Wabi, sabi,* cyber: in queste tre parole sembra concentrarsi passato, presente e futuro del Giappone. E non è dunque un caso se proprio “Wabi, sabi, cyber” si è chiamato un fortunato ciclo di conferenze tenutosi a Napoli negli anni passati, i cui contributi sono stati raccolti in un bel volume intitolato Culture del Giappone contemporaneo, curato da Matteo Casari (Tunué, pp. 288, 2011, € 16,50, ora in offerta a € 14,03; qui trovate una corposa anteprima).
L’opera, divisa in due sezioni (La tradizione e le sue metamorfosi; La contemporaneità e i suoi paradossi), riunisce dodici saggi, composti da alcuni dei più importanti yamatologi operanti in Italia, che affrontano ciascuno alla propria maniera – ma sempre con uguale passione – temi che spaziano dalla letteratura classica e odierna all’arte post-moderna, sino ad arrivare ai manga, trattandoli in maniera accessibile anche ai non addetti ai lavori e dando vita a un quadro mosso ed estremente ricco.
Tra i saggi che mi sento di consigliare in modo particolare (ma, naturalmente, tutti sono estremamente interessanti) segnalo: “Wabi e sabi nella tradizione estetica giapponese” di Sagiyama Ikuko, in cui si ripercorre la storia dei due concetti; “Il manga secondo Murasaki” di Giorgio Amitrano, dedicato alle trasposizioni manga del capolavoro della letteratura giapponese, il Genji monogatari, e “Takahashi Gen’ichirō. Il romanzo giapponese tra postmoderno e avant-pop” di Gianluca Coci, che permette di scoprire un autore poco noto in Italia.
* “La parola wabi trae l’origine dal verbo wabu, che può essere tradotto come ‘soffrire’, ‘sentirsi soli e abbandonati a sé stessi’, ‘trovarsi in difficoltà’, ‘cadere in miseria’. Sostanzialmente raffigura uno stato di privazione, materiale o mentale, e il senso di amarezza e scoramento che ne deriva. […] Anche il termine sabi deriva dal verbo sabu, che originariamente abbracciava una gamma di significati inerenti il cadere in rovina, degenerarsi, invecchiare, arrugginirsi. Indica il calo della vitalità, la perdita di vigore con il conseguente stato di declino o devastazione e pertanto implica il passare del tempo.” I due termini, evolvendosi, hanno finito per assumere una connotazione maggiormente positiva e insieme si riferiscono al passare del tempo (soprattutto l’effetto di esso), all’impermanenza delle cose, accompagnati non da dolore o ansia, bensì serenità e sentimento di unicità. (definizione tratte da “Wabi e sabi nella tradizione estetica giapponese” di Sagiyama Ikuko)