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“Scrivere per Fukushima”: il Giappone dopo il terremoto, dopo lo tsunami, dopo il dolore

scrivere per fukushimaScrivere per Fukushima: sembrerebbe un’operazione impossibile, eppure per certi versi doverosa.

E’ per questa ragione che è nata un’antologia omonima, Scrivere per Fukushima. Racconti e saggi a sostegno dei sopravvissuti del terremoto, cui hanno dato il loro contributo molti nomi della letteratura giapponese (altro…)

Un anno dopo il terremoto: le reazioni dei giapponesi in “Fukushima e lo tsunami delle anime” di Paolo Salom

Il lago Inawashiro, prima dell'11 marzo 2011; era detto 'lo specchio del paradiso'.

Buongiorno a tutti. Sono arrivata oggi da Fukushima. Sono venuta insieme a molti compagni che hanno riempito diversi pullman, sia dalla prefettura di Fukushima stessa sia dai posti dove siamo stati sfollati. […]
Ci sono alcune cose che desidero dirvi tanto per cominciare. (altro…)

Un bisbiglio nel silenzio: “Tokyo soul” di Mariella Soldo

Solitamente, riservo poco spazio ad autori che scrivono del Sol Levante.  Non amo pagine riempite di geisha, samurai e altri ameni luoghi comuni.

Tempo fa, proprio per il timore di vedere la sofferenza di un popolo ridotta a mero pretesto narrativo, mi sono tenuta ben lontana dalla serie di eventi e opere (più o meno) artistiche per commemorare il terremoto dell’11 marzo 2011. I discorsi vuoti e fini a se stessi erano sempre in agguato.

Con il racconto Tokyo soul (che potete leggere qui) di Mariella Soldo non è stato così. Ogni parola mi è parsa sincera, sentita, fragile. Forse perché, in quei giorni di primavera acerba, ho provato lo stesso dolore e la medesima paura di perdere per sempre un’amica preziosa, che – anche a diecimila chilometri di distanza – cercava a suo modo di proteggermi.

 

Due testimonianze di Tawada Yōko e Murakami Haruki sull’11 marzo

Circa sei mesi fa, un violento terremoto – con tutto ciò che ne è conseguito – ha sconvolto alcune aree del Giappone. Oggi, dopo molte polemiche e molto dolore, voglio presentarvi le testimonianze di due importanti scrittori nipponici, Murakami Haruki e  Tawada Yōko (di cui mi sono occupata già in un altro post). Il contributo del primo è stato pubblicato qualche giorno fa nel <<Corriere della sera>> ed è consultabile a questo link (ringrazio Elena per la segnalazione); quello dell’autrice è invece riportato qui sotto. Il brano è stato tradotto da Mariano Manzo e tratto dal sito Le Rotte:

LA CALMA NELLA TEMPESTA
La parola “catastrofe” ha un suono diverso per le orecchie giapponesi

Da bambini abbiamo imparato a mantenere la calma in caso di una catastrofe naturale. Infatti quando sento la parola “catastrofe naturale” divento calma.
L’11 Marzo, poco dopo essermi svegliata mi ha chiamato una conoscente tedesca e mi ha chiesto se fosse successo qualcosa alla mia famiglia a Tokyo. Non sapevo ancora di cosa parlasse. Durante il giorno ero sempre più impressionata dalle tante persone dalla Germania, Francia, Italia, Stati Uniti e altri paesi che con apprensione mi telefonavano o mi scrivevano e-mail. Ho quindi provato a contattare da Berlino mia madre a Tokyo, ma subito ho realizzato che telefonicamente non ci sarei riuscita. Così ho inviato un’e-mail a mio padre e mia sorella per sapere se tutto andava bene.
Mio padre mi ha subito risposto che la metropolitana avrebbe ripreso a funzionare il giorno dopo e che quindi sarebbe potuto andare all’antiquariato per procurarmi quel libro che volevo. Questa è stata la prima cosa che mi ha scritto e non ho potuto fare a meno di ridere. Il libro mi serve urgentemente, certo, ma per quanto riguarda il terremoto? Mi sono ricordata lentamente che in queste situazioni bisogna concentrarsi su cose concrete, piccole e quotidiane come un libro, invece di pronunciare frasi ad effetto.
In giapponese non esiste una corrispondenza precisa alla parola “catastrofe”. Questo termine importato dal tedesco viene usato per la natura e in politica. Ciò dà la possibilità alle persone in caso di catastrofi naturali di pensare subito alla politica. Mio padre mi ha scritto poi che non poteva tornare a casa e che perciò avrebbe pernottato nell’ufficio della sua casa editrice. Sette scaffali erano caduti e i libri giacevano sul pavimento, ma non era successo niente.
In Giappone ci sono spesso terremoti sia lievi che forti e quindi non è per niente inusuale che gli scaffali cadano.
Fin dall’infanzia mi è stato detto continuamente che nell’arco della mia vita sarebbe arrivato un forte terremoto a Tokyo. Nel mio piccolo ero in qualche modo preparata, ma, attraverso le drammatiche riprese delle onde dello tsunami e di altre scene che si possono vedere su internet, sono stata improvvisamente messa di fronte a una paura fuori portata che si è impressa nei miei occhi. Questo non l’avevo calcolato.
La mia personalissima previsione era più prosaica. Ho sempre pensato che anche se tutta la casa o tutta la città venisse trascinata via, qualche sopravvissuto avrebbe cominciato, con un calzino o con una tazza, a ricostruire la vita nuovamente. Evitare il drammatico e concentrarsi sui piccoli oggetti che si possono toccare.
Ci sono alcune cose che mi hanno meravigliata. Per esempio non ho capito perché si parla della mancanza di energia elettrica come fosse il problema principale. Ho persino il sospetto che determinate persone usino questa situazione per dimostrare l’importanza delle centrali nucleari.
“Gente, se le centrali nucleari non lavorassero, la vita sarebbe così buia! Non è terribile?”
In Giappone il sole brilla più spesso e più forte che in Germania ma ci sono meno persone che credono che dal sole si possa ottenere energia. Naturalmente anche a Fukushima ci sono molte persone che si sono battute contro la costruzione delle centrali nucleari ma le loro voci non sono presenti nella stampa giapponese e sul pericolo della radioattività non si è mai parlato chiaramente.
Si parla di catastrofe naturale riguardo alla morte per radioattività ma la natura non ne è responsabile.

Un Giappone color seppia: “L’uccello nero del Sol Levante” di Paul Claudel

All’inizio del secolo scorso, raggiungere il Giappone si profilava un’impresa ardita, che richiedeva settimane di viaggio e una grande determinazione. Buona parte dei coraggiosi si spinsero fino ai confini del mondo soltanto per ragioni economiche; nello sparuto gruppo dei curiosi – che pur esisteva ed aveva una sua dignità – figurava anche Paul Claudel, poeta, drammaturgo e diplomatico francese, che dalla fine del 1921 sino quasi alla primavera del 1927 risiedette (con qualche interruzione) nel Sol Levante, in veste di ambasciatore.
Nato nel 1868 – l’anno che inaugurò l’era Meiji e il rapido processo di modernizzazione -, Claudel giunse in Giappone ormai maturo, dopo aver risieduto e lavorato in molte nazioni; ciò gli permise di guardare alla cultura nipponica con un’ampiezza di vedute certamente poco comune all’epoca, come ben testimoniano i numerosi saggi raccolti ne L’uccello nero del Sol Levante (a cura di Maria Antonietta Di Paco Triglia, ed. il Cerchio, pp. 148, € 15).
In queste pagine trovano ospitalità gli argomenti più disparati, in grado di far breccia nella vita e nell’animo dello shijin taishi (il diplomatico-poeta, come veniva chiamato): e così ci si avventura tra le cronache dei solenni funerali dell’imperatore o fra quelle della devastazione, fisica ed emotiva, provocata dal terremoto di Tokyo del settembre 1923; si rimane incantati dalle affascinanti leggende degli autoctoni e dalla poesia nipponica, allora semisconosciuta in Europa. E ancora: si riflette sulla politica, la letteratura, l’antropologia e le forme di devozione locali, tanto differenti da quelle del cattolicissimo Claudel. Una consistente parte degli scritti raccolti nel volume, infine, è dedicata ad uno dei più grandi amori dell’autore, il teatro: i principali espedienti narrativi, scenici e drammatici del kabuki, del e del bunraku vengono analizzati con acume e vivo interesse.
Lo sguardo dell’autore d’oltralpe vaga qua e là per l’orizzonte giapponese, riuscendo a cogliere i tratti salienti dei fenomeni, per portarli poi alla luce con sincera ammirazione attraverso una prosa ricca e suggestiva, capace di fecondare la fantasia del lettore, sino a farlo immergere nel Giappone fantasmagorico e nostalgico dei lontani anni Venti.

Un ricordo del terremoto del 1 settembre 1923

Una toccante pagina di Paul Claudel (poeta e ambasciatore della Francia in Giappone durante gli anni Venti del Novecento), frutto di un’esperienza in prima persona, in occasione del terremoto del 1 settembre 1923 che sconvolse Tokyo e Yokohama:

I mercanti di crespi e di broccati, la via dei mercanti di ninnoli, Nakadori, con i suoi ammassi di tesori, Nihonbashi, Shimbashi, il quartiere dei ristoranti e delle case eleganti da tè, Kanda, il quartiere delle Scuole, l’Università imperiale, Asakusa, il campo dei divertimenti popolari con il suo Yoshiwara e il suo tempiodi Kwannon, poi, dall’altra parte della Sumida, Riyogoku, la grande arena dei lottatori, e quegli immensi quartieri senza fine dove viveva a fior d’acqua nella risaia appena riempita, nell’aria greve delle esalazioni chimiche, tutto un popolo miserabile e rassegnato, la capanna del paria, il negozio dell’incisore di sigilli, la roulotte del pulitore di pipe, e accanto i grandi teatri, il museo Okura stivato di lacche d’oro e stoffe reali, i ristoranti bellissimi che in fondo al loro tokonoma espongono ogni giorni una pittura differente di Koorin e di Sesshuu, tutto questo è stato spazzato dalle fiamme. E’ il vecchio Giappone che sparisce in un sol colpo per far posto all’avvenire in un olocausto paragonabile alla distruzione di Alarico. Dei tram, in mezzo alle strade, non resta che un ammasso di ferraglie e un groviglio di pali e di fili. Ha spirato un grande alito di fuoco. Anche l’acqua degli stagni si è messa a bollire […]. Ma è a Honjoo, nel quartiere più miserabile della metropoli industriale, che si è trovata preparata la trappola più grande, una vasta piazza vuota in un’antica costruzione per equipaggiamento militare dove trentamila disgraziati avevano cercato riparo. Il fuoco li ha circondati da tutte le parti, sono morti. L’acqua nera e stagnante intorno a loro è coperta da uno strato di grasso umano. Sopra, in un piccolo commissariato di polizia in un edificio in cemento armato, si vedono cinque cadaveri ripiegati su se stessi. Sono gli agenti che si sono lasciati bruciare sul posto piuttosto che abbandonare il proprio ufficio.
(Paul Claudel, L’uccello nero del Sol Levante, trad. a cura di M. A. Di Paco Triglia, ed. Il Cerchio, pp. 38-39)

Banana Yoshimoto e la sua testimonianza sul terremoto

Solo oggi ho scoperto questa testimonianza di Banana Yoshimoto riguardante il terremoto dell’11 marzo e i problemi che ha comportato (compresi quelli a Fukushima), intitolata Voglio tornare a sorridere. L’articolo, tradotto da Emilia Benghi, è stato pubblicato ne <<La Repubblica>> del 17 marzo scorso:

Al momento del terremoto stavo andando a prendere mio figlio a scuola. Guidava mio marito e la potenza della scossa lo ha costretto ad accostare e fermarsi. Dal finestrino dell’auto ho visto i grattacieli ondeggiare in distanza e ho pensato “Sarà un guaio grosso”. Fortunatamente mio figlio era sano e salvo a scuola e siamo tornati a casa con lui senza problemi.
Qualche piccolo danno c’è stato in casa, tipo portafotografie in frantumi e libri caduti a terra dagli scaffali, ma fortunatamente nulla di serio.
Subito un’amica che abita nel nostro quartiere è venuta a offrirci aiuto. Ho accompagnato a casa gente che non poteva rientrare per via dei trasporti pubblici bloccati. I cellulari non funzionavano così il sistema migliore per ottenere informazioni erano Twitter e Viber. Ci sono state altre scosse di assestamento ma senza danni gravi a Tokyo.
Il problema ora è che, sconvolta dal disastro, la gente ha fatto incetta di beni di consumo quotidiano. Riso, scatolame e carta igienica sono ormai introvabili. E non è facile spostarsi in auto per via dei problemi di rifornimento di carburante.
Il bombardamento di immagini tragiche dello tsunami in TV ha avuto un impatto pesante sulla psicologia della gente. Alcuni media lo hanno capito e sono tornati al palinsesto normale con le ultime notizie che scorrono in sottofondo. Ho trovato questa decisione molto coraggiosa e ho apprezzato molto Tokyo Channel 12, pioniere di questa scelta.
Quanto alla centrale di Fukushima, ancora non mi sono fatta un’idea mia in mezzo ai tanti commenti diversi. Comunque dico solo che mi ha colpito l’alta professionalità dei tecnici giapponesi che stanno facendo tutto il possibile per evitare l’esplosione, invece di chiacchierare su cosa sia giusto o sbagliato. Il mio cuore scoppia di dolore per la morte di tante persone in questo disastro ma vedo gli sforzi della protezione civile nell’opera di salvataggio e la solidarietà tra i sopravvissuti. Non passa giorno senza che io scopra la grandezza del popolo giapponese. Credo che uno scrittore debba portare a tutti speranza in qualunque situazione. Comunque sia non voglio smettere di sorridere, voglio mantenere la mia libertà di pensiero e intendo affrontare con coraggio le avversità.

Lo “Tsunami nuclare” vissuto in prima persona da Pio d’Emilia

Pochi giorni fa, sono state divulgate alcune immagini della ricostruzione giapponese post terremoto: le strade sono state in gran parte ripulite e rimesse in sesto, i detriti spazzati via, le abitazioni ristrutturate. La grande efficienza nipponica potrebbe dunque farci ingenuamente pensare che tutto stia faticosamente ritornando alla normalità e che anche per i giapponesi, in fondo, si sia trattato soltanto di una brutta parentesi.
A scuotere le nostre coscienze e a mostrarci la cruda realtà dei fatti interviene un piccolo libro, Tsunami nucleare (ed. Manifesto, pp. 128, € 10; ora in offerta su Amazon.it a 7) di Pio d’Emilia, esperto di Giappone e di sud-est asiatico, nonché collaboratore delle principale testate italiane. Il giornalista ha seguito il terremoto con le sue disastrose conseguenze atomiche direttamente dal fronte; queste pagine riuniscono insieme le sue testimonianze dal vivo, coprendo l’arco di un mese a partire dal terribile 11 marzo.
Il volume è arricchito da una testimonianza della scrittrice Taguchi Randy (“Ecco come è nata la scelta nucleare del Giappone”), nonché da una nota critica riguardante la copertura della notizia da parte della stampa internazionale, che forse certi giornalisti italiani – capaci di sfoggiare in occasione della tragedia nipponica tutti i luoghi comuni immaginabili e una bella dose di inventiva per aumentare il pathos – dovrebbero leggere con attenzione.

Dal Giappone con passione: “Vado, Tokyo e torno” di Fabio Bartoli

In questi giorni di preludio all’estate siete alla ricerca di un libro frizzante che sappia condurvi per qualche ora dall’altra parte del mondo? Allora vi consiglio Vado, Tokyo e torno di Fabio Bartoli (Tunué, pp. 112 con illustrazioni, € 9,70, disponibile su Amazon.it cliccando qui a 6,31), una delle uscite più recenti della casa editrice specializzata in pop e forme dell’immaginario (fumetti, videogiochi, graphic novel, etc.).
Qualcuno, però, potrebbe pensare che sia l’opera sbagliata nel momento sbagliato: perché pubblicare i ricordi di viaggio di un ragazzo italiano alle prese con una Tokyo rutilante, a distanza di poche settimane dal grande terremoto dell’11 marzo e dai catastrofici eventi che ne sono conseguiti? Io credo che stia proprio in questo contrappunto il (nuovo) significato del volumetto, composto prima della tragedia (e non dopo, per cavalcare l’onda emotiva): mostrare il brulichio costante della capitale, le sue abitudini, la fretta di vivere tipica soprattutto dei suoi abitanti più giovani, in contrasto con le immagini di desolazione e sterilità sulle quali oggi diversi media vogliono appiattire il Giappone. Non si tratta quindi di sottovalutare l’accaduto o di voltare lo sguardo dall’altra parte, ma di far valere nel proprio piccolo l‘istinto vitale ad andare avanti nonostante tutto, accompagnato dalla necessità di ricordare – a se stessi, agli altri – che l’arcipelago nipponico non è ridotto a un cumulo di macerie e di scorie radioattive, come purtroppo alcuni credono.
In un momento in cui – a volte un po’ ridicolmente – in Italia si teme il contatto con tutto ciò che è giapponese, la scelta di pubblicare questo libro non solo va rispettata, ma anche apprezzata. Penso che a far ciò riusciranno soprattutto le generazioni nate o cresciute nel corso degli anni Ottanta, la stessa a cui appartiene l’autore (e, per la cronaca, anche io stessa): Fabio, difatti, impronta buona parte del suo racconto di viaggio – svoltosi nell’aprile 2010 – alla realizzazione dei desideri di molti suoi coetanei, divenuti adolescenti seguendo una rigida dieta a base di anime e manga giapponesi, e coltivando il sogno di conoscere un giorno dal vivo quella terra lontana a lungo immaginata.
Le avventure descritte dal narratore spaziano così dalle incursioni negli studios dei più celebri produttori di anime, al bagno di un onsen collocato ai piedi del Fuji, passando per le ricognizioni metropolitane (nei quartieri di Harajuku, Shibuya, Shinjuku…), alla scoperta di look inaspettati e tendenze autoctone. Non mancano le riflessioni riguardanti gli aspetti che maggiormente colpiscono il turista occidentale in trasferta nel Sol Levante, come la proverbiale gentilezza degli abitanti, la dedizione al lavoro dei サラリーマン (i “salary men”, ossia i dipendenti) o la varietà della cucina nipponica; nell’esaminare tutto ciò, lo scrittore non teme di riconoscere i limiti della propria interpretazione, che anzi è sempre disponibile a mettere in discussione.
Questo diario di viaggio, che si legge tutto d’un fiato, non ha infatti la pretesa di essere esaustivo o di sostituirsi ad una guida turistica: ho avuto come l’impressione che miri soprattutto a spingerci a una scoperta personale e unica del Giappone e del suo “cuore caldo”, che batte forte anche oggi fra i bollettini da Fukushima e i nostri timori per il futuro del paese.

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