Categoria: recensioni

“Il recinto” di Alessandro Mavilio

Alessandro Mavilio il recintoLo confesso: non è facile recensire un libro come Il recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone di Alessandro Mavilio (Orientexpress, 2016, pp. 214, € 11,90).

Non perché presenti difficoltà nei contenuti o nello stile; il mio timore, piuttosto, è quello di non poter rendere piena giustizia alla ricchezza di quest’opera. Perché tratta di passione, entusiasmo, impegno, e lo fa, coerentemente, con passione, entusiasmo, impegno. E anche per questo è arduo ascriverla a un solo genere; a mio parere, è quindi forse meglio considerarla di volta in volta una raccolta di saggi sulla cultura nipponica riguardante gli argomenti più disparati, il diario di un esploratore contemporaneo, un fascio di riflessioni che intrecciano passato, presente e futuro…

Posso però almeno essere certa del luogo e del momento in cui questo volume affonda le radici: (altro…)

“Un mese, un anno. 90 haiku” di Alfredo Martini

Un mese, un anno. 90 haiku di Alfredo Martini Fischia il vento
tra i rami dei lecci.
L’eco rincorre.

Sa di iris, rocce, brezza, questo libro; e di neve, ombra, luna.

Un mese, un anno. 90 haiku (Almisisi, 2015, pp. 96, € 15) di Alfredo Martini assomiglia, infatti, a una breve mappa delle stagioni della natura e dell’anima. Come suggerisce il titolo della raccolta, le liriche sono suddivise in dodici sezioni, quasi a voler scandire un diario intimo in cui si susseguono minuscole, esatte istantanee.

Come ha infatti dichiarato l’autore, queste composizioni “[s]ono un modo per cogliere un cambiamento, uno scarto rispetto allo scorrere normale di una giornata. […] Qualcosa che ha mutato un’attesa o che mi fa cambiare pensiero e la mente va all’haiku: un modo per fermare quest’eccezione, questo momento unico e diverso. Ecco cosa sono gli haiku per me. Un modo per intercettare frammenti della vita”.

Un mese, un anno. 90 haiku di Alfredo Martini

L’impatto visivo dei versi – che, non di rado, costruiscono di per sé originali spazi sulla pagina – è amplificato da una grafica curata al dettaglio e dalla presenza di dodici bellisime foto del Giappone, che contribuiscono alla grazia discreta ma penetrante del volumetto: in questo modo ogni scheggia d’esistenza può riverberare verbalmente e esteticamente la sua genuina, poetica irripetibilità.

“Tokyo redux” di Anthony Bourdain

anthony bourdain tokyo reduxIl primo impatto – lo confesso – non è stato del tutto convincente: eppure Tokyo redux (trad. di Stefano Tettamanti e Maria Cristina Castellucci, Feltrinelli, pp. 28, € 0,99), ebook estratto da Il viaggio di un cuoco di Anthony Bourdain, possiede un suo perché. Nel breve saggio, il celebre chef, innamorato della cucina nipponica, descrive il suo viaggio alla scoperta delle delizie di Tokyo e dintorni (in primis, il famigerato fugu, ossia il potenzialmente letale pesce palla).

Si tratta senza dubbio di un’opera d’intrattenimento, ma non per questo del tutto banale o inutile. Bourdain, infatti, rivela un pregio non comune fra coloro che si occupano occasionalmente (o persino accidentalmente) del Giappone: si limita (non sempre, ahimè) a parlare di ciò che conosce e sa valutare meglio, vale a dire l’ambito gastronomico. Lo fa alla sua maniera, in modo istintivo, appassionato, talvolta persino iperbolico, ma cercando di essere quantomeno rispettoso. Inoltre, cosa rara in un libro di memorie a tema giapponese, i piatti e gli alimenti sono citati con il nome locale e spesso accompagnati da una breve descrizione.

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“Gatti giapponesi” a cura di Diego Cucinelli

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Koson, “Gatto e boccia per i pesci”

“Mi ricordo che avvenne nel passaggio di stagione, tra la primavera e l’estate. Un giorno i bambini si accorsero di una gatta randagia che aveva partorito dei cuccioli sotto la nostra veranda e me lo comunicarono.
Una grande gatta nera, solita invadere le cucine del circondario, stava crescendo due micetti, un gatto tartaruga e un kijineko [gatto dal pelo nero, bianco e marrone], in uno spazio angusto dove stipavamo la legna e il bambù.” (Terada Torahiko, I gatti)

Pensando alla letteratura nipponica e ai felini, il primo nome che viene alla mente è, naturalmente, Io sono un gatto di Natsume Sōseki, dato alle stampe nel 1905; eppure, la produzione giapponese ha con questi animali un secolare rapporto, che affonda le sue radici nel folklore, nella produzione fiabistica e in alcune antiche opere come il Taketori monogatari (Storia di un tagliabambù, X sec.), il Meigetsuki (Cronache al chiaro di luna, XI-XIII sec.) e il Makura no sōshi (Le note del guanciale, XI sec.).

Nude with black cat by Takahashi Shotei
Shotei, Nudo con gatto nero

In essa i gatti hanno rappresentato – e rappresentano tuttora – ben più che dei meri elementi decorativi, come ben dimostra Gatti giapponesi. Ritratti felini dagli inizi del Novecento ai giorni nostri (CasadeiLibri, 2015, pp. 196, € 16, in offerta a 13,60), in cui sono proposti dieci racconti di altrettanti autori, pubblicati fra il 1909 e il 2007, molti dei quali (se non tutti) inediti in Italia. L’antologia è stata realizzata dallo studioso Diego Cucinelli, che ha curato le traduzioni, l’introduzione e i vari apparati biografici e critici che corredano il volume. Ogni testo, infatti, è accompagnato da una scheda dedicata al suo autore e da una sintetica spiegazione che illustra l’opera presentata, inquadrandola nella produzione dello scrittore.

Il libro è estremamente curato sotto ogni punto di vista, come per esempio testimoniano i caratteri utilizzati per i kanji del maestro Nagayama Norio, le numerose illustrazioni, le abbondanti e dettagliate note, l’impaginazione tersa e piacevole. A colpire ancor di più è però, innanzitutto, la varietà degli spunti e delle prospettive offerte dalle storie. I felini – come, per esempio, ne L’ufficio dei gatti di Miyazawa Kenji o La malattia di Re Gatto di Umezaki Haruo – divengono (s)oggetti narrativi su cui proiettare virtù e, più ancora, vizi tutti umani. Essi, inoltre, rivelano una particolare abilità nel mettersi in contatto con le zone più torbide dell’animo degli uomini, in cui desideri, inquietudini e oscuri impulsi s’intrecciano sino a confondersi.

Eros, thanatos e violenza sono non a caso solo alcuni dei temi che emergono negli scritti, contrassegnati da un’ampia gamma di sentimenti e sensazioni; che siano cuccioli indifesi o fantasmi (bakeneko), esemplari smaliziati o seduttori irresistibili, i gatti qui raffigurati, infatti, sanno sorprendere, commuovere, far riflettere o persino scandalizzare. E, soprattutto, è impossibile opporre resistenza al loro fascino sfuggente e ambiguo.

“A dispetto di ogni obiezione e sbeffeggiamento, dentro di me sono profondamente convinto di quanto affermando, ovvero che da qualche parte nel cosmo debba esistere quel particolare villaggio di cui racconta la tradizione, una città popolata unicamente di spiriti di gatti.” (Hagiwara Sakutarō, La città dei gatti)

 

Una favola noir: “La strana biblioteca” di Murakami

la strana biblioteca murakami haruki racconto
“Nella biblioteca regnava un silenzio assoluto, più profondo del solito. Mentre avanzavo sul linoleum grigio del pavimento, le mie scarpe di cuoio nuove di zecca scricchiolavano in maniera strana, non mi parevano neanche le mie. Ogni volta che metto delle scarpe nuove, mi ci vuole un po’ di tempo per abituarmi al loro suono.”

E’ un ragazzo preciso, lui: riconsegna i libri in biblioteca in tempo, tiene i suggerimenti della madre ben piantati in testa, obbedisce sempre – spontaneamente si potrebbe dire – agli ordini ricevuti. Ed è proprio questo che lo trascinerà in un’avventura inaspettata, narrataci da Murakami Haruki nel racconto La strana biblioteca (trad. di Antonietta Pastore, Einaudi, 2015, pp. 88, € 15, ora in offerta a 12,75), arricchito, nella versione italiana, dai disegni di Lorenzo Ceccotti.

L’anonimo protagonista – in cerca di volumi sulle tasse nell’Impero ottomano – si immerge nei meandri della biblioteca, sino a esserne risucchiato; e questa sua discesa, in fondo, non è che un inoltrarsi nell’abisso dell’animo umano, nelle sue paure e nelle sue macabre fascinazioni. La storia, infatti, è ricca di riferimenti metaforici e di richiami al più tipico immaginario di Murakami: basti pensare alla figura dell’uomo pecora (già vista ne Nel segno della pecora), all’attenzione per il cibo o al motivo dei mondi contigui (messi in comunicazione da un uccello, come ne L’uccello che girava le viti del mondo), che possono esser penetrati grazie alla fantasia, capace di andare oltre ogni limite fisico e ogni imposizione.

la strana biblioteca murakami haruki racconto
“Invece di rispondere, la ragazza fece un dolce sorriso. Un sorriso così radioso che l’aria intorno a lei sembrò farsi più sottile.”

Scandita da un alternarsi di luce e tenebra, vita e morte, sottomissione e reazione, questa favola (oltre che costituire una riflessione sul potere della lettura) potrebbe con facilità apparire noir; eppure, in fondo, veicola con sé un messaggio positivo. La conoscenza non solo ci rende migliori e più ‘appetibili’ (“[…] i cervelli pieni di conoscenze sono squisiti […]. Sono cremosi. E al tempo stesso granulosi.”), ma permette – letteralmente – di spalancare nuove dimensioni persino in una prigione.

Sebbene, quindi, vi sia più di uno spunto interessante, a mio parere, però, al racconto di Murakami manca qualcosa: forse quel senso di schiettezza e sincerità (in più punti, infatti, la trama sembra eccessivamente costruita a tavolino) che ci spinge a tuffarci a capofitto nelle pagine di un libro, anche a costo di smarrirci nei nostri incubi.

“Viaggio a Tokyo” di Vincenzo Filosa

Viaggio a Tokyo - Filosa Non è un libro semplice, Viaggio a Tokyo, uno di quelli che puoi sfogliare dovunque, ché tanto l’autore e la trama sembrano quasi adattarsi a te, alla situazione del momento.

E no. Così, l’ho iniziato almeno in cinque diverse circostanze, in altrettanti posti, prima di incappare nella volta buona. Non ricordo neanche più dove fossi, forse nella sala d’aspetto dell’aeroporto o in un vagone della metropolitana solitario, perché, credo, sia meglio affrontare questo volume autobiografico di Vincenzo Filosa (dedicato al suo soggiorno in terra nipponica nel 2007) quando si è in transito, fuori dalla propria comfort zone. (altro…)

“Illustration school: piante e creaturine” di Umoto Sachiko

illustration school piante creaturine umoto sachikoQuella domenica pomeriggio a Kyōto ero sola e semi-squattrinata – la carta di credito non voleva saperne di funzionare e nel portafoglio erano rimasti circa 200 yen. Così, per ingannare l’attesa prima di un appuntamento, decisi di rifugiarmi in una libreria di un centro commerciale. Curiosando in giro, scoprii un intero scaffale dedicato ai libri per imparare a tracciare disegni kawaii: più che ai bambini, erano destinati prevalentemente a giovani donne che volevano decorare agende e biglietti con piccole illustrazioni. Inutile dire che tornai in albergo completamente al verde, ma felice.

umoto illustration schoolDati questi trascorsi, qualche mese fa sono stata felice di scoprire in un’italianissima libreria la serie Illustration school di Umoto Sachiko, illustratrice professionista laureata in pittura alla Tama Art University di Tōkyō. Questi volumetti costituiscono un brevissimo corso per prendere velocemente confidenza con forme e figure semplificate; oggi mi soffermerò su quello intitolato Illustration school: piante e creaturine (a cura di Valentina Vignoli, trad. di Silvia Cesari, Logos edizioni, 2015, pp. 112, € 12, ora in offerta a 10,20). (altro…)

Lo sguardo curioso: i “Quaderni giapponesi” di Igort

Ci son due categorie di persone di cui sono sempre stata invidiosa: i musicisti e i disegnatori. Riescono a cogliere armonie per me ineffabili, a muoversi fra segni e simmetrie che il mio occhio o il mio orecchio non sanno afferrare. Ecco: nel caso di Quaderni giapponesi di Igort la gelosia ha punto nel vivo più che mai. Perché ogni spazio è gestito e colmato con tale incredibile esattezza da lasciare sbalorditi, e ogni dettaglio testimonia studio, amore, dedizione.

Quaderni giapponesi Igort

Etichettare il volume sotto la voce ‘graphic novel’ o ‘fumetto’ mi pare perciò riduttivo. A ogni modo, un fil rouge c’è, ben evidente: il rapporto di Igort col Paese del sol levante, avviato già negli anni Ottanta e coltivato grazie a soggiorni, letture, pellicole e incontri con autori del calibro di Taniguchi e Miyazaki. Una lunga avventura autobiografica, quindi. Ma, naturalmente, dietro c’è molto di più: e così affiorano la tensione dei colloqui di lavoro che possono cambiare una vita, la stanchezza delle notti in bianco passate a disegnare, l’attenzione per la ricchezza e la varietà delle arti figurative giapponesi, i tributi ai maestri (in primis, Hokusai a Tezuka, a cui il volume è dedicato), l’osservazione vigile e rispettosa delle pieghe della vita nipponica, …

Quaderni giapponesi Igort E’ difficile recensire un libro tale senza rischiare ogni momento di togliere, tagliare, snaturare; si perdono – letteralmente – sfumature, ombre, prospettive. Perché di Quaderni si tratta, e in quel plurale troviamo un groviglio di storie all’insegna della continuità e dela molteplicità. L’inizio dei rapporti dell’autore col Giappone, infatti, risale ormai a tre decenni fa; e questo lungo lasso di tempo è stato affollato di viaggi, pagine, visioni orientali; anche gli stimoli accumulati, d’altronde, sono diversissimi, provenienti tanto dalla cultura tradizionale quanto da quella contemporanea.

quaderni giapponesi Igort Basho
Alcuni haiku di Bashō

Come leggere, allora, quest’opera? Per me, il modo migliore è abbandonarsi al meraviglioso fluire delle immagini (che pure spesso sono inframezzate da note e commenti sulla cultura, l’arte e la letteratura giapponese), penetrare in loro intrufolandosi attraverso una macchia di colore o un particolare di poco conto. Perché lo stupore è sempre a portata di mano, e di matita.

Quaderni giapponesi Igort Tanizaki

Lavoro, dunque sono: le donne giapponesi e il lavoro secondo Itoyama Akiko

Japanese office lady

(mio articolo originariamente apparso su Nippop)

23 novembre, giornata del ringraziamento per il lavoro. «Che effetto volete che mi faccia? Ė un giorno come un altro per i disoccupati», pensa Kyōko. D’altronde, sperimenta spesso le attese ai centri per l’impiego e l’imbarazzo di abitare con la madre a quasi quarant’anni; per di più, con indicibile vergogna di conoscenti e familiari, si ostina a esser sciatta, single e poco incline alle nozze. Un caso senza speranza (sebbene lei paia non preoccuparsene eccessivamente), al punto da spingere una solerte vicina di casa a organizzare per lei un miai, un incontro a scopo matrimoniale: ma come legare con un uomo mediocre, innamorato della propria azienda, che giudica le donne alla stregua di un commerciante di bestiame?

Ė ciò che si chiede con un pizzico di sarcasmo Itoyama Akiko (絲山秋子; 1966) in Kinrō Kansha no Hi (勤労感謝の日; Il giorno del ringraziamento per il lavoro), il primo dei due racconti pubblicati ne Le Jour de la Gratitudine au Travail (traduzione francese di M.-N. Ouvray, Picquier, 2010), inediti nel nostro paese. (altro…)

La necessità di ricordare: “Nagasaki. Racconti dell’atomica” di Hayashi Kyōko

orologio nagasaki bomba atomica
Tomatsu Shomei, “Atomic Bomb Damage: Wristwatch Stopped at 11:02, August 9, 1945, Nagasaki”

  Le vittime della bomba atomica, prima ancora di essere vittime della guerra o dello scontro generato tra nemici e alleati, sono vittime del genere umano.

E’ questa, con buone probabilità, una delle frasi che meglio riassume il senso di una consistente parte dell’opera di Hayashi Kyōko, sopravvissuta – come narra in Nagasaki. Racconti dell’atomica (trad. di M. Suriano, Gallucci editore, 2015, pp. 231, € 18, in offerta a € 15,30) – all’esplosione dell’ordigno nucleare rilasciato sull’omonima città.

Tra il rombo del motore del Bockscar che risaliva e la distruzione della fabbrica ci fu solo il tempo per quelle brevi parole: ‘Un raid!’ E in quel lasso di tempo 73889 persone morirono all’istante. Quasi lo stesso numero, 70499, furono scaraventate fuori nel sole cocente di piena estate, con la pelle scorticata come il coniglio bianco di Inaba.

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