Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho. Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. E’ lì che per la prima volta ho visto un essere umano. Provai un senso di vertigine quando mi mise sul palmo della mano e mi sollevò per aria. Appena ritrovai una certa stabilità lo guardai in faccia. Che creatura curiosa, pensai. E questa impressione di stranezza la conservo ancora.

Così inizia una delle più celebri opere della letteratura giapponese, Io sono un gatto (1905) di Sōseki Natsume, e non è un caso.  I felini sono certamente tra gli animali più amati dagli scrittori nipponici ed è infatti piuttosto frequente imbattersi in loro sfogliando romanzi e racconti: mi viene subito in mente La gatta di Tanizaki Jun’ichirō (qui la mia recensione), contesa tra due innamorati oramai in lite. E di Murakami, ne vogliamo parlare? Oltre a riempire i libri di mici, negli anni Settanta aveva dato vita a un locale, il “Peter cat” (omonimo del suo animale), tappezzato di foto di gatti. 

Dal momento che credo – come gli indiani d’America – che una foto ben fatta possa rubare almeno un brandello dell’anima, ho scelto per voi alcuni scatti raffiguranti tre celebri autori (nell’ordine: Tanizaki, Murakami e Mishima) in compagnia dei loro compagni a quattro zampe; sembra incredibile quanto da una semplice immagine possa emergere del carattere e delle debolezze umane.

“Le nuvole di sapone diventano un gatto, il gatto diventa una bella donna, il viso di quella donna diventa il tuo e quello di Nina… se ciò non avvenisse non potrei sopportare questa mia solitudine.”
Tanizaki Jun’ichirō, Ave Maria

 

— Buongiorno, — disse il vecchio.
Il gatto sollevò appena la testa, e a voce bassa, di malavoglia ricambiò il saluto. Era un grosso gatto maschio nero, anziano.
— È una bella giornata, non è vero?
— Hmm, — fece il gatto.
— Non si vede nemmeno una nuvola.
— Per ora.
— Pensa che questo tempo non durerà?
— Verso sera si dovrebbe guastare. Si sente nell’aria, — disse il gatto nero, allungando lentamente una zampa. Poi socchiuse gli occhi e osservò di nuovo l’uomo in viso.
L’uomo guardava il gatto sorridendo amabile. Il gatto esitò qualche istante, indeciso su come comportarsi. Poi, rassegnato, disse:
— Hmm… si direbbe che sai parlare.
— Sì, — rispose il vecchio timidamente, e in segno di rispetto si tolse il suo logoro berretto di cotone da montagna. — Non è che possa parlare sempre e con tutti i gatti, ma quando le cose vanno bene ci riesco, come adesso.

(Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia)

 

 

“Metti una mano sulla schiena del gatto e giura. Si dice che i bugiardi diventino gatti.!
“Che idiozia!”
Esclamò con disprezzo Kimi e pose una mano sulla schiena ondeggiante del gatto.

(Mishima Yukio, Trastulli di animali)

6 commenti il I gatti e gli scrittori giapponesi

  1. Che coincidenza!!!
    Proprio in questi giorni stavo scrivendo un articolo per un blog su questo tema! 😀
    Anche io avevo notato questa particolare predilezione degli scrittori giapponesi e poi i gatti… li adoro!! 🙂

  2. Certamente! Lo sto facendo un po’ a scappatempo e quindi procede a rilento, ma non mancherò di segnalartelo quando sarà finito! 🙂

  3. Ho appena comprato online “io sono un gatto” dopo aver letto il meraviglioso “ai tempi di bocchan” del maestro Taniguchi (che consiglio a chiunque non lo conosca). A questo punto non vedo l’ora che arrivi per scoprire questo, per me nuovo, autore Sōseki Natsume!

  4. Non è solo degli scrittori giapponesi questa predilezione per i gatti. I giapponesi in generale appartengono alla 猫派 (neko-ha), si direbbe …sì, insomma, gli inglesi direbbero che sono più che altro “cat-person”.
    Andando in Giappone, pur avendolo girato parecchio, da Nord a Sud, non ho mai visto cani in giro (credo 3 in tutto), mentre internet e siti come 2chan e niconico sono letteralmente affollati di gatti…
    Sarà perché nelle piccole case giapponesi di città i gatti sono molto più facili da allevare?
    …che poi, piccola parentesi, mi sono sempre detto: gli puliamo la lettiera, gli diamo da mangiare, li facciamo giocare… ma non è che sono loro i padroni?

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