Tag: cinema giapponese

Rassegna stampa [ottobre 2018]

Hiroji Kubota
L’artigiano della lacca Shoichiro Tasaki. Wajima, Ishikawa, Giappone. 2003. © Kubota Hiroji – Magnum Photos

Navigando qua e là, ecco gli spunti sul Giappone che ho scovato questo mese e che ho più apprezzato:

Il cinema giapponese al Far East Film Festival 2016

The Inerasable - NAKAMURA Yoshihiro - psycho-horror - Japan 2016
“The Inerasable”

Come già accennato, il Far East Film Festival è alle porte. Quest’anno, fra gli ospiti giapponesi, vi saranno:
TANADA Yuki, regista, Round Trip Heart
OKITA Shuichi, regista, Mohican Comes Home
MATSUDA Ryuhei, attore, Mohican Comes Home
NAGATA Yoshihiro, produttore, The Inerasable
OBAYASHI Nobuhiko, regista
YOSHIDA Keisuke, regista, Hime-Anole
GO Morita, attore, Hime-Anole
UCHIDA Eiji, regista, Lowlife Love
SHIBUKAWA Kiyohiko, attore, Lowlife Love
KAWAKAMI Nanami, attrice, Lowlife Love
KURIBAYASHI Riri, attrice/Sexy J idol group, Lowlife Love
Adam TOREL, produttore, Lowlife Love
Pio D’EMILIA, giornalista, Fukushima: A Nuclear Story
SAITOH Takumi, attore, The Kodai Family
MITSUKA Megumi, produttore, The Kodai Family
ONE Hitoshi, regista, Bakuman

I film giapponesi in concorso sono:

Bakuman, ONE Hitoshi, mangaka action comedy, Japan 2015, European Premiere
Creepy, KUROSAWA Kiyoshi, über-psycho-thriller, Japan 2016, Italian Premiere
Flying Colours, DOI Nobuhiro, lost youth drama, Japan 2015, European Premiere
The Inerasable, NAKAMURA Yoshihiro, psycho-horror with ghost, Japan 2016. European Premiere
Hime-Anole, YOSHIDA Keisuike, pitiless thriller-drama, Japan 2016, World Premiere
The Kodai Family, HIJIKATA Masato, telepathic love story, Japan 2016 World Premiere
Lowlife Love, UCHIDA Eiji, movie-industry dramedy, Japan 2016, Italian Premiere
Maniac Hero, TOYOSHIMA Keisuke, yuppie fantasy-action comedy, Japan 2016, World Premiere
Mohican Comes Home, OKITA Shuichi, punk-hipster-redemption drama, Japan 2016, European Premiere
Round Trip Heart, TANADA Yuki, anarchic road-movie romance, Japan 2015, Italian Premiere
Three Stories of Love, HASHIGUCHI Ryosuke, redemption contemporary drama, Japan 2015, Italian Premiere

Blue Christmas
“Blue Christmas”

Film giapponesi fuori gara:

Rassegna BEYOND GODZILLA: ALTERNATIVE FUTURES AND FANTASIES IN JAPANESE CINEMA

Blue Christmas, OKAMOTO Kihachi, Japan 1978
Exchange Students, OBAYASHI Nobuhiko, Japan 1982
Gamera 3: Incomplete Struggle, KANEKO Shusuke, Japan 1999
The Girl Who Leapt Through Time, OBAYASHI Nobuhiko, Japan 1983
House, OBAYASHI Nobuhiko, Japan 1977
Invasion of the Astro Monster, Honda Ishiro, Japan 1965
Latitude Zero, HONDA Ishiro, Japan 1969
Mysterians, HONDA Ishiro, Japan 1957
Matango, HONDA Ishiro, Japan 1963
School in the Crosshairs, OBAYASHI Nobuhiko, Japan 1981

Segnalo, infine, anche il documentario Fukushima: A Nuclear Story di Matteo Gagliardi.

Per altre informazioni, vi rimando al sito del Festival. Buone visioni!

“Andiamo al cinema a vedere un libro?”: la nuova rubrica dedicata ai romanzi giapponesi trasformati in film

La locandina di "Norwegian wood"

Dall’inizio di giugno, Biblioteca giapponese ospiterà una nuova rubrica, dedicata ai film ispirati ad alcuni celebri libri della letteratura giapponese.

Al momento, tra i titoli in programma ci sono (non in ordine cronologico):
(altro…)

“Giappone underground”: nelle viscere del cinema sperimentale giapponese degli anni ’60-’70

Notturno in bianco e nero. Un ragazzo con le lenti spesse canta sul tetto di un edificio, fissa l’orizzonte, o forse il vuoto. E’ ben pettinato, e la camicia bianca è stirata a perfezione. E’ un assassino, e prima ancora una vittima. Il suo destino è già scritto.

Questo l’incipit di Su su per la seconda volta vergine (Yuke yuke nidome no shojo, 1969) di Wakamatsu Kōji, capolavoro del cinema sperimentale giapponese del secondo dopoguerra: un cinema duro, crudo, violento, profondamente legato al clima di opposizione sociale e rinnovamento che si respirava in quegli anni in Giappone, in cui le proteste caratteristiche dell’epoca sessantottina erano in realtà sorte già da tempo quando l’Europa conobbe il maggio francese, diventato poi simbolo delle rivolte giovanili.

Per orientarci in questo universo torbido e poliforme – poco noto in Italia anche a causa del rifiuto operato da parte dei circuiti cinematografici e televisivi (con la lodevole eccezione del solito Ghezzi) – possiamo affidarci a Giappone underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70 di Beniamino Biondi (edizioni Il Foglio, 2001, pp. 133, 12 €; in offerta su Amazon.it cliccando qui a 10,20 €), che fornisce una panoramica sintetica ma ad ampio raggio sull’argomento, scansionata per registi, dei quali estrinseca la poetica e i significati delle scelte formali (talvolta azzardate ed estreme) proprio a partire dalla loro stessa produzione, con abbondanza di esempi.

In quegli anni, non pochi registi – rompendo bruscamente con le industrie cinematografiche e con l’establishment intellettuale – si dedicarono in modo intensissimo alla sperimentazione e alla ricerca di nuovi linguaggi che potessero rivelare il malessere e le contraddizioni di una società fagocitata dal capitalismo dilagante, in cui l’individuo (specie se appartenente agli strati sociali più bassi) non poteva che annichilirsi o straniarsi, sino a diventare altro da sé.

Mentre Sartre fumava al Café de Flore, a Parigi, disputando di politica e filosofia, alcuni cinfefili giapponesi battevano cantine, quartieri malfamati, bar d’infimo ordine per scovare idee e atmosfere, finendo per dare la parola persino ai luoghi stessi: lo dimostra Wakamatsu Kōji nel suo A.K.A. Serial Killer (Ryakushō renzoku shasatsuma, 1969), documentario dedicato a un serial killer, privo di attori, che racconta la vita dell’assassino facendo parlare gli stessi scenari degradati in cui si è svolta, costituendo così una perfetta applicazione della teoria del paesaggio, volta a dimostrare “come l’ambiente muti l’identità sociale e politica” (cit. di Adachi Masao), che ricorda la celebre formula “race, moment, milieu” (fattori ereditari, contesto sociale e momento storico sono determinanti per la costituzione di un individuo), coniata da Taine, teorico del naturalismo francese ottocentesco.

Moltissima parte delle pellicole nate a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta si presenta oggi ai nostri occhi dissacrante, oscura, incoerente, visivamente e contenutisticamente aggressiva. Il ricorso alla violenza è esplicitato in tutte le sue forme, non ultima quella sessuale: l’eros diviene una cassa di risonanza e, prima ancora, un linguaggio di opposizione e denuncia, talvolta non privo di letture allegoriche, come nel caso di Iimura Takahiko e Hara Kazuo. Per questa ragione, è possibile individuare nella produzione di questi anni numerose tracce del pinku eiga (letteralmente ‘cinema rosa’, da intendersi però come produzione erotica, spesso realizzata a basso costo e in tempi ristretti): per portare in scena il malessere delle fasce più deboli, escluse dalla buona società, si credeva fosse opportuno ricorrere a generi e stili artistici altrettanto outsider.  

Ma la rivolta (politica, ideologica, esistenziale), come ben spiega Biondi, non passò soltanto attraverso i contenuti, bensì anche per gli stessi strumenti stilistici ed espressivi, come dimostrano le esperienze di Obayashi Nobuhiko (celebre la sequenza della pianta che fa l’amore con una ragazza, tratta dal suo Huasu, ripresa da Sam Raini).

La realtà stravolta e violenta in cui si dibattevano uomini e donne in conflitto con se stessi e con il mondo poteva esser rappresentata soltanto da scelte formali coraggiose sino all’azzardo, spinte talvolta – di proposito o meno, a seconda della bravura del regista – ai limiti del trash, con incursioni nell’horror e nel grottesco: cromatismi deliranti, alterazioni improvvise nelle sequenze dei fotogrammi, collage, inquadrature stravolte e stravolgenti… I generi cinematografici si confondono tra loro, recependo al contempo stimoli e suggestioni dall’arte e del cinema occidentale; basti pensare all’influenza del mito di Edipo sul Funerale delle rose (Bara no Sōretsu; qui a sinistra un fotogramma), diretto da Matsumoto Toshio nel 1969.

Un caso a parte è rappresentato dalle pellicole di Mishima Yukio, in cui apparve nelle veste di semplice attore, oppure come ideatore e protagonista. A quest’ultima classe appartiene un’unica opera, entrata però nella leggenda: Patriotism (Yūkoku, 1966), ritenuta da molti premonitrice, dal momento che il personaggio principale, incarnato dallo scrittore, si dà la morte per seppuku (suicidio rituale).

Lo stesso Mishima fu uno dei bersagli preferiti di Terayama Shūji, autore dell’Imperatore Tomato Ketchup (Tomato kecchappu kōtei, 1970; qui a lato un fotogramma), in cui si scagliò sia contro il militarismo tanto apprezzato dall’autore del Padiglione d’oro, sia contro le alternative politiche, sociali e rivoluzionarie dell’epoca, dando vita a un film di non facile interpretazione e dai tratti visionari.

Quello underground fu insomma un cinema sfaccettato e ricco per temi, stili, polemiche, il cui spirito è forse in parte riassumibile nei versi struggenti e allucinati della canzone che apre Su su per la seconda volta vergine:

Mamma,
io  me ne vado!
Entro nella notte della città.
Un pranzo nudo,
un pranzo di sangue.

“Paprika”: un romanzo, un anime

Il libro di cui voglio parlarvi oggi forse suonerà familiare agli appassionati di manga, sebbene sia un romanzo: sto pensando a Paprika di Tsutsui Yasutaka, uno dei più celebri scrittori di fantascienza giapponese. L’opera è stata pubblicata nella rivista Marie Claire all’inizio degli anni ’90, per poi essere adattata ad anime nel 2006 dal compianto regista Satoshi Kon (qui sotto potete vedere il trailer del film). Da quanto mi è dato sapere, purtroppo non esiste una traduzione italiana del volume; è però reperibile quella inglese.
La vicenda narrata ruota attorno a una nuova rivoluzionaria tecnica di intervento nel trattamento dei disordini mentali: la psichiatra vincitrice del Nobel Chiba Atsuko utilizza il suo alter ego Paprika per intervenire nei sogni altrui e aiutare gli individui a superare i loro problemi. La realtà finisce in tal modo per confondersi al mondo onirico, e viceversa; ed il lettore – così come lo spettatore – non può fare a meno di abbandonarsi a questo fantasmagorico caleidoscopio.

 

“Asakusa kid” di Kitano Takeshi

Mi sono già occupata, poco tempo fa, di Kitano Takeshi, citandovi un volume di saggistica; oggi, però, vorrei lasciare spazio alle parole del regista-attore-pittore-scrittore stesso, e al suo autobiografico Asakusa kid (trad. di Marco Fiocca e Otake Yuko, Mondadori, pp. 200, € 7,80). Eccovi la recensione che Manta? ne ha fatto; buona lettura.

Succede, a volte, di poterti affezionare a certi personaggi mai visti di persona che abitano chissà dove, un libro un film o un paese vero. Sembra quasi di averli conosciuti da qualche parte, di averci condiviso un non so che una birra o qualche idea, un momento della vita.
Leggere questo librino se si è sentita questa sorta di condivisione con Kitano vedendo i suoi film i programmi TV o guardando i dipinti è come uscire a bere con un amico e trovarsi sbronzi senza farci caso.
Non so se le mie parole siano esatte, questo è un libro che può dire a chi lo legga anche meno di niente. Zero. Perché soltanto sotto alle gelosie, alle situazioni grottesche e paradossali, sta nascosto il continuo omaggio dell’autore a colui che lo prese sotto la propria ala insegnandogli non solo a recitare, ma mostrandogli perfettamente (e dimostrandolo con completezza solamente dopo la sua morte) l’arte del dissimulare.
È un minuzioso gesto d’amore travestito da buffonata, una statua votiva alla malinconia costruita con cose sceme, con la carta sporca d’unto di un cartoccio di patate, e nascondendo la propria situazione disperata. Una piccola elegia per un ambiente in decadenza ed un ulteriore omaggio indiretto a chi, sotto la scorza del dissacrare della violenza o dell’irascibilità, possa vedere il barlume di un altro mondo più intimo e sincero.

Nuova uscita: “Nihon Eiga-Storia del Cinema Giapponese dal 1970 al 2010”

Spesso, purtroppo, se si chiede a uno spettatore disattento quali film sul Giappone lo abbiano maggiormente colpito, ci sono buone possibilità che la scelta ricada su Memorie di una geisha e Kill Bill.
Eppure, il cinema nipponico contemporaneo presenta un quadro ricco e mosso, non di rado ignorato dal sistema di distribuzione cinematografica italiana e, talvolta, persino dai critici. Tenta di rimediare a queste gravi mancanze il recentissimo Nihon Eiga – Storia del Cinema Giapponese dal 1970 al 2010 (esf edizioni, pp. 222, € 17), a cura di Enrico Azzano, Raffaele Meale e Riccardo Rosati.
Non si tratta del solito manuale iperspecialistico per addetti ai lavori, ma di un volume — frutto di una sincera passione — che si propone di accompagnare cinefili e semplici curiosi alla scoperta di un universo sconosciuto ai più. L’impresa può dirsi riuscita con successo, sotto tutti i punti di vista: l’appassionato può soffermare la sua attenzione su un approfondito inquadramento storico, sociologico e culturale della materia, mentre l’esperto trova pane per i suoi denti nelle apposite sezioni riservate all’analisi di diciassette registi (Takeshi Kitano, Hayao Miyazaki, Satoshi Kon, solo per citare i più noti) e venticinque film (Patriotism, Il mio vicino Totoro, etc).
A tutti coloro che vivono a Roma, consiglio di partecipare alla rassegna cinematografica legata al volume, che si tiene al cinema Detour (Via Urbana 107; http://www.cinedetour.it) . Per il programma, cliccare qui.

Presentazione di "Tarantino vs Kitano"

Tra Tarantino e Kitano, secondo voi, chi vince? La domanda se l’è posta anche Angela Cinicolo, autrice di Tarantino vs Kitano (Sovera ed., pp. 158, € 15), recentemente pubblicato; in esso, vengono analizzate e ripercorse le scelte stilistiche e tematiche che contraddistinguono i due geniali registi.
Il volume sarà presentato a Roma, domenica 24 ottobre, alle ore 19, presso AltroQuando (Via del Governo Vecchio, 80, 82, 83), libreria nota certamente a tutti i cinefili, a due passi da Piazza Navona.

Il lato oscuro del cinema nipponico: "Japan Horror"

Già in passato, mi sono occupata di un genere cinematografico non troppo conosciuto in occidente, vale a dire l’horror nipponico. Oggi vi propongo un volume appena uscito, Japan Horror di Giorgia Caterini (Tunué, pp.112; € 9,70): in esso l’autrice mette a fuoco la <<contaminazione tra manga, anime, cinema e videogiochi>> che ne è alla base, conducendoci inoltre alla scoperta di autori e film capitali. Insomma: un libro interessante, per esperti e profani.

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