Un’opera ricca e multisfaccettata: ecco come si presenta l’Introduzione allo studio della lingua giapponese, curata da Andrea Maurizi e pubblicata di recente (Carocci, 2012, pp. 235, € 19; ora in offerta a € 16,15), non un manuale per apprendere le basi grammaticali e comunicative, bensì un validissimo strumento capace di fornire un‘ampia panoramica storica e letteraria sullo sviluppo e la conformazione del giapponese, esaminato in modo sintetico ma denso dalle sue origini sino al giorno d’oggi.
Una volta inquadrato il giapponese nel complesso dei rapporti con altri idiomi e considerato alla luce della sua probabile appartenenza alla famiglia uralo-altaica, si procede alla trattazione di alcuni elementi costitutivi della lingua (aggettivi, classificatori, particelle…), dedicando inoltre particolare attenzione all’aspetto e alle strutture verbali.
Nei saggi proposti dagli autori (Giorgio Francesco Arcodia, Emanuele Banfi, Federica Da Milano, Andrea Maurizi, Junichi Oue), la lingua nipponica viene analizzata soprattutto alla luce di quelle che in linguistica vengono chiamate varianti diafasiche, distratiche, diamesiche, diacroniche e diatopiche (in parole povere: legate rispettivamente al contesto comunicativo, alle caratteristiche del parlante, al mezzo usato, al tempo e allo spazio).
Una sezione consistente ed estremamente interessante del volume è dedicata alla rassegna delle figure retoriche adoperate nella poesia classica e ai vari usi del giapponese nella tradizione letteraria nipponica (nell’epoca Heian, nel Genji monogatari, nell’Ise monogatari, ecc.), senza dimenticare la questione del keigo (il linguaggio onirifico ipercodificato).
Sugella il testo in maniera degna la raccolta integrale Hyakunin Isshu (Poesie di cento poeti) di Fujiwara no Teika. Composta tra il XII e il XIII secolo, l’antologia riunisce le composizioni più suggestive redatte a partire dal 600 d. C. (traendole per esempio dal Man‘yōshū e Kokin Waka shū) ed è da sempre molto apprezzata sia dai critici, sia dagli amanti della lirica, tanto che i suoi versi sono stati utilizzati per dare vita a uno dei giochi di carte più amati in estremo oriente, l’utagaruta.
Concludiamo dunque con una nota di dolcezza, citando uno dei componimenti più struggenti, di Ono no Komachi (IX secolo):
I colori dei fiori
sono purtroppo svaniti
mentre io invano
mi soffermavo a riflettere
sul corso della mia vita.Hana no iro wa/ utsurinikeri na/ itazura ni/ wagami yo mi furu/ nagame seshi ma ni
Ho appena inserito questo libro nella wishlist, grazie per la segnalazione.
Carocci, quanti ricordi, continua ad essere un punto di riferimento per la saggistica “minore”… prima o poi dovrò decidermi a farne il catalogo di presi e ricercati…
PS. Ho deciso che d’ora in poi ti commento gli articoli unicamente sul blog e non su FB (insomma è più importante il lavoro che svolgi qui che lì!)
Sì, Carocci per fortuna ancora costituisce un punto di riferimento per chi cerca saggistica di qualità; speriamo continui a lungo così.
Grazie anche per la decisione di commentare qui, anziché su Facebook: ho sempre l’impressione che le note lasciate neol blog vivano più a lungo e siano più feconde di quelle disseminate nei vari social media. 🙂