[Jaka] [e]ra nato in un’isola, ma non aveva mai nuotato nel mare vero. Cullandosi nell’acqua salata in cui precipitavano granelli di sabbia, Susu lo stuzzicava. Vieni, prendimi tra le braccia. Ho qui una cosa che ti piace. Rideva; un pesce tropicale rosso le sgusciò fra i capelli sparsi a ventaglio sulla superficie dell’acqua. Il sole diventava impalpabile disegnando arabeschi sul mare, la sabbia calda ai suoi piedi lo incitava a raggiungerla, ma lui restò immobile. Il chiarore mi acceca, si giustificò. E’ una bugia, lo smascherò Susu. Le tue ciglia sono capaci di fare ombra al più accecante raggio di sole, continuò costringendolo a confessare che non sapeva nuotare.
Jaka non aveva paura del mare su quel letto. Le gocce di sudore che imperlavano la pelle di Susu risplendevano fosforescenti come nottiluche, sapeva che lì non sarebbe mai morto annegato. Vedi, puoi nuotare, gli diceva Susu. Le brazza notturna che giungeva dalla finestra si intiepidiva nell’incavo dei loro corpi madidi, diveniva bruma. Umettava ogni sinuoso movimento lasciando la stanza rorida di vapori, umida come la battigia dopo la pioggia. Ecco perché mi è sempre piaciuto il mare, fu l’intuizione di Jaka mentre le sue anche si agitavano nel buio.
Yamada Eimi, Bad Mama Jama, trad. di Giuliana Carli, Marsilio, pp. 18-19
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