Categoria: cucina giapponese

Alla scoperta dell’alimentazione e della cucina giapponese

Un’accogliente cucina di Tokyo in penombra. Il vapore si solleva dolcemente dal riso, mentre una pentola sobbolle borbottando.

Qualche migliaio di chilometri più in là, nell’affollata mensa universitaria di un campus americano, tra cotolette, patatine e salse in abbondanza, Naomi – appena arrivata dal Sol Levante – (altro…)

“Il menù di Yocchi” per scoprire la cucina giapponese

Io credo profondamente nei colpi di fulmine. Soprattutto in fatto di libri.
Con il Menù di Yocci – alias Noda Yoshiko – (ed. Corraini, 2011, pp. 44, € 9,69) è stato amore a prima vista: per via della sua genuina semplicità, del testo in italiano e in giapponese, dell’atmosfera giocosa che si respira in ogni pagina. (altro…)

“Cucina giapponese di casa” di Kurihara Harumi: la bontà è servita

Ingredienti:

– Kurihara Harumi, un’ottima cuoca e food writer giapponese;
– una buona dose di entusiasmo;
– una nutrita raccolta di gustose ricette casalinghe pressoché sconosciute in Europa;
– un ricco apparato di bellissime foto;
– una casa editrice di classe, ossia la Guido Tommasi Editore.

Procedimento:

  1. Ponete la cuoca-foodwriter dinanzi al suo ricettario privato; non dimenticate di lasciarle accanto carta e penna.
  2. Aspettate che gli occhi le si illumino e che l’ispirazione prenda il sopravvento.
  3. Consegnate tutto a un buon grafico, capace di dare a ogni pagina una nota di originalità e di colore.
  4. Et voilà, Cucina giapponese di casa è pronto!

 Oggi mi sono concessa questo piccolo divertissement per parlarvi di un volume che apprezzo molto, Cucina giapponese di casa di Kurihara Harumi (Guido Tommasi Editore, pp. 192, € 25; ora in offerta su Amazon.it a 21,25 € cliccando qui). Si tratta di un’opera molto diversa da quelle che siamo abituati a scorgere negli scaffali delle librerie: niente sushi a profusione, niente banalità, niente ricette alchemiche che prevedono difficilmente reperibili o costosi.

Nell’Introduzione, l’autrice delinea in modo rapido e limpido i principi fondanti della cucina del Sol Levante e della sua personale visione dell’universo culinario: prodotti di stagione e di qualità, piatti leggeri e vari, attenzione costante agli accostamenti gastronomici ed estetici. Seguono una veloce panoramica sugli ingredienti da tenere in dispensa e un’ampia rassegna di ricette ‘rubate’ alle casalinghe nipponiche, facili da realizzare e adatte alla vita di tutti i giorni; penso, per esempio, al riso saltato con polpa di granchio, agli onigiri al pollo, al maiale allo zenzero… Neppure i vegetariani rimarranno a bocca asciutta: le patate con salsa alla soia dolce si accompagnano all’insalata di tofu con condimento al sesamo e ad altre numerose preparazioni animally correct.

Ogni ricetta è introdotta da alcune righe di presentazione, in cui l’autrice prodiga consigli, alternandoli con note sulla cucina giapponese; subito dopo troviamo l’indicazione delle dosi esatte degli ingredienti e la descrizione del procedimento spiegato passo passo con estrema chiarezza. Conclude il tutto una breve appendice dedicata agli indirizzi utili – italiani e inglesi – per reperire cibi, salse e accessori giapponesi.

L’entusiasmo di Harumi e il suo costante desiderio di aiutare anche il lettore-cuoco più sprovveduto sono percepibili in ogni pagina e si riflettono persino nelle immagini che la ritraggono; scopriamo così una donna dal volto dolce, che sorride in quel modo discreto e un po’ timido tipico dei giapponesi: altro che le espressioni accigliate o pretenziose di certi chef!

Insomma, il ricettario (anche se è riduttivo chiamarlo in questa maniera) presenta un unico inconveniente: al momento di chiudere il libro avrete sicuramente l’acquolina in bocca, ma – in compenso – vi ritroverete con lo sguardo sazio di piccole meraviglie e, di certo, un po’ più innamorati della sorprendente cucina giapponese.

Foto tratta da qui.

Sushi o non sushi? La risposta in “Roma. Il mondo nel piatto”

Da qualche giorno in tv sta andando in onda una (imbarazzante) pubblicità in cui il testimonial, Francesco Totti, nelle vesti di cuoco giapponese, in risposta ad alcuni nipponici che lo hanno ringraziato con il consueto “arigatou”, precisa: “Macché rigatoni, è sushi!”.
Questa breve nota di costume mi fornisce l’occasione per parlare della dilagante presenza dei locali estremo orientali nella capitale: se fino a pochi anni fa ogni quartiere aveva la sua osteria in cui assaporare i piatti tipici romani, pare ora invece non esserci zona che non possa vantare un ristorante giapponese o, per lo meno, un sushi bar. Insomma: la coda alla vaccinara e la pajata sembrano essere state sostitute dai più leggeri maki di salmone o da un piatto fumante di ramen.
Come raccapezzarsi, dunque, in questa selva di offerte, talvolta più o meno discutibili sotto molti punti di vista (piatti snaturati, dubbia qualità, cibi mal conservati, etc.)? Per fortuna, la critica gastronomica Fernanda D’Arienzo, insieme al suo team, ha dato vita a una guida-bussola da portare sempre con sé (non a caso, ha il formato adatto per essere infilata nel cruscotto o nella borsetta), vale a dire Roma. Il mondo nel piatto – ed. 2011/12 (La Pecora Nera edizioni, pp. 252, €8,90).
Quest’anno, in linea con le novità nel panorama gastronomico su citate, il volume riserva una particolare attenzione ai numerosi locali in cui si può assaporare la cucina del Sol Levante, senza però tralasciare al contempo un panorama culinario etnico  a 360°, che spazia dal brasiliano al vietnamita.
Gli esercizi commerciali recensiti appartengono a tre diverse categorie: ristoranti, take away e food shop. Ogni ristorante è dotato di un voto da 1 a 10 e di una propria scheda in cui figurano una serie di informazioni utili (tipo di cucina, giorno di chiusura, carte di credito accettate…); completa il tutto una breve descrizione dell’ambiente, del servizio e del pasto consumato. Vale la pena sottolineare che gli autori hanno agito in anonimato, pagando di tasca propria il conto e basando dunque il giudizio su un’esperienza reale, non condizionata da trattamenti di favore.
Nella categoria food shop – dedicata a coloro che vogliono cimentarsi nello sperimentare a casa le diverse cucine del mondo – potete trovare non soltanto negozi di alimentari, ma anche pasticcerie, rivenditori di tè e di alimenti bio, macellerie, botteghe equo-solidali e molto altro.
Concludono la guida un utile glossario delle pietanze etniche e una serie di praticissimi indici in cui i locali sono suddivisi  in ordine alfabetico, per zona o per area geografica.
Insomma: Roma. Il mondo nel piatto è davvero una miniera di idee sia per i romani, sia per i turisti che, una volta nella Città eterna, sono preda dell’eterno dubbio: “Che famo? ‘Ndo annamo?”.

Due guide per scoprire la cucina giapponese a Roma e Milano

Speravate che me ne fossi andata in vacanza? Eh, lo avrei voluto anch’io, ma per il momento ancora nulla; in compenso, mi sono data da fare dietro le quinte per alcuni nuovi progetti legati al blog, che vedranno compiutamente la luce nei prossimi mesi.
Dal momento che stamattina mi sono svegliata con una voglia grande così di dolci giapponesi, ho pensato di dedicare questo primo post della settimana ai golosi come me. In questi giorni è infatti uscita una sorta di piccola bibbia per gli appassionati della cucina senza frontiere, vale a dire Roma. Il mondo nel piatto (ed. 2011/12) (La Pecora Nera edizioni, pp. 252, €8,90), <<la prima guida enogastronomica sull’offerta etnica della Capitale>>, curata da Fernanda D’Arienzo. Quest’anno la parte del leone è riservata ai locali nipponici, che sono fioriti in gran numero all’ombra del Cupolone e ben oltre, sino a spingersi nelle periferie; nel volume, figurano inoltre take away e food shop (ossia negozi in cui è possibile acquistare cibo etnico). Restate sintonizzati su questo canale e presto ne scoprirete di più.
Chi abita più a nord può consolarsi invece con Pappasushi. Guida ai migliori ristoranti giapponesi di Milano, a cura di Sara Ragusa (ed. Terre di mezzo, 2010, pp. 63,  € 5; in offerta su Amazon.it, cliccando qui, a € 3,75).

 

Murakami, il tè e il centro commerciale

Nell’immaginario occidentale, si tende a credere che in Giappone il tè sia una sorta di elisir circondato da un alone di rispettabilità quasi reverenziale, da sorseggiare alla penombra di un tempio o inginocchiati su un tatami. In realtà, le cose non stanno esattamente così: basti pensare alle innumerevoli macchinette automatiche – presenti davvero in ogni angolo – da cui acquistare la bevanda nipponica per eccellenza, per lo più ghiacciata o bollente (colgo l’occasione per sconsigliarvi di tutto cuore il terribile mix di caffè espresso e tè, assaggiato una volta soltanto per evitare l’assideramento).
Troviamo una conferma di ciò nel famosissimo Norwegian wood (da noi conosciuto anche come Tokyo blues) di Murakami Haruki. Durante la lettura del romanzo incappiamo in un tipico spaccato di vita quotidiana: due amici in un centro commerciale, quattro chiacchiere, una tazza di tè e qualcosa da mangiare.

Prendemmo la metropolitana e arrivammo a Nihonbashi. Forse perché dalla mattina non smetteva di piovere, le grandi sale dei magazzini Takashimaya erano deserte. Anche dentro arrivava l’odore della pioggia e le commesse si aggiravano con un’aria vagamente annoiata. Scendemmo al ristorante nel primo piano sotterraneo e dopo avere esaminato accuratamente i campioni di plastica esposti nella vetrina, ci decidemmo entrambi per il bentó. Anche
lì c’era pochissima gente, considerato che era ora di pranzo.
“E’ molto tempo che non mangio nel ristorante di un grande magazzino,” dissi mentre bevevo il té verde in una di quelle tazze bianche e lucide che si trovano solo, per l’appunto, nei ristoranti dei grandi magazzini.
“A me piace moltissimo,” disse Midori. “Mi dà la sensazione di fare qualcosa di speciale. Sarà perché da bambina non mi ci portavano quasi mai.”
[…]
“Quando ero piccola io pensavo che da grande sarei andata da sola al ristorante nei grandi magazzini e che avrei mangiato tutto quello che volevo e quanto volevo,” disse Midori. “Invece sono rimasta delusa: mangiare da sola in un posto del genere non è tutto questo gran divertimento. Prima cosa non è che si mangia tanto bene, poi anche se sono tanto grandi c’è sempre troppa folla e l’aria è viziata. Però ogni tanto mi prende la voglia di venirci.”

Kawabata e l’acqua per il tè

I libri, forse, possono dividersi in due gruppi: da un lato, ci sono quelli che devi leggere nel posto giusto per gustarli appieno; dall’altro, quelli che ti portano dove vogliono loro, in qualunque luogo li sfogli.  Quest’ultimo è per me il caso delle raccolte di Kawabata Yasunari, forse perché nessun racconto somiglia al precedente; si può percepire una sorta di fil rouge che accomuna le sue storie, ma – nel momento di descriverlo – ecco che vengono a mancare le parole.

Forse la sede più adatta per perdersi in Cristantemo nella roccia, la novella che ho scelto con Francesca per la Stanza del tè, potrebbe essere un giardino giapponese, quieto, quasi dimenticato. Eppure, io l’ho letta in una fredda sera di marzo, aspettando un autobus che non voleva mai arrivare, tra un parcheggio vuoto e i neon di un supermercato. Avevo però l’impressione di essere dall’altra parte del mondo, davanti alla roccia umida che dà il titolo alla narrazione; e il rumore dell’acqua del tè, cui Kawabata accenna, mi riscaldava.

In questo breve brano che oggi vi presento, troveremo un personaggio già conosciuto, vale a dire  Sen no Rikyū, uno dei più importanti maestri della cerimonia del tè, coerente con la sua scelta di vita per l’eternità;di lui ci parla più approfonditamente Francesca nella sua Stanza tutta per (il) tè, ricca di profumi e suggestioni. Buona lettura.

Pur abitando nella valle del Kakuenji, con le sue magnifiche tombe di pietra, ho scoperto per la prima volta la bellezza di quest’arte a Kyōto quando, nel Daitokuji, vidi il prezioso stupa [monumento buddhista che spesso custodisce reliquie] che orna la tomba di Sen no Rikyū e la lanterna di pietra che orna quella di Hosokawa Sansai. Sia lo stupa che la lanterna sono opere per cui Rikyū e Sansai nutrivano una vera predilezione, e furono essi a sceglierle per le proprie tombe. Per questo sin dall’inizio le guardiamo come opere d’arte di cui questi grandi maestri del tè avevano riconosciuto la bellezza. E forse per l’atmosfera del mondo del tè che evocano in noi, in essesto avvertiamo un senso di familiarità e calore che raramente si prova davanti a vecchie pietre tombali.

Nella parte del prezioso stupa di Sen no Rikyū che dovrebbe corrispondere all’entrata, la pietra è stata scavata, e si dice che, accostando l’orecchio a quella cavità, si possa sentire un rumore sommesso, come di vento che soffia tra i pini. E’ il rumore dell’acqua che bolle per il tè.

Kawabata Yasunari, da Cristantemo nella roccia (tratto dalla raccolta Prima neve sul Fuji)

Foto tratta da qui.

L’antica tazza di “cià” dell’esploratore

Vi siete mai domandati che effetto doveva fare ai primi europei la vista dei giapponesi che sorseggiavano una strana bevanda dai riflessi verdi e dal sapore aspro? E vi siete mai chiesti quanti secoli ha dovuto attraversare l’usanza di bere una tazza di tè prima che diventasse una anche vostra abitudine?
Per rispondere a questi interrogativi, oggi ho scelto di presentarvi un testo piuttosto particolare, redatto non da un autore nipponico, ma da un mercante fiorentino dell’epoca rinascimentale, Francesco Carletti (1573 – 1636), che fu uno dei primi italiani a recarsi nel Sol Levante e a descriverne gli usi e i costumi. L’uomo – dedito anche alla tratta degli schiavi – percorse gran parte del mondo allora noto, e ce ne dà notizia nei suoi Ragionamenti. In una delle sue peregrinazioni ebbe modo di conoscere il tè, già all’epoca bevanda giapponese per eccellenza; di esso lo colpirono soprattutto le sue proprietà mediche (aiuta la digestione e contrasta la sonnolenza) e il suo valore sociale:

[…] mai non si guasta una certa lor foglia, che chiamano Cià, ovvero The, che viene prodotta da una pianta simile a quella del Bossolo, salvo che ha le foglie tre volte più grandi, e si mantiene verde tutto l’anno; e fa il suo fiore odorifero in forma di rose dommaschine [: con un aspetto simile al damasco]. Delle foglie ne fanno polvere, che poi posta in acqua calda, che di continuo tengono al fuoco per questo effetto, beono quell’acqua più che per uso di medicina, che per gusto, essendo di sapore amaragnolo, benche lascia poi la bocca buona, ed a chi usa berne fa buonissimo effetto. Giova assai a quelli ch’hanno debolezza di stomaco, e ajuta maravigliosamente alla digestione, e spezialmente è ottima a levare, ed impedire i vapori, che non vadano alla testa, ed infatti il berne dopo cena leva il sonno. Perciò il suo uso è berla subito dopo aver mangiato, e massime quando uno si sente carico dal vino. L’uso di bere questo Cià infra Giapponesi è tanto, e tale, che non s’entra mai in casa di nessuno, che non sia offerto amichevolmente, e quasi per creanza [: buona educazione], costumandosi da loro [: essendo offerto abitualmente] per onorare gli ospiti amici, siccome [: così come] s’usa ne’ paesi di Fiandra, e di Germania di offerire il Vino. […]

Francesco Carletti, Ragionamenti di Francesco Carletti sopra le cose da lui vedute ne’ suoi viaggi

Per saperne di più sulle varietà di tè giapponese, vi consiglio come al solito di fare due passi nella Stanza del tè di Francesca.
(Foto tratta da qui.)

Non solo sushi con “La cucina manga”

Ricordo che da piccola, guardando il cartone animato di Kiss me Licia, mi chiedevo cosa preparasse Marrabbio, dato che mi pareva di non aver mai visto una cosa del genere; idem per quegli strani dolcetti di Doraemon. Solo molti anni dopo avrei saputo che si trattava, rispettivamente, degli okonomiyaki e dei dorayaki, due dei cibi giapponesi che amo di più.
La Kappa edizioni ha fortunatamente pensato a tutti coloro che sono entrati in contatto con la cucina del Sol Levante attraverso i loro personaggi preferiti, dando alle stampe La cucina dei manga (Kappa edizioni, pp. 144, € 14, ora in offerta su Amazon.it a € 11,90) di Yoko Ishihara, con illustrazioni di Chihiro Hattori. Il volume permette non soltanto di scoprire i principali ingredienti utilizzati in Giappone, ma soprattutto insegna come adoperarli per realizzare passo dopo passo gustosi piatti, avvalendosi di vignette in stile manga.
E per chi ha ancora voglia di cimentarsi ai fornelli, ricordo anche In cucina con Banana Yoshimoto. Buone letture e buon appetito!

A Roma Ito Ogawa parla del suo “Ristorante dell’amore ritrovato”

Notizia flash, presa pari pari dalla newsletter Neri Pozza:

Giovedì 18  novembre,  alle ore 10.30, presso il Tempio di Adriano, Piazza di Pietra a Roma, Ito Ogawa parlerà del suo romanzo “Il ristorante dell’amore ritrovato”. Interviene con l’autrice, il regista giapponese Minoru Kurimura. Modera l’incontro Gianluca Coci.

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