Tomikichiro Tokuriki, Mt. Fuji from the Watermill at the Mouth of Omiya
Tomikichirō Tokuriki (1902-1999), Mt. Fuji from the Watermill at the Mouth of Omiya

“Ed ecco davvero, ad una svolta, altissimo nel cielo, uno dei vulcani più celebri del mondo,
e forse più bello, il Fuji
.[…]

Traversando questi poggi in una giornata d’inverno, verso la fine del secolo XVII, Bashō, folle, delizioso poeta, si trovò sotto l’oscuro manto d’una nuvola in tempesta. Sognava di vedere il Fuji; non lo vide. A quei tempi non era come oggi, con strade asfaltate e macchine; mettersi in viaggio, a piedi o sul dorso d’un cavallo, era ardua impresa. La disillusione deve essere stata crudele.
Eppure Bashō buttò giù un appunto:

Kiri-shigure
Fuji wo minu hi zo
Omoshiroki

Bello è anche il giorno bigio
in cui
la pioggia cela il Fuji.

A parte il fatto che qui entrano in campo antiche e profonde propensioni dell’animo orientale nutrito di filosofia buddista (tutto un gioco sottile fra apparenze e non apparenze, fra realtà che sono intangibili e cose che sono illusioni), per cui la bellezza è sempre più squisita ed inonda maggiormente l’animo se suggerita anziché posseduta dai sensi, a parte questo, pur prendendo le parole del poeta da un angolo di vista oggettivo ed occidentale, come toccano nel segno. Il Fuji è infatti uno di quei punti focali della natura in cui le cose si sollevano a dignità di persona; le sue bellezze si rivelano infinite; ogni panorama, ogni ora, ogni luce ha la propria, persino «il giorno bigio in cui la pioggia cela il Fuji».”

Fosco Maraini, Ore giapponesi, Corbaccio, 2000, p. 137