Se state cercando cascate di petali di sakura, languide geisha in kimono o samurai eroici, sappiatelo: La tristezza del petto di pollo nipponico non è il libro che fa per voi. E attenti a non farvi traviare dal titolo: sotto la sua irriverenza si nascondono riflessioni agrodolci e ironiche su numerosi aspetti del Sol Levante, nazione in cui l’autore, Giulio Motta – programmatore, musicista, traduttore di videogiochi nonché comico – risiede dal 2005.
Ed è proprio in Giappone che lui ha vissuto, insieme a sua moglie Asami e al loro bambino, molte delle incertezze legate al terremoto dell’11 marzo 2011 e, soprattutto, alla minaccia di una catastrofe nucleare; incertezze che, fra mille dubbi, lo hanno riportato con tutta la famiglia per qualche mese in Italia, senza che le preoccupazioni per il paese estremo-orientale potessero cessare.
Scritto ‘di pancia’ e lungi dal volersi presentare come un’opera che idealizza o si scaglia aprioristicamente contro il Giappone, La tristezza del petto di pollo nipponico piuttosto appare – anche per via della sua sincerità disarmante e del suo linguaggio talvolta caustico – un ibrido tra un romanzo e una pagina di diario, in cui l’autore riversa dubbi, paure e speranze riguardanti il presente e il futuro non soltanto della propria vita, ma dell’intero Giappone.
Emblema e culmine di tutto ciò diventa, quasi per caso, una serata tra amici in una pizzeria giapponese, che ben presto prende pieghe inaspettate e quasi surreali: a zonzo in una Tokyo fatta di konbini, locali kitsch e love hotel, tra ragazze fetish, bassisti poco loquaci, salarymen in cerca di emozioni forti, riuscirà il nostro eroe a comprendere quale sia il suo posto nel mondo?
Ps: qui, per chi fosse curioso, il primo capitolo del volume.