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“Koto” di Kawabata Yasunari, o le stagioni dell’anima

koto kawabata giovani amanti della città imperiale burUn lago che pare appena increspato da qualche onda, o da una brezza improvvisa: questa, per me, è una delle immagini che meglio riassume Koto ovvero i giovani amanti dell’antica città imperiale di Kawabata Yasunari (trad. di M. Teti, pp. 160, BUR, € 7,23).

Un romanzo impalpabile ma denso, (altro…)

L’invenzione del corpo – “Casa di bambola” di Azusa Itagaki, di Mariella Soldo

Il tema delle bambole o della donna fatta bambola non è infrequente nella letteratura nipponica contemporanea: basti pensare al racconto La dimora delle bambole di Mishima Yukio o al celebre romanzo La casa delle belle addormentate di Kawabata Yasunari.
Per questa ragione, oggi Biblioteca giapponese ha il piacere di ospitare un affascinte saggio (correlato di fotografie) di Mariella Soldo che, partendo dall’esposizione Casa di bambola di Azusa Itagaki (visitabile a Bari sino al 5 dicembre), non soltanto traccia un percorso di interpretazione della mostra, ma evidenzia inoltre i diversi significati che la bambola può assumere nella cultura del Sol Levante: feticcio, amorosa proiezione, icona, e molto altro ancora. Buona lettura.

A volte ci rechiamo alle mostre con l’assoluta certezza di ciò che vedremo, altre con la consapevolezza di conoscere qualcosa a riguardo, scoprendo, successivamente, molto di più. Ed è ciò che accade attualmente all’art gallery Fabrica Fluxus di Bari, che ha allestito un’esposizione fotografica dell’artista giapponese Azusa Itagaki, dedicata alle bambole.
Quelle raffigurate non sono semplici prodotti di fabbrica. Non sono neanche donne. Non sono carne, non sono silicone. Sono qualcosa di più, esseri che parlano in silenzio, che raccontano attraverso il corpo. Oltre i loro occhi, modellati da un’apparente staticità, si nasconde la storia di chi le circonda. Le Love dolls, da non confondere con le Sex dolls, non vengono usate semplicemente come manichini o soggetti fotografici, ma anche come compagne di vita.
Potremmo regalare loro un anello, dei vestiti, un viaggio, potremmo amarle, non come un oggetto sacro, ma come un essere vivente a tutti gli effetti.
Con il suo arrivo presso le nostre dimore, la donna in silicone si presenta senza una storia, un vissuto. Tra le nostre mani, intatta, si forma una nuova vita e si delineano, pian piano, le possibili sfumature. Tra la pelle e la plastica si crea un contatto, un’alchimia. Cominciano così gli odori, la vita, le emozioni. Se riteniamo complicato addentrarci in un passato e un futuro ignoti, completamente da reinventare, abbiamo sempre la possibilità di acquistarla usata. Forse la sua storia non la conosceremo mai o riconoscerla soltanto attraverso la patina del tempo che si forma sulla sua pelle. La bambola s’in-scrive così nelle nostre vite, detta parole, suoni, frasi. Inventa movimenti, profumi, gesti.
In alcune foto di Azusa Itagaki, il corpo viene frantumato e possiamo osservare pezzi di labbra, di busti o di gambe. Al di là dell’associazione al Frankestein di Mary Shelley, potremmo immaginare che questa rottura dell’unità sia una sorta di cannibalismo sentimentale. Il silicone, come la carne, viene brutalmente lacerato dalla violenza della passione. Quei dettagli, anche se scomposti, ci comunicano un senso di solitudine polifonica.
Se pensiamo ad alcune produzioni letterarie o cinematografiche giapponesi, ma anche ad alcuni fumetti fantasy (come il celebre Brendon della Bonelli), si è sempre cercato di restringere il confine tra la bambola e la donna in carne ed ossa.
Dolls di Takeshi Kitano si apre con uno spettacolo di bambole Bunraku, che non resta soltanto un originale effetto di scena. Il regista vuole dirci molto di più, passando immediatamente alla storia dei due amanti impossibili, Matsumoto e Sawako, i quali, costretti a vagare nel nulla, legati da una corda rossa, finiscono in un precipizio. Al termine del film, ricompaiono nuovamente le Bunraku, che sembrano guardarci con viso spento, scomparendo nel buio. È come se la costretta ed inevitabile condizione inanimata delle bambole si riversasse sui personaggi. Come loro, i due amanti, sono destinati a diventare simili a burattini mossi da spesse corde indistruttibili. È forse l’amore che riduce a ciò o la vita?
Al di là del lato oscuro e misterioso che caratterizza le bambole, in Giappone esiste una vera e propria festa dedicata ad esse, Hina matsuri, celebrata il 3 marzo di ogni anno. Riporto le parole di Verbena Fusaro: “Nel loro significato originario le bambole erano dei fantocci sui quali si trasferivano magicamente le impurità e le influenze malefiche che si erano accumulate negli uomini, e poi per liberarsene, come capri espiatori, questi venivano eliminati gettandoli nei corsi d’acqua per essere portati via dalla corrente.”
Al giorno d’oggi, dopo un’evoluzione del valore simbolico della festa, Hina matsuri permette alle bambole di essere onorate: “vengono offerti (loro) dolci di riso, a forma di losanga, rosa, bianchi e verdi. Si canta, si offre qualche regalino e si festeggiano le bambine e le donne di casa. Le bambole possono solo essere ammirate e non devono essere toccate.”
Mi chiedo se un giorno qualcuno si spingerà oltre questi corpi inumani, riuscendo ad inoltrarsi in quella zona sconosciuta del petto sinistro, dove risiede il cuore. Mi chiedo ancora cosa troverà.

Nuovo numero di “Bonsai & suiseki magazione” con recensione di “Prima neve sul Fuji”

Con l’arrivo dell’estate, il desiderio di stare all’aria aperta e in contatto con la natura cresce esponenzialmente; perché allora non sfogliare il nuovo numero di “Bonsai & suiseki magazine” per ricavare qualche idea interessante? Basta cliccare qui per leggere gratuitamente la rivista.
Se oltre al pollice verde siete dotati anche di una certa dose d’amore per la letteratura giapponese, allora vi consiglio di dare un’occhiata a pag. 189 alla mia recensione di Prima neve sul Fuji, una raccolta di racconti firmati Kawabata (qui un assaggio).

Kawabata e l’acqua per il tè

I libri, forse, possono dividersi in due gruppi: da un lato, ci sono quelli che devi leggere nel posto giusto per gustarli appieno; dall’altro, quelli che ti portano dove vogliono loro, in qualunque luogo li sfogli.  Quest’ultimo è per me il caso delle raccolte di Kawabata Yasunari, forse perché nessun racconto somiglia al precedente; si può percepire una sorta di fil rouge che accomuna le sue storie, ma – nel momento di descriverlo – ecco che vengono a mancare le parole.

Forse la sede più adatta per perdersi in Cristantemo nella roccia, la novella che ho scelto con Francesca per la Stanza del tè, potrebbe essere un giardino giapponese, quieto, quasi dimenticato. Eppure, io l’ho letta in una fredda sera di marzo, aspettando un autobus che non voleva mai arrivare, tra un parcheggio vuoto e i neon di un supermercato. Avevo però l’impressione di essere dall’altra parte del mondo, davanti alla roccia umida che dà il titolo alla narrazione; e il rumore dell’acqua del tè, cui Kawabata accenna, mi riscaldava.

In questo breve brano che oggi vi presento, troveremo un personaggio già conosciuto, vale a dire  Sen no Rikyū, uno dei più importanti maestri della cerimonia del tè, coerente con la sua scelta di vita per l’eternità;di lui ci parla più approfonditamente Francesca nella sua Stanza tutta per (il) tè, ricca di profumi e suggestioni. Buona lettura.

Pur abitando nella valle del Kakuenji, con le sue magnifiche tombe di pietra, ho scoperto per la prima volta la bellezza di quest’arte a Kyōto quando, nel Daitokuji, vidi il prezioso stupa [monumento buddhista che spesso custodisce reliquie] che orna la tomba di Sen no Rikyū e la lanterna di pietra che orna quella di Hosokawa Sansai. Sia lo stupa che la lanterna sono opere per cui Rikyū e Sansai nutrivano una vera predilezione, e furono essi a sceglierle per le proprie tombe. Per questo sin dall’inizio le guardiamo come opere d’arte di cui questi grandi maestri del tè avevano riconosciuto la bellezza. E forse per l’atmosfera del mondo del tè che evocano in noi, in essesto avvertiamo un senso di familiarità e calore che raramente si prova davanti a vecchie pietre tombali.

Nella parte del prezioso stupa di Sen no Rikyū che dovrebbe corrispondere all’entrata, la pietra è stata scavata, e si dice che, accostando l’orecchio a quella cavità, si possa sentire un rumore sommesso, come di vento che soffia tra i pini. E’ il rumore dell’acqua che bolle per il tè.

Kawabata Yasunari, da Cristantemo nella roccia (tratto dalla raccolta Prima neve sul Fuji)

Foto tratta da qui.

Libri sotto il bonsai

Oggi ho creato una nuova rubrica del blog per condividere una sorta di gioco da fare assieme, molto semplice e veloce.
Pensate un libro concernente il Giappone che avete apprezzato. Immaginate ora qual sia il posto ideale per leggerlo (una caffetteria, il vostro letto d’inverno, una stazione della metropolitana di Tokyo… quello che volete), secondo la vostra fantasia o la vostra esperienza. Fatto? Allora lasciatemi un commento nell’apposita pagina.
Per quanto mi riguarda, sto aspettando da un anno il luogo ed il momento ideali per Il maestro di go di Kawabata.
Sogno di leggerlo in montagna, sotto un patio di legno, verso sera, quando si alza dal suolo il profumo dell’erba tiepida.
 

Mishima, Yoshimoto, Murakami, Kawabata, Tanizaki e altri a prezzo scontato

La notizia rallegrerà certamente chi desidera fare scorta di volumi per l’estate: le librerie ed il sito Feltrinelli oggi e domani scontano del 35% volumi di alcune collane dell’omonima casa editrice e della Einaudi.
Questo significa che potrete trovare a prezzo ridotto molti libri di Mishima, Yoshimoto, Murakami, Kawabata, Tanizaki, etc.
Vi è poi un’ulteriore promozione sui testi della Tea, ridotti del 40%: tra i più celebri, possiamo ricordare Memorie di una geisha e i resoconti asiatici di Tiziano Terzani.
Buoni acquisti.

"Il suono della montagna" di Kawabata Yasunari

Il suono della montagna di Kawabata Yasunari è, a ragione, ritenuto uno dei massimi capolavori della narrativa giapponese del ‘900. Libro apparentemente semplice e ingenuo, nasconde in verità dentro di sé numerosi temi e ancora maggiori spunti di riflessione, accompagnandoli da un’acuta, ma mai invasiva capacità di approfondimento e di introspezione dei personaggi, delineati in modo realistico e, al tempo stesso, lirico.

La locandina del film (1954) tratto dal libro
La locandina del film (1954) tratto dal libro

La trama, estremamente lineare, può apparire ad un primo sguardo come il nudo racconto dell’invecchiamento ― pacato ma inevitabile ― del protagonista che, giorno dopo giorno, è costretto sempre più a osservare, quasi impotente, il silenzioso spettacolo del disfacimento della sua famiglia e di se stesso.
Le piccole amnesie quotidiane, gli improvvisi e malinconici risvegli nel cuore della notte, i comportamenti irresponsabili dei figli non fanno altro che rammentare a Shingo i suoi limiti, sempre più angusti. L’uomo, però, soffre soprattutto per la forzata e dolorosa rinuncia alla gioventù e alla bellezza, incarnate dalla lieve Kikuko, la nuora di Shingo, verso la quale egli prova un’intensa ed equivoca tenerezza.
Sotto i gesti e le parole, sempre commisurati a un forte senso dell’onore, vi è, in realtà, un sottobosco di rimpianti, di allusioni, di ricordi, che trovano spesso una metafora nel mondo naturale. Esemplare è il caso del bonsai d’acero, simbolo del primo e, forse unico, grande amore di Shingo, la sorella defunta della moglie: la pianta, infatti, ha custodito in sé la grazia sommessa della proprietaria. L’affezione dell’uomo per questo piccolo acero ha permesso a Kawabata di scrivere toccanti pagine sui bonsai, non ritenuti meri elementi decorativi, ma parte viva dell’esistenza. Vogliamo perciò concludere con questa semplice, ma veritiera riflessione: «[…] Quando si viene in possesso di un vaso di bonsai, uno si sente responsabile di non rovinare la forma della pianta, di non farla morire. È una buona medicina per chi è pigro.»

Musei della letteratura in Giappone: Kamakura

Stasera ho scoperto con piacere che in Giappone esistono degli specifici musei dedicati agli scrittori (si spera non pacchiani come il Vittoriale di D’Annunzio!), i Museums of Literature, in cui vengono raccolti oggetti, manoscritti, documenti e quant’altro.literature_museum_kamakura_
Iniziamo il nostro tour dal Kamakura Museum of Literature (鎌倉文学館), sito nell’omonima città giapponese: costruito nel 1936 da Toshinari Maeda (前田利為), il sedicesimo capofamiglia dei Maeda (parte del clan Kaga), fu dapprima utilizzato come villa e residenza privata, e solo nel novembre del 1985 divenne un museo della letteratura. Ospita materiali su oltre cento autori giapponesi, tra cui spiccano Soseki Natsume, Kawabata Yasunari e il regista Yasujiro Ozu.
Per concludere, una curiosità: la villa compare in una scena del romanzo Neve di primavera di Mishima.

Informazioni utili

  • Indirizzo: Kamakura Museum of Literature, Hase 1-5-3, 〒 248-0016 Kamakura, Kanagawa
  • Telefono: 0467-23-3911
  • Prezzo del biglietto: 400 yen

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