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Un angolo di Giappone a Bari e Trani: presentazione de “L’origine della distanza” e reading teatrale “L’odore intimo del Giappone”

reading odore intimo del giappone Per gli amanti del Giappone in Puglia, Mariella Soldo e Barbara De Palma hanno riservato ben due incontri nei prossimi giorni:

  • giovedì 9 maggio, alle ore 19, presso la libreria Zaum/Interno 4 di Bari (Via Cardassi 85/87, Bari), avrà luogo la presentazione del romanzo L’origine della distanza di Francesca Scotti, curata da Mariella Soldo, con letture dell’attrice Barbara De Palma. Sarà presente l’autrice.
  • Sabato 11 maggio, alle ore 20,30, presso il teatro Mimesis di Trani (Via Pietro Palagano 53), sarà la volta del reading teatrale L’odore intimo del Giappone, con la regia di Mariella Soldo, corpo e voce narrante di Barbara De Palma. Lo spettacolo ha un costo di 8 euro. Per info e prenotazioni, potete chiamare il numero 346/8259618 o scrivere a teatromimesis@teletu.it. NB: la prenotazione è obbligatoria.

“L’odore intimo del Giappone”: la compagnia Notterrante interpreta la letteratura giapponese a Bari

La letteratura giapponese fa spesso fatica a entrare nelle librerie, in biblioteca, nei gruppi di lettura; figuriamoci, quindi, a comparire su un palcoscenico.

La compagnia teatrale Notterrante ha deciso di andare controcorrente ed ha realizzato uno spettacolo che già dal titolo si rivela suggestivo: L’odore intimo del Giappone, (altro…)

I labirinti di “1Q84” (Murakami) nel saggio di M. Soldo

Oggi ho il piacere di ospitare uno scritto di Mariella Soldo, apparso nel sito internet del GREC (Groupe de Recherche sur l’Extrême Contemporain), dedicato a 1q84 di Murakami Haruki.

Non si tratta della solita recensione, ma di un breve saggio volto soprattutto a mettere in risalto gli aspetti metanarrativi del romanzo (ossia quelli relativi al discorso dell’opera su se stessa e sui meccanismi della scrittura e della letteratura). Questo tema è forse sfuggito a molti lettori, assorbiti dalla trama, ma non al celebre book designer Chip Kidd che, di proposito, per la versione statunitense di 1Q84 (qui a destra) ha scelto una copertina formata da due immagini compenetranti,  indissolubilmente legate l’una all’altra.

Detto ciò, vi lascio alla lettura del lavoro di Mariella Soldo:

Ci sono libri inclassificabili, che sfuggono ai personaggi, alle trame, persino allo scrittore stesso, per non parlare del lettore. Ci sono libri, come 1Q84, che non si svelano e che fanno del mistero della narrazione, del suo impossibile e fallimentare controllo, un punto di forza.
1Q84 non è un romanzo, ma più romanzi che s’incrociano su piani diversi della realtà, per confondersi, senza mai tradirsi.
I protagonisti sono Aomame e Tengo, un’assassina e un aspirante scrittore, che sembrano vivere in un mondo parallelo al 1984, in cui avvengono fenomeni inspiegabili, come la presenza di due lune. Apparentemente, Aomame e Tengo non si conoscono, ma le loro vite si attraggono.
Quest’ultimo lavoro di Murakami riassume quasi la sua opera intera, dal momento che alcune tematiche ricorrono spesso. Lo scrittore si dimostra, ancora una volta, un abile narratore, che sa alternare momenti di forza e di debolezza all’interno di un romanzo.
La grande protagonista è, dunque, la narrazione, sconfinata, quasi labirintica, a scapito però dello stile, che, all’occhio di un lettore più esigente, può risultare nel complesso banale.
Per poter dare un giudizio definitivo, occorre aspettare il terzo libro che completerà la trilogia, sperando che quest’ultimo non risolva i misteri, come un semplice giallo, ma li lasci in sospeso, per poter permettere anche a noi di creare mondi, a partire da un romanzo così complesso.

«Anno 1Q84. Ecco d’ora in poi lo chiamerò così», decise Aomame. Q è la Q del question mark, il punto interrogativo.
Camminando, Aomame annuiva da sola.
«Che mi piaccia o no, adesso mi trovo in questo anno 1Q84. Il 1984 che conoscevo non esiste più da nessuna parte. Ora è l’anno 1Q84. L’aria è cambiata, il paesaggio è cambiato. Devo adattarmi il più in fretta possibile a questo mondo con un punto interrogativo. Come un animale che è stato trasportato in una nuova foresta, che per proteggersi e sopravvivere deve capire il più presto possibile le regole del luogo, e adattarvisi». (p. 141-142)

Un bisbiglio nel silenzio: “Tokyo soul” di Mariella Soldo

Solitamente, riservo poco spazio ad autori che scrivono del Sol Levante.  Non amo pagine riempite di geisha, samurai e altri ameni luoghi comuni.

Tempo fa, proprio per il timore di vedere la sofferenza di un popolo ridotta a mero pretesto narrativo, mi sono tenuta ben lontana dalla serie di eventi e opere (più o meno) artistiche per commemorare il terremoto dell’11 marzo 2011. I discorsi vuoti e fini a se stessi erano sempre in agguato.

Con il racconto Tokyo soul (che potete leggere qui) di Mariella Soldo non è stato così. Ogni parola mi è parsa sincera, sentita, fragile. Forse perché, in quei giorni di primavera acerba, ho provato lo stesso dolore e la medesima paura di perdere per sempre un’amica preziosa, che – anche a diecimila chilometri di distanza – cercava a suo modo di proteggermi.

 

L’invenzione del corpo – “Casa di bambola” di Azusa Itagaki, di Mariella Soldo

Il tema delle bambole o della donna fatta bambola non è infrequente nella letteratura nipponica contemporanea: basti pensare al racconto La dimora delle bambole di Mishima Yukio o al celebre romanzo La casa delle belle addormentate di Kawabata Yasunari.
Per questa ragione, oggi Biblioteca giapponese ha il piacere di ospitare un affascinte saggio (correlato di fotografie) di Mariella Soldo che, partendo dall’esposizione Casa di bambola di Azusa Itagaki (visitabile a Bari sino al 5 dicembre), non soltanto traccia un percorso di interpretazione della mostra, ma evidenzia inoltre i diversi significati che la bambola può assumere nella cultura del Sol Levante: feticcio, amorosa proiezione, icona, e molto altro ancora. Buona lettura.

A volte ci rechiamo alle mostre con l’assoluta certezza di ciò che vedremo, altre con la consapevolezza di conoscere qualcosa a riguardo, scoprendo, successivamente, molto di più. Ed è ciò che accade attualmente all’art gallery Fabrica Fluxus di Bari, che ha allestito un’esposizione fotografica dell’artista giapponese Azusa Itagaki, dedicata alle bambole.
Quelle raffigurate non sono semplici prodotti di fabbrica. Non sono neanche donne. Non sono carne, non sono silicone. Sono qualcosa di più, esseri che parlano in silenzio, che raccontano attraverso il corpo. Oltre i loro occhi, modellati da un’apparente staticità, si nasconde la storia di chi le circonda. Le Love dolls, da non confondere con le Sex dolls, non vengono usate semplicemente come manichini o soggetti fotografici, ma anche come compagne di vita.
Potremmo regalare loro un anello, dei vestiti, un viaggio, potremmo amarle, non come un oggetto sacro, ma come un essere vivente a tutti gli effetti.
Con il suo arrivo presso le nostre dimore, la donna in silicone si presenta senza una storia, un vissuto. Tra le nostre mani, intatta, si forma una nuova vita e si delineano, pian piano, le possibili sfumature. Tra la pelle e la plastica si crea un contatto, un’alchimia. Cominciano così gli odori, la vita, le emozioni. Se riteniamo complicato addentrarci in un passato e un futuro ignoti, completamente da reinventare, abbiamo sempre la possibilità di acquistarla usata. Forse la sua storia non la conosceremo mai o riconoscerla soltanto attraverso la patina del tempo che si forma sulla sua pelle. La bambola s’in-scrive così nelle nostre vite, detta parole, suoni, frasi. Inventa movimenti, profumi, gesti.
In alcune foto di Azusa Itagaki, il corpo viene frantumato e possiamo osservare pezzi di labbra, di busti o di gambe. Al di là dell’associazione al Frankestein di Mary Shelley, potremmo immaginare che questa rottura dell’unità sia una sorta di cannibalismo sentimentale. Il silicone, come la carne, viene brutalmente lacerato dalla violenza della passione. Quei dettagli, anche se scomposti, ci comunicano un senso di solitudine polifonica.
Se pensiamo ad alcune produzioni letterarie o cinematografiche giapponesi, ma anche ad alcuni fumetti fantasy (come il celebre Brendon della Bonelli), si è sempre cercato di restringere il confine tra la bambola e la donna in carne ed ossa.
Dolls di Takeshi Kitano si apre con uno spettacolo di bambole Bunraku, che non resta soltanto un originale effetto di scena. Il regista vuole dirci molto di più, passando immediatamente alla storia dei due amanti impossibili, Matsumoto e Sawako, i quali, costretti a vagare nel nulla, legati da una corda rossa, finiscono in un precipizio. Al termine del film, ricompaiono nuovamente le Bunraku, che sembrano guardarci con viso spento, scomparendo nel buio. È come se la costretta ed inevitabile condizione inanimata delle bambole si riversasse sui personaggi. Come loro, i due amanti, sono destinati a diventare simili a burattini mossi da spesse corde indistruttibili. È forse l’amore che riduce a ciò o la vita?
Al di là del lato oscuro e misterioso che caratterizza le bambole, in Giappone esiste una vera e propria festa dedicata ad esse, Hina matsuri, celebrata il 3 marzo di ogni anno. Riporto le parole di Verbena Fusaro: “Nel loro significato originario le bambole erano dei fantocci sui quali si trasferivano magicamente le impurità e le influenze malefiche che si erano accumulate negli uomini, e poi per liberarsene, come capri espiatori, questi venivano eliminati gettandoli nei corsi d’acqua per essere portati via dalla corrente.”
Al giorno d’oggi, dopo un’evoluzione del valore simbolico della festa, Hina matsuri permette alle bambole di essere onorate: “vengono offerti (loro) dolci di riso, a forma di losanga, rosa, bianchi e verdi. Si canta, si offre qualche regalino e si festeggiano le bambine e le donne di casa. Le bambole possono solo essere ammirate e non devono essere toccate.”
Mi chiedo se un giorno qualcuno si spingerà oltre questi corpi inumani, riuscendo ad inoltrarsi in quella zona sconosciuta del petto sinistro, dove risiede il cuore. Mi chiedo ancora cosa troverà.

Quel non dire fluttuante: recensione di M. Soldo a “Qualcosa di simile”

Avete presente quelle storie che, una volta terminate, continuano a vivere in voi, meglio se in una zona ombrosa e un poco torbida della coscienza? Ecco, a me questo capita soprattutto con Ogawa Yoko e, non a caso, con i racconti riuniti in  Qualcosa di simile di Francesca Scotti (ed.  Italic Pequod, pp. 144 , €  14; sito ufficiale: www.qualcosadisimile.it) che alla scrittrice nipponica (e non solo a lei) si ispirano, serbando però una decisa impronta personale. Ma lasciamo parlare Mariella Soldo, che del libro ci offre una bella recensione:

Quel non dire fluttuante

 

Ci sono scritture e trame che emergono con forza dal vaso confuso della letteratura contemporanea, scritture che hanno un compito difficilissimo: raccontare con maestria il mondo e permettere al lettore, paradossalmente, di allontanarsi da esso.

Quando ho aperto la raccolta di racconti di Francesca Scotti, Qualcosa di simile, senza leggere una frase o una singola parola, avevo già la sensazione di essere altrove. Forse è l’effetto di un titolo, indicatore di quell’imprecisione che serve alla letteratura per poter andare oltre, come qualcosa di simile che sfugge per diventare parte del tutto.

I dieci racconti della Scotti non hanno titolo, ma sono contrassegnati da un numero. L’assenza di un’indicazione apre finestre che si sovrappongono l’un l’altra. Alcuni riferimenti ritornano, nei racconti, riferimenti indicibili, misteri irrisolti, enigmi senza nome, quindi, perché nominarli?

Non farò riferimento alle trame, preferisco piuttosto dare rilievo all’essenza della scrittura dell’autrice, in cui si avverte l’influenza di quel mondo fluttuante, che rappresenta una caratteristica della letteratura giapponese.

L’economia della parola non tradisce la profondità del senso e l’inafferrabilità dello svolgimento dell’azione. Frasi nitide, che hanno bisogno di quella semplicità perfetta per poter non dire, sospendono la scrittura, proiettandola in quella fessura invisibile del mondo, in cui l’indicibile è la chiave della narrazione.

Follia, violenza celata, chiaroscuri dell’anima, sentimenti velati, masochismo e sadismo sono alcuni dei temi che l’autrice tocca, con abile maestria.

Dopo aver terminato l’ultimo racconto, il lettore conserverà per giorni le melodie dei racconti di Francesca Scotti, perché è proprio la musica, con le note di un violoncello o di un piano, a rendere quelle atmosfere dalla sensualità silenziosa e velata.

Mariella Soldo

Recensione de “La scuola della carne” di Mishima a cura di M. Soldo

Oggi ospito con piacere un contributo di Mariella Soldo (http://mariellasoldo.wordpress.com ), vale a dire la recensione de L’école de la chair (letteralmente La scuola della carne), un libro di Mishima ancora inedito in Italia. Buona lettura.

Il mercato dell’amore: passioni in vendita

L’école de la chair – che tradotto letteralmente vuol dire La scuola della carne – è un romanzo di Mishima non tradotto in Italia, ma ci hanno pensato i nostri cugini francesi, più attenti e sensibili, soprattutto da più tempo rispetto agli italiani, alla cultura orientale. Il testo è stato tradotto direttamente dal giapponese da Yves-Marie e Brigitte Allioux per Folio-Gallimard nel 1993, trent’anni dopo l’uscita del romanzo in Giappone.

Alcune domande restano ancora senza risposta: come mai L’école de la chair non è stato tradotto in Italia? Qual è stata la politica adottata dalle grandi case editrici che hanno pubblicato quasi tutto su Mishima, anche piccoli testi, a non rendere in italiano anche quest’ultimo? È una politica di svista o molto furbamente non si traduce uno scritto per i suoi temi al limite della morale?
Taeko, la protagonista del romanzo, è una donna sulla quarantina, dotata di estremo fascino ed eleganza. Ogni suo gesto, ogni suo movimento, è l’espressione sublime della sensualità: Posò con forza l’anello sul pianoforte e afferrò la punta di uno dei suoi guanti fra i denti, per farlo scivolare più velocemente. L’ebbrezza incominciava a farle girare la testa. “ Smettila, Taeko, finirai per sporcare i guanti con il rossetto!”. – È più erotico così, non trovi?”. La donna fa parte di quella società alto borghese nipponica post-guerra che ha abbandonato le tradizioni del proprio paese per aprirsi totalmente ai costumi dell’occidente. Divorziata, annoiata, Taeko conduce una vita senza margini: libera e indipendente. Possiede una casa di moda, è a contatto con gli alti funzionari dello stato e partecipa assiduamente ai più famosi cocktail mondani. Una sera incontra in un famoso bar frequentato da omosessuali, chiamato non a caso Hyacinthe (Giacinto, sicuramente un riferimento alla mitica leggenda che vede protagonista l’amore di Apollo per Giacinto), il giovane Senkichi “la cui bellezza si incontra raramente in questo mondo”. Il piccolo Sen, come viene comunemente chiamato dai suoi amici, è descritto nel romanzo come una divinità greca, come una statua abilmente scolpita, ma che cela, dietro la sua immortale perfezione, un lato oscuro, quasi impenetrabile, persino alla stessa Taeko: A volte, quando in uno di quei momenti morti lasciava errare il suo sguardo nel vuoto, si sarebbe potuto scorgere, sotto la curva armoniosa delle sue sopracciglia, la malinconia della giovinezza. Il giovane uomo sarebbe disposto a tutto per i soldi, andrebbe a letto con chiunque, pur di arrivare nell’alta società. Il consiglio che Teruko, il travestito con cui Taeko stringe amicizia, è di lasciar perdere. Ma la sensualità che ormai ha invaso ogni cellula del corpo della donna è più forte della paura e del probabile inganno. Dopo un solo sguardo, Senkichi è già in lei, nella sua intimità più nascosta. Taeko decide di sedurlo e di fatto ci riesce.

Dopo i primi incontri, tra i due amanti s’instaura immediatamente una perfetta, ma altrettanto complessa, complicità. Non si abbandonano da subito ai richiami del corpo, si sfiorano e si scrutano con baci intensi, profondi: E quel bacio! La sua bocca conservava il ricordo di un sapore oscuro che prendeva al cuore, un gusto che nessun altro uomo le aveva fatto provare. Sembrava che Taeko non avrebbe mai più potuto dimenticarlo e che, se si fossero separati in questa maniera per sempre, quel bacio sarebbe stato il più lancinante dei ricordi, la tortura permanente del suo cuore. Taeko, immersa nelle ingannevoli dolcezze della passione, teme ogni stante che tutto possa finire da un momento all’altro: Ma si rese subito conto che quella simpatia reciproca che aveva creduto di veder nascere tra lei e Senkichi, quella sensazione che i loro cuori si capivano bene non era altro che una dolce illusione.

Il loro legame diventa uno scambio di male continuo che, paradossalmente, non fa altro che avvicinarli. Taeko e Senkichi s’incontrano così in quel gioco pericoloso che tiene unita la vittima al carnefice, gioco che continua nei sensi, fra candide lenzuola e che permette a Taeko di dimenticare ogni precedente relazione. Il piccolo Sen stava diventando la sua forma assoluta di erotismo e piacere, in cui ogni forma di paragone non è più possibile. Ama la freddezza del giovane uomo, la sua distanza dal mondo e dalle cose, persino la distanza che separava Sen da se stessa, ma più di tutto, la donna è attratta dal potere che il giovane corpo di Senkichi emana, quel potere di eternità, di infinito: Ciò che conta per una donna non è la bellezza, ma la giovinezza.

Per dominare totalmente Sen, Taeko gli chiede di vivere insieme, ma ad una sola condizione, forse la più preziosa per un legame profondo che può nutrirsi in eterno grazie alla leggerezza: Vengo ad abitare qui con te ad una sola condizione. Anche se viviamo insieme non devi assolutamente sconfinare nella mia libertà, altrimenti sarai tu a perdere. È chiaro? – Sì, capisco… ma lo so fin dall’inizio. – Sicuro? Insistette Senkichi. – Perché pensi che si possa limitare la libertà qualcuno come te?

Così Sen non rinuncia per nessuna cosa al mondo alla sua libertà, ma, nonostante i suoi sforzi, a Taeko risulta difficile dominare la sua gelosia, che spesso resta muta, in onore di quel perfido accordo. In casi come questi, la donna deve crearsi un’arma per sopravvivere alla libertà di Senkichi, un’arma diabolica che mette in discussione i suoi sentimenti verso il ragazzo, che dà la morte ai suoi ideali, al suo amore. Per amare Senkichi e non soffrire, Taeko deve giungere alle sue profondità meschine, abbassandosi alla sua superficialità. Lei deve essere necessariamente ciò che non è per tenere stretta a sé Senkichi: Dal momento che per vivere con me devi conservare una totale libertà, ho pensato che posso farlo io, dovrebbe essere la stessa cosa. È la mia unica possibilità di salvezza. I misteri mi fanno orrore, come tutti quei piccoli segreti che finiscono col rendermi nervosa. A partire da adesso, presentami tutte le tue amiche. Posso giurarti che non ti darò fastidio. Ma, in cambio, forse anch’io potrei avere un’avventura, uno di questi giorni, per preservarmi. In quel caso ti presenterò la persona in questione, apertamente, e ti chiederò l’approvazione… Come spiegarti meglio? Credo che siamo giunti a un punto in cui dobbiamo rinunciare a ogni ipocrisia. L’ipocrisia lasciamola alle coppie ordinarie… Dobbiamo essere complici, piuttosto…come dei fuorilegge!
A partire da questo momento, Taeko inizia a indossare una maschera che non le appartiene, mentre Senkichi, con il suo vero volto, maschera di se stesso, inizia il lungo cammino verso l’inganno e la menzogna. La donna tradisce Senkichi con un uomo d’affari, non per desiderio, ma per un volere ben esplicito: colpire gli argini del ragazzo, irrompere nel suo mondo di ghiaccio e finzione, scuoterlo nel petto, nell’anima, nella carne. Aveva venduto il suo corpo per donare a Senkichi uno spettacolo di dolore, così pensava, ma l’uomo reagì con la sua solita freddezza: quelli erano i patti, gli stava bene così! Ma il piccolo Sen tramava qualcosa di più diabolico, che la donna scopre per caso: vuole sposare Satoko, figlia di un uomo molto potente e ricco, ma nel frattempo non rinuncia ai suoi incontri amorosi con altri uomini. Taeko, dopo averlo fatto pedinare da un investigatore privato, ottiene le foto dei suoi rapporti clandestini. Potrebbe ricattarlo e far saltare così il suo matrimonio con la rispettabilissima famiglia Muromachi, ma cede ancora una volta alle debolezze del suo amore e decide addirittura di adottarlo: È tutto finito!

A questo punto Teruko, il travestito che lavora al Hyacinthe, durante l’ultima conversazione con Taeko, apre una questione che resta senza risposta: Anch’io un tempo lo avevo amato, da morire… Ma, comunque, era davvero un uomo orribile! Amore e laidezza possono convivere? Con quali risultati se non quelli del dolore? Cosa ci fa andare oltre quel volto, oltre quell’inganno della bellezza? E di cosa ci innamoriamo realmente, dell’illusione o della realtà? Anche Taeko si pone le stesse domande: Taeko capì immediatamente che quell’essere che aveva tanto amato era soltanto una chimera nata dai suoi stessi sogni. Forse, a volte, la bellezza è così avvolgente che inganna la nostra vista. Forse, nel momento in cui scopriamo, per caso, la bellezza in qualcuno, in realtà, stiamo inventando un romanzo, una finzione. Siamo noi l’inganno o il quadro che abbiamo dinanzi?

Dopo il male, dopo la crudeltà, Taeko abbandona i suoi sogni e sprofonda nuovamente nella purezza della sua solitudine, quel luogo a lei caro, fatto di ricordi, istanti, fotografie di momenti che, a contatto con l’acqua, sbiadiscono: Avrebbe realmente amato l’uomo che le stava di fronte quando sarebbe giunta a metà strada della sua vita, ma lui l’aveva fatta soffrire con una perfidia che oltrepassava ogni immaginazione. La sua cattiveria intrinseca, i suoi calcoli avidi erano così evidenti che non lasciavano più spazio al sogno.

Mishima ci mostra con questo romanzo che non esiste una scuola della carne, che non si può imparare a gestire il mistero della sensualità, perché nella pelle si cela l’inganno dei sensi.

Con delicata crudeltà, l’autore giapponese rappresenta il mercato dell’amore, in quella fredda agorà del cuore dove tutto si vende, persino i sentimenti e dove la passione è una moneta che vale più dell’oro.
Mariella Soldo

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