Categoria: cultura giapponese

Cosa leggere durante un viaggio in Giappone…

… in particolare tratto dall’opera di Murakami Haruki? La domanda è stata posta a <<The Millions>>, uno dei maggiori blog del mondo dedicati ai libri. Il giornalista, Ben Dooley, raccomanda Kokoro di Natsume Soseki, un grande classico della letteratura nipponica, e Norwegian Wood (in Italia, tradotto come Tokyo Blues) di Haruki Murakami, malgrado non ritenga questo autore il più adatto per saperne di più sul Sol Levante. Dooley completa prematuramente il quadro con un’introduzione storica al Giappone, Inventing Japan (1853-1964) di Ian Buruma, e Dogs and Demons di Alex Kerr.
In tutta sincerità, io avrei dato maggiore spazio agli autori nipponici, proponendo, ad esempio, il Libro d’ombra di Tanizaki Yunichiro e, per confrontarsi con un particolare taglio occidentale, il romanzo Stupore e tremori di Amélie Nothomb. E voi, cosa suggerireste a qualcuno in partenza per il Giappone?

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Qui l’articolo di Dooley:

Former Millions contributor Emre writes in with this question:

“I’m flying to Japan on Saturday and, shamefully, have never read Haruki Murakami. I’ll be visiting Tokyo and other destinations for two weeks, what do you recommend I read that’ll be both a good intro to Murakami and teach me something about japan, too?”

coverIf you have your heart set on Murakami, I recommend you start with Norwegian Wood, the bittersweet love story that propelled him to superstardom. It lacks the fantastic elements of much of Murakami’s more popular work, but it contains perhaps the best depiction of modern Japanese life that Murakami has ever written.

To be honest, though, Murakami isn’t a great place to learn about Japan. As much as I like him, he doesn’t have much of interest to say about Japan as a country. His obsession with the West, rather than honing his eye for dissecting his own culture, has led him to cut it out of his stories almost entirely. As a result, Japan never plays a major role in his books. His characters tend to be culturally ambiguous and many of his novels could have just as easily taken place in, I don’t know, Sweden.

coverIf you really want to learn more about what it means to be Japanese, you might consider picking up a copy of Kokoro, by Natsume Soseki. Kokoro is a, perhaps the, great modern Japanese novel (at least most Japanese would tell you that) in much the same way that The Great Gatsby Is a great American novel. Kokoro trades Gatsby’s wit and panache for a solemn melancholy that I, frankly, find off-putting, but it’s unquestionably one of the most “important” Japanese novels, and a great introduction to the soul of modern Japan.

covercoverOn the non-fiction front, I highly recommend Ian Buruma’s Inventing Japan, which provides an excellent, entertaining encapsulation of Japan’s modern history. At a mere 174 pages, you can read it on the plane ride over, and still have time for two terrible movies. For a bleaker take on modern history, you might consider Alex Kerr’s Dogs and Demons, a dystopic look at Japanese bureaucracy and the country’s appalling environmental legacy. It can be a bit of a downer, but it provides an insightful behind-the-scenes look at what makes the country run.

Have a safe trip!

La strana autobiografia di Miyuki Hatoyama

Solitamente non amo occuparmi di politica e attualità, ma stavolta, dato l’argomento, farò un’eccezione.

La moglie del premier
La moglie del premier

Oggi, infatti, voglio accennarvi all’autobiografia di Miyuki Hatoyama. E chi è costei, direte voi? Miyuki non è altro che la first lady del momento, la moglie di Yukio Hatoyama, appena eletto premier. Cosa avrà allora di tanto speciale la sua storia? A prima vista nulla, si potrebbe pensare, se si esclude il fatto che racconta di aver conosciuto Tom Cruise in un’esistenza passata e di esser stata rapita dagli alieni (“Mentre il mio corpo era addormentato”, scrive Miyuki, “la mia anima salì in cielo su un Ufo a forma di triangolo e arrivò fino a Venere. Era un luogo molto bello ed era molto verde”: cit. da Repubblica, http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/esteri/giappone-elezioni/moglie-premier/moglie-premier.html)
Purtroppo, conosco solo il nome inglese dell’opera, Very Strange Things I’ve Encountered; di certo, non si può dire che il titolo sia ingannevole!

Per approfondire la questione : http://www.reuters.com/article/lifestyleMolt/idUSTRE5812DV20090902
http://www.independent.co.uk/news/world/asia/i-have-been-abducted-by-aliens-says-japans-first-lady-1780888.html

Roma, fino al 10 settembre la mostra "L'oriente tra tradizione e innovazione"

Chiedo venia, ma ho scoperto solo oggi dell’esistenza dell’interessante mostra, L’oriente tra tradizione e innovazione, che si terrà fino al 10 settembre presso la Casa delle Letterature di Roma (grazie a Roberta per la segnalazione e l’invito):

Un'opera di Keitaro Sugihara

La Casa delle Letterature del Comune di Roma dal 26 giugno al 10 settembre 2009 espone una mostra sull’illustrazione giapponese in collaborazione con l’Associazione Culturale Teatrio; un piccolo ma significativo contributo alla conoscenza della figurazione nipponica antica e contemporanea, nella quale gli aspetti tradizionali e quelli innovativi, gli elementi autoctoni e quelli esterni, cinesi, coreani, tibetani o occidentali, si sono sempre intrecciati
La mostra mette a confronto il passato e il presente della grafica giapponese, gli artisti Ukiyo-e ed i contemporanei.
Con il termine Ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante) si intende la produzione artistica di pitture, stampe e libri illustrati rispondente al gusto dei cittadini borghesi di epoca Edo (1603- 1867) Le xilografie esposte, appartenenti alla prestigiosa collezione Contini, sono databili tra il 1803 e il 1860 circa, un momento altissimo dell’Ukiyo-e, e la mostra ne presenta un distillato degli stili, tipologie e tematiche principali attraverso alcuni dei suoi artisti più rappresentativi:
Kitagawa Utamaro (1753- 1806), Hasegawa Sadanobu (1809- 1879) , Utagawa Kunisa (1786- 1865), Utagawa Kuniyoshi (1797- 1861), Utagawa Hiroshige (1797- 1858)

Tra gli illustratori contemporanei il dialogo tra culture disparate è evidente. Le incisioni in bianco e nero di Tomoko Matsumoto, nata ad Osaka e formatasi a Londra, ritraggono il Giappone attuale con la fedeltà e l’obbiettività dell’antropologo; Yuko Shimizu nata a Tokyo, ma vive e lavora a New York, è molto attiva nella grafica pubblicitaria ;da Tokyo a Pasadena, California, Kiuchi Tatsuro ha compiuto il suo percorso da una formazione scientifica ad una carriera artistica ; Hiroyuki Nakamura vive e lavora a Tokyo, il suo approccio all’illustrazione è espressivo, gestuale, all’apparenza spontaneo nell’esecuzione ; Keitaro Sugihara sperimenta diverse strade creative, tra cui spicca il collage ;Osamu Komatsu, vive e lavora a Tokyo, ma è molto amato in Italia ed è un artista difficilmente riconducibile all’universo figurativo dell’Ukiyo-e, così immerso nelle atmosfere poetiche e fantastiche di sapore europeo.

Informazioni

Casa delle Letterature
piazza dell’Orologio, 3
00186 Roma
tel.: +39 (06) 68.13.46.97
fax: +39 (06) 68.30.18.95
Orari della Casa delle Letterature
Dal lunedì al venerdi ore 9:30 – 18:30
(sono frequenti prolungamenti di orario in occasione delle manifestazioni organizzate dalla Casa).

Kiuchi Tatsuro

Ciak! E' uscito "Japanese cinema"

Iniziamo settembre con una novità sicuramente interessante per gli amanti del grande schermo, Japanese cinema di Paul Duncan e Stuart IV Galbraith, edito dalla Taschen (192 pp.) e disponibile, al momento solo in inglese, a 19,99 €.
Intento degli autori è fornire ai lettori – soprattutto occidentali – una visione  approfondita del panorama cinematografico nipponico, esplorando anche generi e prodotti poco noti fuori dalla madrepatria. La grafica – come per tutti i bellissimi volumi Taschen – è curata e suggestiva; numerose immagini di buona qualità corredano il testo e favoriscono l’immersione in un mondo tanto affascinante quanto spesso misconosciuto.

Alcune pagine del volume
Alcune pagine del volume

Per avere maggiori informazioni, vi consiglio di dare un’occhiata al sito dell’editore.

In viaggio con Murakami: reportage di Repubblica.it (1)

Per non smentire la fama planetaria di Murakami Haruki e, soprattutto, il fatto che, oramai, in Italia la letteratura nipponica si identifichi quasi esclusivamente con lui e la Yoshimoto, Dario Olivero, di Repubblica.it, dedica in questi giorni un reportage in più puntate allo scrittore di Kafka sulla spiaggia, dal significativo nome di In viaggio con Murakami. Attraverso il Giappone, s’intende. Ecco il primo estratto:

Forse semplicemente non esiste, non a Tokyo. O forse non in questa dimensione. Abituati a tutto, anche ai viaggi cosiddetti letterari, cerchiamo atmosfere e ispirazione dove altri l’hanno trovata prima di noi. Visitiamo la Praga di Kafka, la Londra di Dickens, la New York di Capote, la Parigi di Sartre. Ci sono viaggi organizzati per questo genere di cose. L’ultimo nato è la Stoccolma di Stieg Larsson. Città che prima aveva poco da offrire se non gli spazi troppo o troppo poco illuminati e respingenti di Bergman, ora diventa location a ore e a tariffa dei luoghi da cui il giornalista Mikael Blomkvist ha conquistato milioni di lettori. Ma Tokyo è un’altra cosa. Haruki Murakami è un’altra cosa.

L’hanno cercata in tanti la Tokyo di Murakami. Migliaia di lettori hanno creduto di individuare i luoghi che racconta nei suoi romanzi. Una di quelle che è andata più vicino è un’italiana, Rossella Marangoni (Tokyo, Unicopli, 2007). Ma andare vicino non vuol dire arrivare. La periferia in cui abita Okada Toru, il protagonista di L’uccello che girava le viti del mondo? Qualsiasi periferia. L’università di Norwegian Wood? La Tokyo University o forse la Waseda dove lo stesso Murakami ha studiato. Il caffè della ragazza che legge il suo immenso libro mentre il mondo le scorre attorno in After Dark? A Shibuya, a Ginza, a Aoyama. Potrebbe essere ovunque. Murakami racconta Tokyo senza lasciare nessun indizio reale. Nessuna traccia. Tranne una, la stazione di Shinjuku. Ammesso che quella che racconta sia la Shinjuku reale e non un varco verso altre dimensioni che corrono parallele alla metropolitana e si perdono verso la fine del mondo.

Certi inviati di giornali con poco tempo e messi alle strette tra fuso orario e scadenza di consegna del pezzo se la cavavano a volte con quattro chiacchiere con il tassista che dall’aeroporto li portava a destinazione. Si facevano una prima idea sommaria. In alcuni casi restava quella. A Tokyo questo rischio non c’è. I tassisti parlano solo giapponese, nessuna speranza di fare conversazione. E poi sono troppo impegnati a districarsi in un mestiere che, da Roma a New York nessuno invidia, ma che qui diventa usurante. Una toponomastica assente, il nome di qualche arteria principale, una sommaria divisione per quartieri. Il tassista che lavora a Ginza sa poco e niente di Odaiba, quello di Ogikubo non sa dove sono i Giardini del palazzo imperiale. Legge il nome in giapponese che la guida riporta prevedendo la difficoltà del viaggiatore, ma le cose non vanno meglio. Semplicemente non lo sa. Un altro si arrende di fronte a quello che un occidentale sa essere un monumento nazionale giapponese: Ghibli Museum, la fabbrica dei sogni di Hayao Miyazaki, il maestro dell’animazione, quello di Princess Mononoke, La città incantata e l’ultimo, Ponyo sulla scogliera. Quello che disegna tutto a mano. Ma il tassista non lo sa, non lo capisce, dà la colpa all’inglese che non parla.

Nessun tassista vi aiuterà. Non riescono a venire a capo, nonostante i sofisticati navigatori che avrebbero dovuto semplificare la loro vita della Tokyo di superficie, la Tokyo reale. Figurarsi la Tokyo di Murakami che forse non esiste nemmeno. Quella di Kokubunji, quella di Sendagaya dove Murakami aprì due jazz bar prima di dedicarsi alla letteratura è nascosta da un velo più denso della foschia di luglio. Manca la toponomastica in superficie, manca quella letteraria. Una metafora, tutto è metafora, tutto è sincronicità, tutto è attributo di un’unica sostanza. Tutto in una sola città.

Così cambiano anche le coordinate dell’inizio di After Dark: “E’ una metropoli quella che abbiamo sotto gli occhi. La vediamo attraverso lo sguardo di un uccello notturno che vola alto nel cielo. Nel nostro sconfinato campo visivo, appare come un gigantesco animale. O un confuso agglomerato, composto da tanti organi avvinghiati l’uno all’altro. Un’infinità di arterie si protendono fino all’estremità di un corpo inaferrabile, vi fanno circolare il sangue e ne rigenerano di continuo le cellule. Trasmettono nuove informazioni, e raccolgono quelle vecchie. Comunicano nuovi bisogni, e raccolgono quelli vecchi. Portano nuove contraddizioni, e raccolgono quelle vecchie. Al ritmo di queste pulsazioni, il corpo si accende in più punti, si infiamma, si contorce. La mezzanotte è vicina, il metabolismo di base per sostenre la vita dell’organismo, che ha appena superato la fase culminante della sua attività, continua con vigore inalterato. Un gemito, quasi un accompagnamento in sottofondo, si leva dalla città. Un gemito monotono, privo di alti e bassi, eppure denso di presagi”.

(Fonte: http://olivero.blogautore.repubblica.it/2009/07/28/in-viaggio-con-murakami-1)
(Foto: Tokyo, 2004. Fotografo: Sutton-Hibbert/Rex Features; fonte: http://www.guardian.co.uk/culture/tvandradioblog/2008/jun/25/imaginefailstofindmurakami)

L'anima nascosta del Giappone di Marcella Croce

Studio, impegni e – lo ammetto – un po’ di vacanze mi hanno tenuto lontano dal blog, ma ora sono pronta a ricominciare.
Vi presento oggi con molto piacere un libro segnalatomi dalla stessa autrice, Marcella Croce, appena uscito, L’anima nascosta del Giappone (Marietti editore, pp. 120, € 30):

Lo spirito del Giappone, più che spiegato o studiato, va semplicemente ‘sentito’, assorbito. Ricopiando la sutra nell’atmosfera rarefatta del tempio, l’unico rumore che avvertivo era il battere implacabile della pioggia che innaffiava naturalmente i celebrati muschi, e ad ogni tratto del pennello affondavo lentamente sempre più nel terreno inesprimibile del sacro. La pioggia continuava incessante; invece che rovinare la nostra passeggiata nel giardino, l’aveva resa ancora più suggestiva. Scendendo una dozzina di scalini, mi sono ritrovata nel buio totale di un ambiente sotterraneo, che intendeva richiamare il ventre materno, che è anche il ventre della terra, e in pochi minuti ciascun visitatore, che lo volesse o no, diventava pellegrino e avvertiva totalmente cambiata la propria dimensione. Ma è anche possibile visitare il Giappone, o anche viverci, senza avere nessuna idea, nessun vago presentimento di tutto ciò. Il contrasto fra la bellezza assoluta e silenziosa di templi e giardini da un lato, e le città frenetiche dall’altro è indescrivibile.

Nel Giappone delle donne di Antonietta Pastore

Sono sempre stata dell’idea che spetti alle donne scrivere della condizione femminile; spesso, infatti, mi pare che gli uomini, nel  viso_japtrattare di ciò, manifestino un certo distacco o un fastidioso paternalismo. Ho apprezzato quindi fin dagli intenti Nel Giappone delle donne di Antonietta Pastore (Einaudi, 2004, pp. 204, 9,50 €): la studiosa, grazie al suo lungo soggiorno nel Paese del Sol Levante, ha acquisito una solida conoscenza dell’universo muliebre nipponico e ne dà prova nel testo.
Esso è articolato in diverse sezioni, ciascuna delle quali è dedicata ad un tema (nell’ordine: matrimonio, famiglia, femminismo, divorzio, giovani, lavoro, mizu shoobai, arti tradizionali, terza età), delinato in modo sintetito e chiaro e, successivamente, descritto con numerosi esempi tratti dalla vita dell’autrice.
Pagina dopo pagina, dinanzi ai nostri occhi si spiega un ventaglio di esistenze, talvolta vissute nell’ombra: studentesse, mogli, lavoratrici, artiste, ribelli, vedove… Ogni figura è diversa, ma accomunata alle altre dal difficile compito di essere donna, oggi (poiché, purtroppo, la femminilità — prima che una condizione fisica e ontologica complessa — è spesso percepita innanzitutto come un insieme di doveri e di ruoli). E se, ad uno sguardo veloce, il panorama può apparire statico, persino opprimente,  è attraversato in verità da un silenzioso conflitto, che ha luogo principalmente all’interno della donne e per le donne, manifesto indizio del disagio verso se stesse e la società che contrassegna tuttora il processo di emancipazione, non solo in Giappone, ma, purtroppo, in gran parte del pianeta.

Foto tratta da qui: allo stesso indirizzo è possibile trovare un interessante articolo in inglese dal titolo The New Japanese Woman: Modernity, Media, and Women in Interwar Japan.

La cerimonia del tè al centro Urasenke di Roma

chadoCome già anticipato, venerdì ho assistito alla mia prima cerimonia del tè, svoltasi presso il centro Urasenke di Roma (via Giovanni Nicotera 29, tel. 063207361; metro A, fermata Lepanto). La maestra del tè era un’anziana signora giapponese in kimono, simpatica e cordiale; ha illustrato i principi gesti del rito ed i suoi gesti in modo semplice e, al tempo stesso, esauriente.

La cerimonia ha avuto luogo nello spazio di pochi tatami, sui quali erano sistemati pezzi di vasellame e strumenti tradizionali: un piccolo angolo di Giappone inserito in un ambiente dal taglio occidentale; pochi metri più in là, si intravedeva una tipica sala da tè, calda e accogliente, utilizzata per incontri meno affollati. Presso il centro, è inoltre presente una biblioteca che raccoglie volumi in giapponese, inglese e italiano.

Almeno un giorno al mese, prenotandosi, è possibile prender parte al rito, partecipando come veri e propri ospiti, sostenuti dai consigli della maestra e delle sue assistenti; ogni settimana, inoltre, si svolgono le lezioni di cerimonia del tè, intesa nel senso più profondo di chado (via del tè), strada interiore che porta ad un’autentica consapevolezza di sé e ad una maggiore armonia col mondo circostante.

Chado, la Via del Tè, si basa sul semplice atto di bollire l’acqua, preparare il tè, offrirlo agli altri e berne noi stessi. Servito con un cuore rispettoso e ricevuto con gratitudine, una tazza di tè soddisfa sia la sete fisica che quella spirituale. Il mondo frenetico e le nostre miriadi di dilemmi lasciano esausti il nostro corpo e la nostra mente. E’ allora che andiamo alla ricerca di un posto dove trovare un momento di pace e tranquillità. Questo posto può essere trovato nella disciplina di Chado. I quattro principi di ARMONIA, RISPETTO, PUREZZA e TRANQUILLITA’ codificati circa quattrocento anni fa, sono una guida senza tempo alla pratica di Chado. Incorporarli nella vita di ogni giorno ci aiuta a trovare quel posto di tranquillità che è in ognuno di noi. – Soshitsu Sen, XV Gran Maestro del Tè di Urasenke (tratto da http://www.chado.it/chado.html)

Per concludere, segnalo il libro Chado. Lo zen nell’arte del tè di Soshitsu Sen (ed. Manganelli, € 7,50); nel sito dell’editore, è possibile leggerne corposi estratti.

[Foto tratta da qui]

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