Tag: poesia

Uno haiku fatto di neve [Kobayashi Issa]

Hokusai - Beauty with umbrella in the snow

 

C’ero soltanto.
C’ero. Intorno
cadeva la neve.*

Kobayashi Issa

只居れば 居るとて雪の 降にけり
Tada oreba oru tote yuki no furi ni keri

 *trad. di Mario Riccò, da Il muschio e la rugiada

 

Nell’immagine: Hokusai, Bellezza con l’ombrello

 

“Il violoncellista Gōshu” e gli haiku di Matsuo Bashō: due video dallo spettacolo “L’odore intimo del Giappone”

Haiku a misura di bambino: “Un gatto nero in candeggina finì” di Pino Pace

Da diversi anni ormai in alcune scuole italiane (in special modo elementari) si è presa la buona abitudine di familiarizzare i bambini alla poesia utilizzando anche lo haiku. Come sempre, i più piccoli imparano prima degli adulti e talvolta riescono a creare dei piccoli capolavori di freschezza.

Il volumetto che vi presento oggi, Un gatto nero in candeggina finì dello scrittore per ragazzi Pino Pace (ed. Notes, pp. 40, € 10; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a 8,50 ), con le simpatiche illustrazioni di Tai Pera(altro…)

Speciale san Valentino: l’amore nella letteratura giapponese

Al liceo, per qualche tempo, le mie amiche ed io avevamo preso l’abitudine di scambiarci nel giorno di san Valentino dei pensierini che testimoniassero il nostro affetto: un biglietto, un cioccolatino a forma di cuore, un oggetto da nulla scambiato sotto il banco.

Ecco, considerate questo speciale san Valentino, dedicato all’amore nella letteratura giapponese presentato in diverse forme (poetica, erotica, ironica, drammatica…), come un piccolo regalo per voi. Per leggerlo e scaricarlo nel vostro computer, è sufficiente cliccare qui e salvarlo sul vostro computer.

I brani e le poesie che troverete sono tratti da opere ed epoche molto diverse tra loro: si va dalle antiche liriche del  Kokin Waka shū per arrivare sino a 1Q84 di Murakami. Ho voluto intercalare i testi con le bellissime illustrazioni dell’artista Tanji Yōko, che mi paiono molto evocative e capaci di proiettare lo spettatore in un’avvolgente dimensione onirica, in cui le ragazze sognano sulla luna e una coppia ha sotto gli occhi l’intero cosmo.

Approfitto di questo spazio per ringraziare i miei amici Faiza e Nino, amanti come me degli haiku, per i consigli e le risate, e voi tutti che mi seguite. Buon san Valentino a tutti, che lo festeggiate o meno. 🙂

Immagine tratta da qui.

 

“Kokin waka shū”, o dell’eternità

Chiamiamo «classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani», scriveva Calvino oramai qualche decennio fa.

La definizione mi è tornata alla mente in una sera pungente di novembre, tenendo tra le mani il Kokin Waka shū (edizione italiana curata dalla grande studiosa Ikuko Sagiyama per Ariele, pp. 686, € 34), prima tra le ventuno antologie imperiali di lirica classica giapponese. Quello che, apparentemente, sembrerebbe un volume di liriche, è in realtà uno scrigno che dall’inizio del X secolo d. C. custodisce un inestimabile tesoro letterario, composto da ben millecento composizioni (più undici in origine cancellate), prevalentemente waka, il genere nipponico per eccellenza, che si struttura in brevissime poesie scandite da cinque versi di 5-7-5-7-7 sillabe, dedicate soprattutto allo scorrere delle quattro stagioni e alla tematica amorosa.

Non si tratta di un’opera da leggersi in modo compiuto, dal principio alla fine; andrebbe piuttosto aperta e scrutata come un libro sibillino, a caso, cogliendo suggestioni e arcani qua e là, tenendo così fede alle radici della parola ‘vaticinio’, che in origine indicava il ‘canto del poeta’, di colui che decifra le segrete voci degli spiriti che abitano il mondo, ma sa anche (e meglio) comprendere i singhiozzi o le maledizioni degli uomini. Scrive infatti il poeta Ki no Tsurayuki (872 – 945) nella sua Prefazione:

La poesia giapponese, avendo come seme il cuore umano, si realizza in migliaia di foglie di parole. La gente di questo mondo, poiché vive fra molti avvenimenti e azioni, esprime ciò che sta nel cuore affidandolo alle cose che vede o sente. Si ascolti la voce dell’usignolo che canta tra i fiori o della rana che dimora  nell’acqua; chi, tra tutti gli esseri viventi, non compone poesie? La poesia, senza ricorrere alla forza, muove il cielo e la terra, commuove perfino gli invisibili spiriti e divinità, armonizza anche il rapporto tra l’uomo e la donna, pacifica pure l’anima del guerriero feroce.

L’animo, il cuore (kokoro), seme della poesia, deve svilupparsi armoniosamente e fiorire nella kotoba, la parola, dal momento che «il linguaggio deve esaurire pienamente il contenuto del messaggio poetico senza margini di oscurità» (p. 20). Il risultato è un idioma complesso, ricco di finissimi espedienti retorici e lessicali, che genera e al tempo stesso è generato da immagini che preservano ancora oggi nitore e bellezza: il fiore del ciliegio dalla grazia effimera, le maniche del kimono zuppe di lacrime, il fiume Asukagawa che diventa simbolo dell’instabilità e dei destini mutevoli.

E così, procedendo con la lettura, si ha l’impressione che la carta si faccia via via più impalpabile sotto le dita e tutt’attorno sorga un’atmosfera nuova; dai testi riaffiora piano un cosmo dimenticato, che il ricco apparato  di note e rimandi del volume aiuta a ricostruire, senza mai scadere nel pedante.

Talvolta, lo scarto tra un componimento e l’altro appare minimo; ecco due uomini forse antitetici, stretti dalla medesima malinconia: l’uno si strugge al canto del grillo, l’altro reclina il capo avvolto dal lamento delle oche selvatiche. Eppure, proprio in quel sottile discrimine  vive – e non semplicemente: sta – tutto un carattere, una storia, un’esistenza.

L’autunno è qui:
le foglie cadute hanno steso
una spessa coltre intorno alla mia dimore,
e nessuno si fa strada
per venire a trovarmi.

Aki wa kinu
momiji wa yado ni
furishikunu
michi fukiwakete
tou hito wa nashi

Lirica dopo lirica, constatiamo con felice sorpresa che davvero non c’è nulla di nuovo sotto il sole: ci sembra di conoscere bene quei sospiri, le lunghi notti di tristezza e i duri giorni d’affanno cantati oramai più di mille anni fa; e persino le rughe profonde dei poeti sono le stesse che incidono i nostri volti.

“Non lo vince la pioggia/ Non lo vince il vento”: una poesia di Miyazawa Kenji

A volte mi stupisco di come mi capiti tra le mani il libro giusto al momento giusto; ecco, stavolta è il caso di questa bellissima poesia di Miyazawa Kenji , scovata nella pagina Facebook de Les Bouquinistes:

 

 

 

Non lo vince la pioggia
Non lo vince il vento
Non lo vince la neve, o la calura dell’estate
Ha un corpo forte
Non ha desideri
Non perde mai la calma
Ride sempre di un sorriso tranquillo
Ogni giorno mangia quattro scodelle di riso bruno, del miso e un po’ di verdure
In tutte le cose, non tiene in considerazione se stesso
Osserva attento, ascolta, capisce
E non dimentica
Vive in una piccola capanna dal tetto d’erba, all’ombra di un bosco di pini nelle campagne
Se ad est c’è un bimbo malato, va a curarlo
Se a ovest c’è una madre stanca, va a sorreggere il suo covone di riso
Se a sud c’è qualcuno vicino alla morte, gli va a dire che non serve aver paura
Se a nord c’è una lite o una disputa legale, esclama: smettetela con tali sciocchezze
In tempo di siccità versa le sue lacrime
Se l’estate è fredda va in giro dandosene pensiero
Tutti dicono che è una testa vuota
Nessuno lo elogia
E nessuno è preoccupato per causa sua

Questa è la persona
Che io voglio diventare

Miyazawa Kenji

 

Ame ni mo makezu
Kaze ni mo makezu
Yuki ni mo natsu no atsusa ni mo makezu
Jōbu na karada wo mochi
Yoku wa naku
Kesshite ikarazu
Itsu mo shizuka ni waratte iru
Ichi nichi ni genmai yon gō to
Miso to sukoshi no yasai wo tabe
Arayuru koto wo
Jibun wo kanjō ni irezu ni
Yoku mikiki shi wakari
Soshite wasurezu
Nohara no matsu no hayashi no kage no
Chiisa na kayabuki no koya ni ite
Higashi ni byōki no kodomo areba
Itte kanbyō shite yari
Nishi ni tsukareta haha areba
Itte sono ine no taba wo oi
Minami ni shinisō na hito areba
Itte kowagaranakute mo ii to ii
Kita ni kenka ya soshō ga areba
Tsumaranai kara yamero to ii
Hideri no toki wa namida wo nagashi
Samusa no natsu wa oro-oro aruki
Minna ni deku-no-bō to yobare
Homerare mo sezu
Ku ni mo sarezu
Sō iu mono ni
Watashi wa naritai

Foto tratta da qui.

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