Dopo averci tenuto compagnia quasi un’estate intera, il doppio concorso del blog “Il Giappone a modo mio” si conclude quest’oggi, con la proclamazione dei vincitori. Prima però si svelare i loro nomi, lasciatemi spendere due parole su tutti coloro che hanno partecipato, inviando un frammento del loro Giappone, della loro vita.
Così facendo, ci hanno permesso di condividere con loro un’istantanea di viaggio, uno haiku, un disegno, un collage dei momenti più preziosi, una pagina di diario… Ci permettono di conoscere (o ricordare) la nostalgia della partenza, i particolari minini della bellezza, e, soprattutto, l’amore sincero per un paese che, pur essendo così distante, sa far innamorare di sé ogni giorno. Grazie.
E grazie, ovviamente, anche a chi ha speso qualche minuto del suo tempo per leggere o ammirare i contributi.
Ma ora passiamo il momento tanto atteso, visto che vi ho già tenuti abbastanza sulle spine. I vincitori del contest di scrittura sono:
- Dei ricordi che ripercuotono la mia anima, di Carlotta (116 voti)
- Il Giappone non è un posto…, di Marco (72 voti)
Potete leggere le loro opere alla fine del post. I vincitori della sezione fotografica sono invece:
- “Sbocci di fiori./ Splendore della vita fuggiasca.” di Silvia (130 voti)
- Giardino, di Elena (102 voti)
I vincitori saranno presto contattati via email. Carlotta riceverà Io sono un gatto di Natsume Sōseki (Beat, pp. 476), mentre Silvia vedrà arrivare a casa Giappone di Rossella Menegazzo (Mondadori, pp. 348). Nella cassetta della posta Elena e Marco troveranno un segnalibro giapponese realizzato con carta washi.
E ora, non mi resta che dirvi: al prossimo concorso!
* * *
I due testi vincitori:
DEI RICORDI CHE RIPERCUOTONO LA MIA ANIMA
Erano le ultime ore che avrei trascorso in questa città, all’indomani la partenza. Mi aggiravo per la camera senza darmi pace, sentivo che avevo ancora qualcosa da fare, da vivere. Che non ne avevo abbastanza di questo Giappone.
Mi vestii alla svelta e scesi in strada, dirigendomi verso la zona meno rumorosa della città.
Per giungere a destinazione attraversai una zona in cui si alternavano negozi di elettronica a negozi di tessuti per kimono, konbini a negozi alimentari in vecchio stile, e così via. Perché per capire e conoscere questo Giappone bisogna vivere il duplice aspetto che ormai ne è una caratteristica, la contrapposizione tra il moderno e il tradizionale.
In questo alternare di epoche diverse giungo nella zona più “nipponica” di Kyoto: Gion.
Il tempo si ferma, il silenzio mi avvolge, le strade diventano sempre più piccole e le persone sempre meno presenti. Attorno solo piccole case di legno. Curioso come non si riesca mai a vederne l’interno. Ho dovuto imparare molto presto a mettere da parte la mia curiosità da occidentale, a tal punto che la sola idea di desiderare entrarvi mi faceva sentire inopportuna. Perché il Giappone è anche questo: rispetto e discrezione.
Il mio attraversare Gion divenne voglia di perdermi in quegli incroci di strade e vicoli, senza voler pensare a dove e come avrei potuto uscirne.
E fu proprio in queste circostanze che catturai ciò di cui avevo bisogno. I profumi del cibo giapponese, non sempre così delicati ma che, un giorno d’improvviso, ti accorgi che sono in grado di procurarti l’acquolina in bocca. Il rumore delle geta di una maiko che cammina velocemente alle mie spalle, chi siano le maiko e le geisha per me rimane ancora un mistero. Il tono squillante e deciso di un paio di lavoratori di un ristorante, discutono o parlano normalmente? I maneki neko all’ingresso dei negozietti che invitano a entrare. Il cielo giapponese: scorcio azzurro ricamato da una fitta rete nera di cavi elettrici.
Ormai consapevole di dover rientrare per cena, mi fermai su un piccolo ponticello. La luce del crepuscolo avvolgeva case e locali che lentamente prendevano vita, sul canale il riflesso di lanterne e illuminazioni, l’aria fredda dei primi di marzo che minacciava ancora neve. Avvolta nella mia grossa sciarpa rosa me ne stavo lì immobile, ad osservare, a rubare immagini, suoni, odori e sensazioni ad un Giappone che mi aveva trasmesso tanto.
Ripensavo a tutto ciò che avevo vissuto e per un attimo distolsi lo sguardo da quello scenario. Verso di me camminava un uomo, mi guardava, sorrideva e, giuntomi accanto, arrestò per un istante il suo passo, dalle sue labbra fuoriuscì un konbanwa, e al seguito un inchino.
Perché in Giappone c’è sempre un tempo per correre e uno per fermarsi ed essere cordiali.Carlotta
Il Giappone non è un posto è un modo di essere; non è la meta di un viaggio, ma un percorso mentale. Chi si avvicina al Giappone, attraverso il pensiero dei suoi intellettuali, attraverso le pagine dei libri dei suoi autori, attraverso le lacrime di un film, la compostezza di un verso o l’incisività di un haiku finisce per amarlo per sempre. Non sono mai stato fisicamente nel luogo geografico, eppure mi sono intriso di quel mondo, dove ogni gesto è sempre un esempio di coerenza, di onestà intellettuale, di dolore composto e di gioia mai eccessiva, dove l’amore si fonde con la morte, l’onore con l’essenza della vita. Il Bushido, la via del samurai, fatta di lealtà e giustizia, sembra ritrovarsi nel percorso di ogni individuo. L’importanza della bellezza, che spinge persino a truccare le persone defunte, si traduce in rispetto, nel desiderio di non rompere mai i canoni estetici della vita. Alla sobrietà delle case, specchio dell’amore per l’essenziale, fa da sfondo lo straordinario della natura, dove i colori sono prorompenti come i sentimenti e decisi come i fiori dei ciliegi in primavera, fiori che non appassiscono, ma vengono recisi dal vento, prima di avvizzirsi; il rumore delle grandi città che riescono ad essere moderne ed evolute, trafficate e tecnologiche, senza contaminare mai il silenzio dei luoghi circostanti; i sapori aromatici come quelli del wasabi, che si sposa con la delicatezza delle pietanze di mare.
Il Giappone, insomma, pieno di immagini contrastanti, ritrova inesorabilmente, sempre e comunque il suo meraviglioso equilibrio, che lo rende agli occhi di chi come me lo ama, unico al mondo, irraggiungibile chimera e innegabile realtà.
Marco
Beh dopo che leggi il racconto di Carlotta puoi solo dire… datemi un biglietto d’aereroooo… datemelo subitooooo!!!! …Meraviglioso!