Donne che lavorano, che viaggiano, che abbandonano tutto per amore di un uomo o di un figlio; donne che passano ore a farsi belle, che cantano scatenate al karaoke, che fanno shopping; donne che vestono in kimono, che seguono l’ultima moda, che hanno un cancro ma non smettono di sorridere… Sono decine e decine le figure che, con le loro parole e i loro gesti hanno plasmato – talvolta inconsapevolmente – Tokyo sisters. Reportage dall’universo femminile giapponese (traduzione di Giusi Valent; O barra O edizioni, pp. 196, € 15; ora in offerta su Amazon.it a € 12,75 cliccando qui), delle giornaliste francesi Julie Rovéro-Carrez e Raphaëlle Choël.
Miki, Miyoko, Chika, Megume e le altre intrecciano le loro voci, ponendo tra le nostre mani un frammento delle loro vite, frivolo o drammatico che sia, ma comunque sincero. Senza mai vergognarsi delle debolezze e degli errori compiuti, raccontano un momento cruciale della loro esistenza (una separazione dolorosa, una partenza, un’opportunità sfumata) oppure, più semplicemente, una passione segreta o un’abitudine inconsueta.
Mettendo da parte qualunque intento pedagogico o qualsivoglia tono didascalico, le due autrici ritraggono con schiettezza e, non di rado, una buona dose di ironia il presente e il passato di donne diversissime per età, professione, carattere e ambizioni, conosciute nel corso dei loro soggiorni in terra nipponica. In questo modo, pagina dopo pagina, emerge un panorama ad ampio raggio, capace di includere aspetti e comportamenti poco noti o addrittura disdegnati dagli studiosi. Quotidianeità, sesso, progetti, piccoli e grandi problemi, hobby, sogni… : non è infatti tralasciato alcun argomento che possa aiutare il lettore a comprendere meglio la complessità dell’orizzonte femminile, stimolando al tempo stesso la sua curiosità con centinaia di aneddoti e note di costume.
Libere dalla necessità di fornire riscontri a complesse quanto claustrofobiche teorie socio-antropologiche, le due scrittrici possono abbandonarsi al fluire della frenetica Tokyo: non importa che ci si trovi al tavolo di un raffinato ristorante oppure sotto il casco del parrucchiere, se tutte le occasioni sono utili per conoscere meglio non la donna, ma le tante e dissimili donne che animano la capitale. Infrangendo ogni stereotipo che dipinge la tipica giapponese remissiva e misurata o, al contrario, dotata di una sensualità conturbante da geisha, si apre così, finalmente, il vaso di Pandora, e ne fuoriescono contraddizioni, ferite, lacrime, delusioni, ma anche risate a crepapelle, pettegolezzi e manie.
Può trattarsi di Akane – studentessa innamorata della propria immagine allo specchio -, di Yuki, surfista provetta, o di un’anonima ragazza emersa dalle ben trecentomila donne nipponiche che ogni anno ricorrono alla procreazione assistita: l’impressione è sempre la stessa. Che la posta in gioco sia un buon marito, una borsetta firmata, un bambino da amare o un corpo perfetto, le donne del Sol Levante sono sempre alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Infaticabilmente, testardamente perché, come recita il proverbio, anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo, e la strada verso la felicità non è mai breve.
Per l’immagine: copyright di Biblioteca giapponese.