Centocinquant’anni fa circa, se qualcuno avesse menzionato i manga in un salotto buono di Parigi, molti avrebbero forse sorriso al pensiero degli omonimi schizzi di Hokusai che allora circolavano tra artisti e intellettuali, destando interesse e di certo qualche perplessità. Pochi avrebbero scommesso che quei disegni rapidi potessero un giorno – dopo profonde evoluzioni – finire per incantare i loro discendenti e, probabilmente, nessuno avrebbe neppure immaginato che, in questa nuova forma, sarebbero riusciti a condensare speranze e inquietudini dei posteri.
Quest’ultimo punto è ampiamente trattato in Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi (Tunué, pp. 259, € 16,50; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a € 14,03), in cui Fabio Bartoli presenta lo sviluppo degli anime collegandolo ai paralleli cambiamenti che hanno mutato (e a volte sconvolto) il volto del Sol Levante. La storia di questo paese, soprattutto a partire dal 1868 – anno inaugurale dell’epoca Meiji e della modernizzazione – è stata caratterizzata da un rapporto ambiguo con la tecnologia: dapprima appresa in modo spasmodico guardando ai modelli europei e americani, poi subìta (soprattutto nel corso della seconda guerra mondiale; si veda la tragica esperienza delle bombe atomiche), infine integrata nel quotidiano.
Una relazione equivoca tra individui e tecnica, in fondo, ha da sempre coinvolto anche l’occidente, come dimostra l’antichissimo mito di Prometeo, nume tutelare del volume. Toccato dalla mancanza di qualità nell’uomo (conseguenza della disattenzione di Epimeteo), il titano decise di aiutare la “scimmia nuda” (per dirla come Morris) rubando i tesori di Atena (in primis, l’intelligenza e la memoria) e il fuoco di Efesto, attraverso i quali foggiare un nuovo mondo in cui la cultura e la lungimiranza si sarebbero dovute coniugare a un saggio uso delle arti meccaniche. A causa del suo duplice furto, Prometeo venne duraramente punito da Zeus: legato a un’alta roccia, fu preda della furia di un’aquila che ogni giorno gli divorava le viscere. Il padre degli dèi aveva già intuito quale terribile dono era stato concesso agli uomini: attraverso la tecnica, essi sarebbero riusciti a trasformare la loro sorte, mettendo però a repentaglio se stessi e la terra che li ospita. E così è stato.
Partendo proprio da questa leggenda, Fabio Bartoli delinea sinteticamente più di duemila anni di storia, scienza e pensiero occidentale, evidenziandone le connessioni e i punti chiave. Questa – che potrebbe di primo acchitto apparire superflua – è in realtà un’operazione sagace, che mira a illuminare non soltanto il nostro complesso rapporto con la tecnologia, ma anche le numerose stratificazioni in cui, dagli ultimi decenni del secondo millennio, si è situato il duplice fenomeno manga/anime, con tutte le implicazioni ideologiche di cui è foriero; inoltre, è bene sempre tenere a mente che questo scenario ha fortemente influito sul contesto giapponese che, in alcuni casi, ha tentato di conformarsi ad esso persino a scapito della propria identità. L’autore di Mangascienza, dando prova di intelligenza, ricostruisce anche i milieu (politici, culturali, economici…) giapponesi a partire dal XVII secolo, fornendo così le coordinate essenziali per comprendere meglio le manifestazioni del pensiero e delle arti autoctone, tra le quali si annoverano senza dubbio anche i disegni animati, non riducibili a semplici mezzi di intrattenimento per bambini e adolescenti, ma strumenti per trasmettere alle nuove generazioni propositi e valori in vista della costruzione di un’umanità migliore.
Poggiando su solide basi teoriche – che attingono all’opera di scienziati, filosofi, storici, intellettuali – Fabio Bartoli articola un discorso vivace e multidisciplinare, dedicando ampia attenzione agli effetti dell’iperestensione culturale, ossia di un progresso che procede in modo talmente rapido da originare un dislivello profondo con la stessa capacità umana di domarlo e indirizzarlo a scopi benefici. Esso ha subito un incremento nelle nazioni occidentali soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale, per poi propagarsi anche all’estremo oriente. Testimonianza di ciò sono proprio gli anime, in special modo quelli di fantascienza: attraverso la rappresentazione di un mondo futuristico fictionale, essi hanno voluto delineare i dilemmi e le difficoltà con le quali saremo destinati a confrontarci se finiremo per esser vittime – e non più signori – dei nostri ritrovati tecnologici e scientifici, quali l’ingegneria genetica, le armi nucleari, le forme di sfruttamento intensivo dell’ambiente. In particolare, i pericoli per l’uomo paiono provenire da tre tipi di conflitti, sintetizzabili da altrettante figure mitologiche: vittime e protagoniste dello scontro sarebbero la madre terra (Gea), la tradizione (Mnemosine) e l’evoluzione naturale (Epimeteo).
Mediante il ricorso a robot dall’etica samuraica o a imponenti mecha, inscenando il dramma degli orfani dell’atomica o di mondi lontani sull’orlo del baratro, i creatori di anime hanno tentato e tentano tuttora di sensibilizzare le coscienze dei lettori (giovani e non). L’autore conduce in proposito un’analisi serrata e approfondita, ricca d’esempi, godibile tanto da specialisti quanto da semplici appassionati, che si estende anche alla corposa appendice comprendente cinquanta schede, ciascuna dedicata a una diversa serie animata, di cui vengono sottolineati temi e strategie ideologiche e narrative. E così, partendo da Astroboy (1963) per arrivare sino a Last Exile (2003), passando per Neon genesis Evangelion, Mazinga Z e molti altri, fra le pagine riecheggia una speranza per il futuro prossimo: che l’uomo possa finalmente far germogliare il seme racchiuso nel nome stesso di Prometeo, “colui che pensa prima”. Prima che sia troppo tardi.