrarono i vari Uomo Tigre, Daitarn 3, Ryu, e la nostra tv di stato trasmise Goldrake e Mazinga Z, Heidi e Remi. «I giapponesi erano allibiti da tanto interesse, i palinsesti si riempivano a prezzi che poi salirono di parecchio», commenta Pellitteri. IN ITALIA – E invece i primi a portare in Italia i fumetti giapponesi furono i Kappa Boys, quattro ragazzi bolognesi che da lettori sono diventati editori di manga. Lamù, Ken il Guerriero, sono loro a farceli conoscere nei lontani anni ’80. Massimiliano De Giovanni, Andrea Baricordi, Andrea Pietroni e Barbara Rossi erano gli animatori della rivista “Mangazine”. «Il nostro sogno? – dice De Giovanni – Far scoprire al pubblico italiano le potenzialità dei manga». I PIONIERI – «Scoprimmo che gli appassionati erano molti di più di quelli che immaginavamo – dice Baricordi -. Poi fummo contattati da Granata Press, che trasformò la nostra fanzine in una rivista da edicola». Dalla fanzine al professionismo. «Nel 1995, con la Star Comics, abbiamo lanciato Dragon Ball, imponendo la lettura ‘alla giapponese’, lo stesso facciamo oggi con GP Publishing». Pionieri del manga: «Fummo additati (nel bene e nel male) come i responsabili dell’Invasione dei Manga in Italia – ricorda Baricordi – Ma non abbiamo ancora finito». E l’invasione, un’allegra invasione, continua.

Presentazione del libro Satoshi Kon a Roma

satoshi-konDomani, sabato 7 marzo, alle ore 18,30, presso l’associazione VersOriente di Roma (vicolo Cellini 17, non lontano da piazza Navona), si terrà la presentazione del libro Satoshi kon – il cinema attraverso lo specchio, a cura di Enrico Azzano, Andrea Fontana e Davide Tarò (pp. 264, € 15).
Vi riporto quanto scritto nella pagina dell’evento:

Satoshi Kon è, fra i registi di animazione giapponese della nuova generazione, il più conosciuto e apprezzato, grazie anche alla partecipazione dei suoi lavori a importanti festival cinematografici. Il libro, primo studio in Italia su una figura artistica così importante, si propone di analizzare le complesse tematiche di Kon, attraverso l´analisi dei suoi film (Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers e Paprika) e della sua produzione televisiva (Paranoia Agent), grazie anche ad approfondimenti “trasversali” curati dai maggiori esperti nazionali e internazionali di animazione giapponese che toccano tutti gli aspetti del suo cinema.

Riguardo al libro, invece:

Fra i talenti dell’animazione giapponese Satoshi Kon è maestro di eccessi e contraddizioni, da sempre tutto e il contrario di tutto. La sua energia tocca il neorealismo magico (Tokyo Godfathers), il thriller surrealista (Perfect Blue), la riflessione sull’arte (Millennium Actress), la narrazione anticonvenzionale, sfuggente e selvaggia (Paprika), sempre all’insegna della dimensione onirica. Satoshi Kon è artista che divora i generi e li risputa nell’animazione in pura salsa cromatica, descrivendo nella sua opera  un immaginario indomabile. Il volume è impreziosito dalla prefazione di Marco Müller e contiene saggi di Andrea Fontana, Davide Tarò, Enrico Azzano, Brian Ruh, Alessia Spagnoli, Stefano Gariglio, Matteo Boscarol, Mario A.Rumor, Raffaele Meale, Luca Della Casa, Marcello Ghilardi e Paola Valentini.

Il taccheggio dei libri

Come ben sappiamo grazie al bombardamento mediatico, la crisi economica si fa sentire dovunque; e se in Italia japanese-books-close-up1qualcuno, per contrastarla, confida nel taccheggio, anche in Giappone, dopo tutto, non la pensano tanto diversamente. Da noi, “vanno a ruba” (nel senso letterale del termine) rasoi, parmigiano reggiano e cartucce della stampante; nell’arcipelago del Sol Levante questa (triste) sorte è riservata ai libri. Le nostre Feltrinelli non hanno da temere fenomeni del genere (tranne qualche esproprio proletario di tanto in tanto); al contrario, le librerie nipponiche sono invece seriamente preoccupate:  i danni, infatti, ammontano a circa 4 miliardi di yen all’anno (ossia più di 36 milioni di euro), cifra raddoppiata dal 2003.
Il taccheggio è un fenomeno in espansione soprattutto tra i giovani giapponesi, ma sono coinvolti anche  anziani oltre i sessantacinque anni e casalinghe. Alle radici dell’indebita sottrazione di libri, non vi sono ragioni romantiche, come si potrebbe immaginare:  gli autori del furto, infatti, non sono intellettuali squattrinati assetati di sapere, scrittori respinti dalle case editrici o contestatori dell’industria culturale, ma nella maggior parte dei casi dei semplici individui che sperano di raggranellare qualche soldo vendendo il maltolto.
Le grandi librerie riescono, grazie a telecamere ed altri sistemi di sicurezza, a contenere il fenomeno; a farne le spese, come al solito, sono quelle medio-piccole, già in crisi per la concorrenza dei bookshop on line (ben quattromila sono state costrette a chiudere tra il 2001 e il 2007).

[fonte: Japan Times on line; foto tratta da qui]

Per conoscere la cucina giapponese

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Maschera del teatro kabuki realizzata col cibo

Oggi, come avviene ormai sempre più spesso, ho trovato nella cassetta delle lettere un dépliant di un nuovo servizio di sushi a domicilio. A parte la grafica, tutta a base di bandiere nipponiche, tori, katana ed inspiegabili macchie rosse stampate qua e là tipo sugo, il vero pezzo forte è il messaggio promozionale: “Da oggi potrete avere a casa vostra la vera cucina giapponese di qualità a prezzi contenuti – CHEF ITALIANO!!!”. Andando sul sito internet dell’attività commericiale, poi, si scopre che essa organizza anche corsi di sushi al modico prezzo di 450,00 € + IVA per venti ore di lezione. Wow.
Grazie a questo illuminante volantino, ho pensato di scrivere un post  dedicato a chi voglia tentare per conto suo di preparare le pietanze nipponiche. Inizio subito con La cucina giapponese e coreana di Anne Wilson (ed. Koneman, p. 64, 1,50 €). Il testo è arricchito da molto foto che spiegano passo passo il procedimento da seguire, accompagnandosi ad istruzioni semplici; malgrado io non abbia sperimentato alcuna ricetta e non possieda grandi conoscenze in questo ambito, il libro, a pelle, non mi ha convinta.
Recentemente, infine, mi è stato regalato il cofanetto Sushi (Edicart, 22,50 €): contiene una piccola guida al mondo del sushi (strumenti, descrizione dei pesci da utilizzare, consigli per la scelta, preparazione dei condimenti, ricette…) ed un mini kit (bacchette e stuoia di canne, detta makisu):  diretto e piacevole, anche questo testo è d’impatto immediato, grazie alle belle fotografie presenti in almeno metà delle pagine.
Concludo qui il versante della “pratica del sushi”; spero di postare a breve un intervento dedicato invece alla “teoria”, elaborata da Barthes nell’Impero dei segni. Alla prossima!

Yoshimoto e Murakami H. (forse) al Festival della traduzione di Napoli (2010)

Banana Yoshimoto
Banana Yoshimoto

Anche se -lo ammetto- è un po’ precoce dirlo, tenetevi liberi per la settimana  che va dal 22 al 29 novembre 2010: l’Università degli Studi di Napoli l’Orientale, l’Universität Wien e Université Paris VIII hanno infatti programmato per quella data il Festival della traduzione Biennale E.S.T. (Europa Spazio di Traduzione), che si terrà nella città partenopea. Tra gli autori invitati troviamo Banana Yoshimoto, Daniele Sepe, Valerio Magrelli, i traduttori iraniani di Dante e Calvino, Eva Hoffman, Moni Ovadia, Murakami Haruki, Daniel Pennac e Domenico Starnone.
Inoltre, a quanto si dice, la Yoshimoto dovrebbe tenere un laboratorio di calligrafia giapponese a bordo di una nave al largo del golfo di Napoli: per tutti i suoi fan è un’occasione da non perdere.

[Foto tratta da qui]

Japan shop e libreria specializzata: Higashi no kaze a Savona

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Titoli in vetrina

Dopo aver trattato di Junku a Parigi, finalmente oggi posso parlarvi di una libreria (e non solo) a sfondo giapponese presente in Italia, che ambisce a diventare la mia di fiducia (malgrado la distanza). 😉
Higashi no kaze ha aperto solo qualche mese fa a Savona, ma già promette molto bene. L’obiettivo di Sabrina, la sua proprietaria, è offrire al pubblico un panorama bibliografico quanto più vasto possibile sul Giappone. Al momento, la libreria offre soprattutto testi di autori nipponici, guide, grammatiche, vocabolari, saggi, materiali sulle arti marziali e molti manga -di cui alcuni in lingua originale-, spesso ad un ottimo prezzo. A richiesta, è possibile ordinare libri in lingua originale.
Inoltre, Higashi no kaze propone un buon assortimento di oggettistica (comprendente gadget, armi, abiti ed accessori, etc.); presto saranno in vendita anche cd, dvd e carta giapponese. Capi di abbigliamento e alcuni accessori (in particolare per arti marziali) sono disponibili previa ordinazione; a chi lo desidera, il negozio offre la possibilità di serigrafare magliette, e di far decorare biglietti e quant’altro da una calligrafa, che esegue anche kakemono.  zonaoggetti
Per quanto riguarda le attività culturali, la libreria, oltre ad organizzare conferenze e riunioni, ha attivato diversi corsi di giapponese (e presto ne partirà uno dedicato all’apprendimento “divertente” della lingua) ed il go club del martedì sera per tutti gli appassionati del gioco.
Buona visita!

Contatti e indirizzo
Higashi no kaze, via Cavour 46/R, 17100 Savona.
Tel: 019/8386348 (solo pomeriggio)
Cel: 3287472012
Email: info@higashinokaze.com
Blog:http://higashinokaze.wordpress.com/ (per essere informati in tempo reale su corsi, novità, eventi)
Sito: http://www.higashinokaze.com/

Dieci cose da sapere su Murakami (secondo il Times) [in inglese]

Navigando qua e là, oggi mi sono imbattuta in un curioso articolo di pubblicato nel giugno 2008 dal Times, Ten things you need to know about Haruki Murakami […], definito nientepopodimeno che  “the coolest writer in the world today“, ossia lo scrittore più figo del mondo al giorno d’oggi. Le notizie che vengono date non sono sempre così fondamentali, ma sicuramente apprezzabili dai numerosi fan dello scrittore appassionato di jazz e di baseball.

Haruki Murakami is quite possibly the most successful and influential cult author in the world today. The 59-year-old sells millions of books in Japan. His fifth novel, Norwegian Wood, sold more than 3.5m copies in its first year and his work has been translated into 40 languages, in which he sells almost as well. Last year’s novella, After Dark, shifted more than 100,000 copies in English in its first three months. His books are like Japanese food — a mix of the delicate, the deliberately bland and the curiously exotic. Dreams, memory and reality swap places, all leavened with dry humour. His translator, Professor Jay Rubin, says reading Murakami changes your brain. His world-view has inspired Sofia Coppola, the author David Mitchell and American bands such as the Flaming Lips. He is a recipient of the Franz Kafka prize, has honorary degrees from Princeton and Liège, and is tipped for the Nobel prize for literature.hmurakami1

MURAKAMI DIVIDES PEOPLE

In June 2000, the panel members of German television’s literary review show Das Literarische Quartett disagreed so violently about his writing that one of them quit after 12 years on the programme. Opinion is equally divided in Japan. While younger readers adore him and even choose to study at his alma mater, Waseda University, in the hope of living in the dorm he describes in Norwegian Wood, he is viewed as pop, trashy and overly westernised by Japan’s literary establishment, who prefer the formal writing of Mishima, Tanizaki or Kawabata. Born in Kyoto in 1949, he studied theatre arts at Waseda — although the course didn’t interest him hugely and he spent much of his time reading film scripts in the library. He was hugely influenced by the student rebellions in 1968, which find their way into many of his novels. As a result, he’s a typical baby boomer — openly critical of Japan’s obsession with capitalism. He finds Japanese traditions boring. This doesn’t go down very well.

MURAKAMI IS HUGELY INFLUENTIAL

As well as countless Japanese novelists, the plot and style of Sofia Coppola’s Lost in Translation were partly inspired by Murakami’s novels. David Mitchell — twice nominated for the Booker prize — owes a huge debt to him after reading him while teaching in Japan. Indeed, the title of his second novel, Number 9 Dream, is a veiled tribute to Norwegian Wood — both were named after Beatles songs. Among others, the Complicite theatre company adapted The Elephant Vanishes in 2003; Robert Wyatt reads from Murakami’s books on Max Richter’s 2006 album Songs from Before; and the Grateful Dead-style jam band Sound Tribe Sector 9 soundtracked a 2007 film version of the story All God’s Children Can Dance.

HIS BOOKS WOULD NOT MAKE A HIGH-CONCEPT MOVIE PITCH

Imagine that JD Salinger and Gabriel Garcia Marquez had collaborated on a manga version of The Maltese Falcon. Norwegian Wood is the Japanese equivalent of The Catcher in the Rye — required reading for every troubled adolescent. Curiously, Murakami translated The Catcher in the Rye into Japanese and found it good but incomplete. “The story becomes darker and darker, and Holden Caulfield doesn’t find his way out of the dark world,” he argues. “I think Salinger himself didn’t find it either.” Murakami balances the mundane — intimate descriptions of preparing and eating simple meals feature regularly — with the fantastic. His protagonists are usually ordinary people trying to get by in life, until some type of ethereal male guide steers them into a new direction, sometimes quite literally. In All God’s Children Can Dance, Yoshiya, a young man working at a publishing company, wakes up with a crushing hangover and heads to his office hours later than usual. On the train coming home that night, he sees an older man who has the distinguishing features of his absent father. Yoshiya follows this man on the train, then through darkened, empty streets, to find himself in a deserted baseball diamond at night. The man vanishes, and Yoshiya stands on the pitcher’s mound in the cold wind and simply dances.

MURAKAMI IS CONFLICTED ABOUT HIS HOMELAND

Both his parents taught Japanese literature, but he preferred reading second-hand pulp-fiction novels picked up in the port city of Kobe. He is a devoted fan of western music and hates the formalism of Mishima. In 1987, the huge success of Norwegian Wood made him an overnight celebrity, which terrified and annoyed him. In December 1988, he left the country, becoming a writing fellow at Princeton. A Japanese weekly magazine reported his departure under the headline “Haruki Murakami has escaped from Japan”. Published in 1994, The Wind-up Bird Chronicle picked apart the cultural groupthink that led Japan into the second world war, a theme he revisited in his first nonfiction book, Underground (published in 1997), about the Tokyo subway attacks by the Aum Shinrikyo cult. He worries about Japan’s tendency to forget wartime atrocities. Even so, he says: “Before, I wanted to be an expatriate writer. But I am a Japanese writer. This is my soil and these are my roots. You cannot get away from your country.”

MURAKAMI USED TO RUN A JAZZ CLUB

He owned it from the end of his university years until 1981, when he was able to support himself with his writing. The experience may have contributed to the negative role of drinking in his books. He uses alcohol as a signifier of the petty, the negative and the evil. That is not to say he is teetotal. He loves beer, rewarding himself with a cold one for feats of writing or sporting endurance. Perhaps it was the crushed, social blend of booze and crowds that made Murakami uneasy. He once said: “When I had the club, I stood behind the bar, and it was my job to engage in conversation. I did that for seven years, but I’m not a talkative person. I swore to myself, once I’ve finished here, I will only ever talk to those people I really want to talk to.” As a result, he refuses to appear on radio or television.

MURAKAMI OWES EVERYTHING TO BASEBALL

On April 1, 1978, he was watching a baseball game at the Jingu Stadium, in Tokyo, on a warm, sunny day — the Yakult Swallows against the Hiroshima Carp. An American player for the Swallows, Dave Hilton, stepped up to bat and hit a home run. In that instant, Murakami knew he was going to write a novel. “It was a warm sensation. I can still feel it in my heart,” he told Der Spiegel earlier this year. He started work that night on his debut novel, Hear the Wind Sing. It has many Murakami themes: there are animals; the hero is a young man, rather isolated, laconic, operating on cruise control and jobless; his eventual girlfriend has a twin (Murakami likes doppelgängers); cooking, eating, drinking and listening to western music are described often and in detail; and the plot is both incredibly simple and bafflingly complex. Writing while running a jazz bar proved difficult, however, and it is a fragmented, jumpy read. The unpublished manuscript won first prize in a competition run by the influential Japanese literary magazine Gunzo, but Murakami himself doesn’t like it very much and didn’t want it translated into English. libri_murakami

MURAKAMI LIKES CATS

His jazz bar was called Peter Cat, and cats appear in many of his stories — usually indicating that something very strange is about to happen. It’s a missing cat that starts off the whole surreal chain of events in The Wind-up Bird Chronicle, while Kafka on the Shore features a confused and possibly brain-damaged pensioner called Nakata, who, after a mysterious incident involving a strange silver light at the end of the second world war, fell into a coma and woke to find that he had telepathic communication with cats. This, it turns out, is fortunate, as a conversation with an unusually bright member of the species, who is on the run from a strange cat-catcher called Johnnie Walker, ultimately leads to Nakata preventing the living embodiment of pure evil from destroying the planet. As I said, something very strange.

MURAKAMI REALLY LIKES MUSIC

Many of his book titles are musical references: Norwegian Wood after the Beatles song, South of the Border, West of the Sun after a Nat King Cole track and Dance, Dance, Dance after the Beach Boys tune. The three books in The Wind-up Bird Chronicle are named after a Rossini overture, a piano piece by Schumann and a character in Mozart’s Magic Flute respectively. In Kafka on the Shore, the hero’s contact with the spirit of a dead woman who has obsessed him throughout the novel finally comes about when he discovers a cache of vinyl records in a desolate library on the outskirts of a regional city and plays Beethoven’s Archduke Trio. In Pinball, 1973, revolutionary students occupying a university building find a classical-music library and spend every evening listening to records. One beautifully clear November afternoon, riot police force their way into the building while Vivaldi’s L’Estro armonico blares at full volume. One interviewer visited Murakami’s flat and found a room lined with more than 7,000 vinyl records.

MURAKAMI REALLY, REALLY LIKES RUNNING

His latest book, What I Talk About When I Talk About Running, is the closest thing he’s written to an autobiography (although some fans suspect Norwegian Wood has more than a little of his own life at its core). In this extended monologue, Murakami reminisces about his life as seen through the prism of the sport.

He began running at the age of 33 to lose weight after giving up smoking. Within a year, he had run his first marathon. He’s also run the original marathon, between Marathon and Athens — albeit in reverse, because he didn’t want to arrive in Athens during the rush hour. His personal best time for a marathon is 3hr 27min, in New York in 1991. In 1995, he ran in a 100km ultramarathon. It took him more than 11 hours and he nearly collapsed halfway through. He describes his second wind as a religious experience, but decided that he wouldn’t run another one. He believes that “a fortunate author can write maybe 12 novels in his lifetime. I don’t know how many good books I still have in me. I hope there are another four or five. When I am running, I don’t feel that limit. I publish a thick novel every four years, but I run a 10km race, a half-marathon and a marathon every year”. He gets up at 4am, writes for four hours, then runs 10km. On his tombstone, he would like the phrase “at least he never walked”.

MURAKAMI IS A ROMANTIC

His protagonists are usually transformed by exquisitely tender physical unions with unusual, beautiful and often confused or mysterious women. He describes love with delicate wonder, and his hero is driven by passionate need once the woman of his life is revealed. “I have to talk to you,” Norwegian Wood’s Toru Watanabe tells the emotionally troubled Naoko. “I have a million things to talk to you about. All I want in this world is you. I want to see you and talk. I want the two of us to begin everything from the beginning.”

Yet it usually doesn’t work out. Murakami’s women are often spirits or extremely fragile. They write the hero long, rambling letters from afar and either attempt suicide or manage to kill themselves during the course of the novel. In one case, the love interest turns out to be the ghost of the hero’s mother, captured when she was a teenage girl. Murakami himself has been married since 1971 to Yoko, although he has speculated in interviews about whether this was the right thing to do. “Unlike my wife, I don’t like company. I have been married for 37 years and often it is a battle,” he told Der Spiegel. ”I am used to being alone. And I enjoy being alone.”

[Foto tratte da qui e qui]

Reportage in Giappone: "L'eleganza è frigida" di Goffredo Parise

Quest’oggi voglio accennarvi ad un libro poco noto in Italia: L’eleganza è frigida di Goffredo Parise. L’opera, scritta qualche decennio fa, è stata riproposta l’anno scorso da Adelphi (pp. 119, 12 €). A metà strada tra la narrazione, la saggistica e il reportage, essa ci presenta il punto di vista di Marco (alter ego dell’autore), novello Marco Polo, alla scoperta del Giappone e delle sue peculiarità.

Goffredo Parise
Goffredo Parise

Vi lascio con una recensione di Giovanni Mariotti apparsa sul Corriere della sera (3 aprile 2008):

Tra settembre e ottobre del 1980 Goffredo Parise trascorse in Giappone due mesi che più tardi avrebbe definito «forse i più belli e felici della mia vita». Gli articoli nati da quel viaggio apparvero sul Corriere fra il gennaio del 1981 e il febbraio del 1982 e, alla fine di quell’ anno, in un volume Mondadori che si lascia ricordare anche per la bella scelta di immagini. Ora, a più di un quarto di secolo, quel reportage, esempio (raro nella nostra epoca) di pellegrinaggio estetico, è riproposto da Adelphi. Titolo: L’ eleganza è frigida. Ecco una sentenza (mutuata dal poeta Saito Ryokuu) che istintivamente sentiamo vera. Frigida è l’ eleganza… cioè orfana «della passione dei sensi». Ogni eccesso di forma e artificio e controllo soffoca la sensualità (basti pensare a quanto siano anerotiche le sfilate di moda). Sensualità che spesso, invece, balena irresistibile in ciò che è scomposto, involontario, inelegante. Tuttavia, nel classico Libro d’ ombra, il grande scrittore giapponese Tanizaki interpreta la sentenza di Ryokuu in una maniera sensibilmente diversa, e singolare. Parlando dei gabinetti giapponesi tradizionali, discosti dalle case, osserva che «non è comodo andarci di notte, e nei mesi freddi si rischia di buscare un raffreddore»; però è anche vero che «l’ eleganza ama il freddo, e dunque la temperatura dei gabinetti, pressappoco uguale a quella esterna, può essere intesa come un tocco di raffinatezza in più». Qui l’ eleganza non è più connessa con lo stile «formale» della tradizione giapponese, ma con la gelida aria delle notti invernali. Manifestai, forse con un po’ di pedanteria, qualche perplessità sul reale significato della frase di Ryokuu in un articolo scritto quando il libro uscì in prima edizione; e Parise mi rispose con una lettera lunga e generosa. Quel titolo, ammetteva, era frutto «di non poche ricerche e dubbi. Ma alla fine è rimasto quello che avevo concepito in Giappone e che del resto avevo trovato nell’ edizione inglese di Libro d’ ombra, «the elegance is frigid», che mi era parso il più comprensivo di elementi». Giustificazione impeccabile: giacché la parola italiana «frigidità» connette due idee, l’ insensibilità al piacere sessuale e una temperatura rigida. Ricordo le acque chiare e freddissime di un torrente delle Apuane: il Frigido. Forse, se la civiltà giapponese ci appare così raffinata e così strana, è perché porta dentro di sé il sentimento dell’ inverno e delle sue costrizioni. Esiste una bella parola che mi sembra convenire più di ogni altra all’ idea giapponese di eleganza: «assiderata». Non sarà un caso se, come nota Parise, nelle case giapponesi i termosifoni diffondono un calore assai più attenuato dei nostri, e talvolta mancano del tutto. Vi è un episodio molto grazioso, nelle prime pagine de L’ eleganza è frigida. Il protagonista (scrivo così perché Parise, o per pudore o per adeguarsi alle distanze e ai formalismi del Paese che visita, racconta le proprie emozioni attraverso il lieve velo di un nome non suo e della terza persona) ha trascorso la prima notte a Tokio nell’ ambasciata del suo Paese, che chiama il «Paese della Politica» (ed è naturalmente l’ Italia). «Il mattino dopo alle otto in punto sentì bussare ed entrò Uji-san, il domestico che aveva intravisto la sera arrivando, con il vassoio della colazione…. Gli chiese com’ era il tempo. “Bellissimo” fu la risposta e, così dicendo, con un gran sorriso per prologo, Uji-san tirò le pesanti cortine. Piovigginava, un’ acqua molto sottile spruzzava invisibile il grande prato del giardino con il suo lago popolato di carpe rosse, gialle, arancioni e dove nuotavano due grandi anatre bianche». Per gli occidentali una giornata «bellissima» esige un cielo di un azzurro impeccabile, il sole, la libertà di uscire. Ma può essere «bellissima» da guardare anche una giornata dai colori ambigui e velati. Dai grigi elegantissimi. Con piccole piogge e passaggio di nuvole vagabonde. Persino un po’ fredda. Un po’ impedita. È l’ insegnamento del domestico dell’ ambasciata. Venuto dal «Paese della Politica», il viaggiatore di Parise assorbe quella lezione. I tesori del Paese dell’ Estetica lo incantano. Il magro Buddha bambino del tempio di Koriuji, il giardino Zen di Roianji (che suscita nel visitatore «la più grande emozione estetica della sua vita»), la lettura sulla riva di un laghetto del più celebre haiku di Bashô («Nel vecchio stagno / una rana si tuffa: / Il rumore dell’ acqua») rapiscono i suoi sensi avidi ed estatici. Ma è soprattutto negli oggetti d’ uso tradizionali, nei gesti, in certe minime ritualità, in un nodo ad asola intorno a un alberello, che gli appare l’ oscura potenza dell’ estetismo. Un estetismo che è una disciplina… e quasi una camicia di forza. Aver piegato la vita quotidiana alle esigenze della bellezza è senza dubbio l’ impresa più singolare della civiltà giapponese, e il segreto della sua irradiazione. Anche l’ Occidente, si sa, vagheggia oggetti belli e dalle forme pure (è il cosiddetto design). Ma l’ incanto si disperde se, come accade, finiscono nel contesto di una quotidianità sguaiata. Quello che manca al Giappone, così com’ è descritto ne L’ eleganza è frigida, è l’ espressione diretta e spontanea dei sentimenti. Che tuttavia affiorano, attraverso silenzi, rossori, elusioni. Parise coglie, con grazia, precisione e a tratti un po’ d’ ironia, queste manifestazioni di una soffocata emotività… il segreto avvampare delle emozioni dietro le cerimonie di un popolo «assiderato». Di timidi. Resta in sospeso (lo restava quando il libro apparve la prima volta, e lo resta oggi) la questione se tutto ciò sia destinato a scomparire, o se invece sia in grado di assorbire e rielaborare in forme originali ogni sorta di influenze esterne. Questo dubbio niente toglie allo sconcerto di chi, abituato a una volgarità chiassosa, scopre le persistenze di uno stile di vita che ha la pazienza e la precisione di certi lavori invernali (parlo di inverno… e, ricordando un bellissimo film di Claude Sautet, mi verrebbe da aggiungere che probabilmente si tratta anche di un «inverno del cuore»). Per Parise, come il suo libro mostra, lo sconcerto si tramutò in innamoramento. […]

Letture giapponesi per i più piccoli

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Izanami e Izanagi (Laura Di Francesco)

Se -come me- anche voi desiderate plagiare menti innocenti, instillando loro sin dalla più tenera età amore per il paese del Sol Levante, vi consiglio allora due libri.

Il primo, Giappone di Marc-Henry Debidour (EDT edizioni, pp. 32, 9 €) aiuterà i più piccoli ad avvicinarsi alla cultura nipponica attraverso la conoscenza delle tradizioni locali, della geografia, della natura, dell’economia e di tanto altro ancora (qui è possibile leggerne l’anteprima su Google Books).

Il secondo libro tocca invece il cuore delle leggende giapponesi: in Kyoko e la nascita del Giappone di Laura Canestrari , con illustrazioni di Laura Di Francesco (Sinnos editrice, pp. 47, 11,50 €), la piccola Kyoko scopre a casa dei nonni il Kojiki e ne rimane affascinata.

Non mi resta che augurarvi buona scelta e buone letture!

"Lo zen e la cerimonia del tè" di Okakura Kakuzō

Okakura Kakuzō
Okakura Kakuzō

Oggi vado a presentarvi un volume ritenuto ormai un classico: Lo zen e la cerimonia del tè di Okakura Kakuzō (Feltrinelli, pp. 99, 7 €).
Il titolo originale, The book of tea, rende meglio l’essenza del libro: spiegare agli occidentali “l’orientalità dell’Oriente” (Cina, India, Giappone…) tramite uno dei suoi simboli, il tè (non a caso, il libro fu pubblicato in inglese, a New York, nel 1906, e fu tra i primi nel suo genere). Ripercorrendo le tappe principali della storia di questa bevanda (ma chiamarla così è riduttivo), Okakura delinea il profilo del taoismo e del buddhismo (in particolare Zen), e ne rileva le influenze sullo stile di vita, sull’estetica e sulla mentalità asiatica.
Alla trattazione della vera e propria cerimonia del tè non è dedicato molto spazio (il titolo dell’edizione italiana è chiaramente commerciale). Chi si aspetta di trovare un Giappone di maniera, rimarrà certo deluso: l’autore, pagina dopo pagina, tenta di svincolarsi dagli opprimenti stereotipi prodotti dagli occidentali, e difende orgogliosamente la grandezza della propria cultura, spingendosi talvolta alla polemica.
Lo stile è piano, regolare; colto, ma non difficile. I brani più belli del libro, a mio parere, sono quelli dedicati alla descrizione della sukiya (la stanza del tè), alla musica prodotta dal bollitore e al maestro del tè Rikyû: la penna di Okakura qui si fa leggera, divenendo quasi pennello.
I suoi strali contro alcuni aspetti dell’occidente possono apparire noiosi ma, nel complesso, quest’opera è un’introduzione più che dignitosa per tutti coloro che vogliano avvicinarsi seriamente al Giappone.
E’ possibile leggere o scaricare la versione inglese online cliccando qui.

P.s. : una piccola curiosità per gli appassionati di tè come me: in Sicilia -più precisamente a Raddusa (CT)- è possibile visitare l’unico museo italiano dedicato al tè; naturalmente, una sezione è dedicata al Giappone.

Il tè è un’opera d’arte, e solo la mano di un maestro può renderne manifeste le qualità più nobili. Esiste un tè buono e uno cattivo, così come esistono dipinti belli a altri brutti – questi ultimi più frequenti. Non esiste ricetta per preparare il tè ideale, così come non ci sono regole che consentano di creare un Tiziano o un Sesson. Ogni modo di preparare le foglie ha una propria individualità, una particolare affinità con l’acqua e il calore, un patrimonio ereditario di ricordi da rievocare, un modo tipico di raccontare. Ma in esso la vera bellezza deve essere sempre presente.
Okakura Kakuzō, Il libro del tè

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