Tag: una stanza tutta per il tè

Un tè nel cuore della notte

L’inverno, poco alla volta, si sta insinuando nelle nostre giornate: un alito di vento gelido che penetra dalla finestra socchiusa, la coperta di lana ai piedi del letto e un tè fumante sempre accanto a noi, mentre le ombre della sera ci sorprendono – e ci avvolgono – sempre prima.
Ritorniamo così in punta di piedi nella Stanza del tè, in compagnia di Francesca di Una stanza tutta per (il) tè (che ha dedicato questo bel post all’argomento di oggi), con un delicatissimo brano di Nagai Kafū tratto da La luce della luna (di cui potete leggere una recensione qui), che sottolinea l’incessante scorrere del tempo spiando i minimi mutamenti naturali, in consonanza allo spirito giapponese:

Alla fine dell’estate, se notava il modo in cui le perlacee gocce dei piovaschi serali scrosciavano sulle foglie di loto, un attimo dopo sembrava potesse sentire il vento che soffiava tra i canneti aridi o vedere l’amaranto che cedeva il passo ai crisantemi, segnando l’avvento dell’autunno.
Quando cadeva l’ultima foglia d’acero insieme ai tardivi acquazzoni autunnali, l’anno era improvvisamente volto al termine ed era tornato il tempo di contare le gemme del prugno fiorito con il solstizio d’inverno. Nelle giornate più fredde, avrebbe rimosso il contenuto del pozzo nero e, attento a otturarsi il naso, lo avrebbe sparso alla base dei vecchi alberi. Era in quella stagione che si potevano apprezzare i piaceri dell’isolamento invernale: una tazza di tè infuso nel cuore della notte o le bacche di nandina o di yabukoji, più belle di qualsiasi fiore su uno sfondo innevato. Sulla libreria, comparivano improvvisamente i narcisi e le adonide e prima che appassissero, arrivava l’equinozio di primavera.
Tempo di sfoltire i crisantemi e seminare l’erba del prato. I giorni non sono mai lunghi abbastanza per chi ama il proprio giardino e Nanso¯ era perennemente occupato a dare il benvenuto e l’addio a centinaia di diverse varietà floreali. Non faceva in tempo a posare lo sguardo e indugiare sul fresco verde delle cime degli alberi, che il giardino diventava scuro per le piogge di stagione e se i prugni ormai maturi cominciavano a cadere di mattina, entro sera le foglie della mimosa si erano arrotolate nel sonno. Sotto il raggiante sole di mezzogiorno, l’albero di melograno sembrava risplendere di germogli e la terra era cosparsa dei petali di brugmansia. A tarda sera, dalle sagome scure delle piante acquatiche intrise di rugiada, provenivano i flebili versi degli insetti che preannunciavano l’arrivo dell’autunno.
Primavera, estate, autunno e inverno… non era poi così diverso dal leggere le poesie stagionali di un libro di haiku.

Un tè fra amiche

Durante un viaggio in Giappone, qualunque occidentale – appassionato del Sol Levante o semplice curioso – non può resistere alla tentazione di assaggiare qualche varietà di tè locale. Che si tratti di un bancha sorseggiato in fretta o di un raffinato matcha, attraverso questa bevanda – come abbiamo visto già in passato – si ha comunque l’impressione di entrare in contatto con una sfera di tradizioni e percezioni molto diverse dalle nostre (per approfondire, vedi Una stanza tutta per [il] tè), che titillano le nostre papille gustative e i nostri neuroni; persino da un semplice tè fra amiche, come quello descritto da Carla Vasio in Come la luna dietro la luna (saggio-romanzo dedicato alla scrittrice Higuchi Ichiyō), possono emergere le caratteristiche e la raffinatezza della cultura nipponica.

Sono venuta a chiedere l’aiuto di Sachiko [per una traduzione]. Le sue mani affusolate mi porgono una tazza di the verde: con le dita della mano destra la tiene in delicato equilibrio sul palmo della mano sinistra che tende verso di me. Stiamo inginocchiate sui cuscini, nella sua stanza, e guardiamo le ombre del nespolo che in forma di grandi foglie oscillano sui vetri della finestra. Osservo la grazia distaccata dei suoi gesti, come non afferri il cestino dei biscotti ma si limiti a portare la mano verso il manico toccandolo appena: un attimo di apparente esistazione e il piccolo cesto di fili di bambù intrecciati pende dalle sue dita privo di peso. Mentre il dischetto di farina di riso, verde e bianco, dolcissimo, mi si scioglie sulla lingua, mi porge la tazza di un the senza colore, più caldo di quanto io possa sopportare. […]

Immagine tratta da qui.

Condividiamo un tè al gelsomino

Approfitto di questo post della Stanza del tè per dare man forte a Francesca di Una stanza tutta per (il) tè nella sua campagna a favore del gelsomino: poiché il fiore è di recente assurto a simbolo della rivolta tunisina, la Cina ha pensato bene di bandirlo per ragioni politiche. In questo modo, rischia però di scomparire anche una delle bevande tradizionali più celebri e amate del paese, vale a dire il tè al gelsomino che, nel corso degli anni, ha conquistato anche il Giappone per la sua piacevolezza e i suoi effetti benefici, come ricorda anche Maruya Saiichi, scrittore e critico letterario nipponico, in un brano tratto dal racconto Sable Moon.
Prima di immergervi nella lettura di oggi, scegliete una musica rilassante di sottofondo, poi mettetevi comodi e sorseggiate una bella tazza di tè. Al gelsomino, ovviamente.

Ritornai nello spogliatoio e mi gettai sul letto. Un ragazzo di bell’aspetto mi portò una tazza bollente di tè al gelsomino. La bevvi sdraiato nel letto, e a ogni sorsata sentivo come se uno zampillo di sudore fosse schizzato via dal mio corpo. Il ragazzo mi deterse delicatamente con un asciugamano fresco. Entrò il pedicure e bagnò le dita dei piedi e le unghie, sistemò la pelle spessa del tallone, mi lisciò i calli, cambiando i suoi strumenti di volta in volta. Completata l’opera, lasciò la stanza in silenzio. Al suo posto entrò un massaggiatore e iniziò a lavorare senza dire una parola. Forti e sensibili, i palmi e le dita scorrevano sul mio corpo, cercando e trovando i covi e le radici dei muscoli tesi, premendo, frizionando, pizzicando, accarezzando e sciogliendo i nodi. […] Dalle forti dita del massaggiatore scaturiva una nebbiolina rinfrescante. Il mio peso si dileguò e mi dissolsi in un dolce sonno.

Foto tratta da qui.

Kawabata e l’acqua per il tè

I libri, forse, possono dividersi in due gruppi: da un lato, ci sono quelli che devi leggere nel posto giusto per gustarli appieno; dall’altro, quelli che ti portano dove vogliono loro, in qualunque luogo li sfogli.  Quest’ultimo è per me il caso delle raccolte di Kawabata Yasunari, forse perché nessun racconto somiglia al precedente; si può percepire una sorta di fil rouge che accomuna le sue storie, ma – nel momento di descriverlo – ecco che vengono a mancare le parole.

Forse la sede più adatta per perdersi in Cristantemo nella roccia, la novella che ho scelto con Francesca per la Stanza del tè, potrebbe essere un giardino giapponese, quieto, quasi dimenticato. Eppure, io l’ho letta in una fredda sera di marzo, aspettando un autobus che non voleva mai arrivare, tra un parcheggio vuoto e i neon di un supermercato. Avevo però l’impressione di essere dall’altra parte del mondo, davanti alla roccia umida che dà il titolo alla narrazione; e il rumore dell’acqua del tè, cui Kawabata accenna, mi riscaldava.

In questo breve brano che oggi vi presento, troveremo un personaggio già conosciuto, vale a dire  Sen no Rikyū, uno dei più importanti maestri della cerimonia del tè, coerente con la sua scelta di vita per l’eternità;di lui ci parla più approfonditamente Francesca nella sua Stanza tutta per (il) tè, ricca di profumi e suggestioni. Buona lettura.

Pur abitando nella valle del Kakuenji, con le sue magnifiche tombe di pietra, ho scoperto per la prima volta la bellezza di quest’arte a Kyōto quando, nel Daitokuji, vidi il prezioso stupa [monumento buddhista che spesso custodisce reliquie] che orna la tomba di Sen no Rikyū e la lanterna di pietra che orna quella di Hosokawa Sansai. Sia lo stupa che la lanterna sono opere per cui Rikyū e Sansai nutrivano una vera predilezione, e furono essi a sceglierle per le proprie tombe. Per questo sin dall’inizio le guardiamo come opere d’arte di cui questi grandi maestri del tè avevano riconosciuto la bellezza. E forse per l’atmosfera del mondo del tè che evocano in noi, in essesto avvertiamo un senso di familiarità e calore che raramente si prova davanti a vecchie pietre tombali.

Nella parte del prezioso stupa di Sen no Rikyū che dovrebbe corrispondere all’entrata, la pietra è stata scavata, e si dice che, accostando l’orecchio a quella cavità, si possa sentire un rumore sommesso, come di vento che soffia tra i pini. E’ il rumore dell’acqua che bolle per il tè.

Kawabata Yasunari, da Cristantemo nella roccia (tratto dalla raccolta Prima neve sul Fuji)

Foto tratta da qui.

Daruma, il tè e la meditazione

Il è la bevanda per eccellenza del Sol Levante; le sue origini – ci ricorda Una stanza tutta per (il) tè sono lontane nel tempo e nello spazio.
Sebbene nell’immaginario popolare il tè rievochi alla mente principalmente la raffinata cerimonia (talvolta non priva di presunte sfumature erotiche, come aveva notato Mishima),  locha (questo il suo nome in giapponese) ha – secondo un poetico racconto secolare – radici molto più umili e, per certi versi, filosofiche:

[…] Secondo la leggenda, il tè ebbe origine con Daruma, fondatore della setta Zen del Buddhismo. Si narra che egli abbia viaggiato dell’India alla Cina portando con sé la sacra ciotola dei patriarchi. Al “Buddha bianco”, com’era chiamato dai Cinesi, venne dato asilo in un tempio collocato in una grotta, in montagna, dove rimase a meditare per nove anni, guadagnandosi il titolo di “santo che guarda fisso”. Durante una delle sue meditazioni si addormentò. Quando si risvegliò era così dispiaciuto che si tagliò le palpebre, per essere sicuro che mai più avrebbe commesso una simile trasgressione. Nel punto in cui erano cadute le sue palpebre, crebbe dal suolo una strana pianta, le cui foglie avevano la proprietà di scacciare il sonno. Il germe del Chanoyu* era stato gettato – la meditazione!

Julia V. Nakamura, La cerimonia del tè. Un’intepretazione per occidentali

* Chanoyu significa letteralmente “acqua calda per il tè”, ed è l’espressione con cui di solito si designa la cerimonia del tè.

Una tazza di tè per “Il maestro del tè” di Yasushi Inoue

Inauguro ufficialmente la collaborazione con il blog Una stanza tutta per (il) tè parlandovi – com’è naturale – d’un libro ispirato all’ambrata bevanda. Non vi citerò l’ennesimo volume di saggistica relativo alla cerimonia del tè, bensì un romanzo ancora poco noto in Italia, in quanto inedito, vale a dire Il maestro del tè, di Yasushi Inoue. In esso vengono svelati – attraverso lo sguardo del discepolo Honkakubō – l’universo e le tormentate vicessitudini esistenziali di Rikyû, maestro del tè realmente esistito nel XVI secolo.
Ecco una delle pagine che preferisco; nel frattempo, entra nella Stanza del tè per scoprire quale tè può accompagnare meglio la lettura:

[…] Dovevano essere circa le due del pomeriggio quando presi posto nella stanza del tè, e vi restai sino a quando gli arbusti del giardino si furono totalmente confusi nell’oscurità. Passai là un pomeriggio molto felice, dimentico del tempo che scorreva.
Ero già penetrato altre volte in questa stanza, in qualità di assistente del Maestro Rikyû, quand’era ancora vivo; nulla era cambiato da allora: il rotolo appeso al muro, calligrafia del principe Son-En-Po, la tazza da tè conica, il suo braciere preferito, il cui piacevole e incessante crepitìo mi ricordava il mormorio del vento… Era proprio quella la stanza del tè di Tôyôbô, conosciuto da sempre come un fine collezionista.
Mi offrì un tè eccellente; mi parve di vivere un sogno. Dopo di ciò, prese una tazza da tè che il Maestro Rikyû gli aveva donato e la sistemò dinanzi a me. Mi sentii riconoscente e molto onorato della sua benevola sollecitudine: ebbi l’impressione di trovarmi davanti al Maestro Rikyû.
Ricoperta da un bello smalto nero, era una tazza elegante e convessa della miglior fattura. Da quanti anni non toccavo quella tazza? Chôjirô, il vasaio che l’aveva foggiata, era morto due anni prima del Maestro Rikyû; ho io stesso qualche ricordo legato a questa tazza nera… ero felice che ora fosse tra le mani di Tôyôbô.
(traduzione dalla versione francese, Le Maître de thé, ed. Livre de Poche)

 

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