Categoria: racconti

Murakami inedito: “La mia povertà a forma di cheesecake” [da Satisfiction]

I lettori italiani di Murakami sanno bene che il paradiso esiste: si chiama Harukimurakami.it e raccoglie moltissimo materiale sullo scrittore, compresi racconti inediti nel Murakami Harukinostro paese, tradotti da un gruppo di volenterosi aficionados dell’autore di 1Q84.

Uno di questi – La mia povertà a forma di cheesecake – è apparso oggi (altro…)

Gandhi, l’uomo coi tacchi e la ragazza arrabbiata: un 8 marzo alternativo con Yamamoto Hisaye

Yamamoto Hisaye con alcune donne al campo di dislocazione di Poston (anni '40)

Di solito, non festeggio l’8 marzo.

Mi è sempre parsa una giornata di false promesse e di buoni propositi (tanto da parte femminile, quanto maschile, intendiamoci), puntualmente disattesi, riguardo la dignità e la promozione sociale delle donne, il sostegno alla maternità, l’impegno contro la violenza e via discorrendo.

Non a caso, quando ho letto questo brano della scrittrice nippo-americana Yamamoto Hisaye, l’ho subito apprezzato. Per la sua schiettezza intellettuale (quanti, ancora oggi, avrebbero il coraggio di criticare Gandhi?), per la sana indignazione contro i perbenisti e, soprattutto, per la cruda sincerità. (altro…)

Hanshichi e la città delle ombre

detective hanshichi delitti città di edoApparentemente, credi solo di essere immerso nella lettura di un libro. Poi, inizi un racconto a caso e tutto scompare, per lasciare posto a una città dimenticata. Si dissolvono poco a poco le pareti della stanza, e le finestre, le porte, gli oggetti; al loro posto spuntano vivaci botteghe di legno, piccoli banchi che vendono pesce per la strada, fili su cui ondeggiano kimono messi ad asciugare al sole. Il silenzio si sfilaccia e sorge un allegro frastuono: i bambini ridono a voce alta, le vicine chiacchierano tra loro, mentre i venditori di patate arrosto incoraggiano i clienti con grida insistenti.

Ecco, questo è Detective Hanshichi. I misteri della città di Edo di Okamoto Kidō (1872 – 1939) (trad. a cura di P. Ferrari; O Barra O Edizioni, 2011, pp.  240, € 14; ora in offerta su Amazon.it a € 11,90 cliccando qui), uno dei padri del genere poliziesco in Giappone. Il volume (che a brevissimo sarà seguito da un secondo) racchiude una piccola ma significativa parte del corpus giallo dello scrittore (sviluppatosi  tra il 1917 e il ’37), ospitando undici suoi racconti mai editi prima in Italia, preceduti da un’ottima introduzione del curatore americano, lo studioso Ian MacDonald. Distaccandosi dalla produzione precedente, costituita tra l’altro da materiali di origine cinese (come Tōin hiji monogatari, Casi uditi sotto il cespuglio di ciliegie cinesi, tradotti nel 1649) e autoctona (si pensi per esempio a Honchō ōin hiji, Casi uditi sotto l’albero di ciliegio giapponese, pubblicati nel 1689 da Ihara Saikaku), e dai resoconti di cronaca nera apparsi sui giornali alla fine del diciannovesimo secolo, Kidō inaugurò il poliziesco ‘alla giapponese’, non esente però da numerose influenze, compresa la saga di Sherlock Holmes di  Arthur Conan Doyle.

 A leggerle oggi – abituati come siamo a qualsiasi tipo di orrore spettacolarizzato dai mezzi d’informazione – le vicende narrate ci paiono quasi ingenue, anche se è inevitabile provare ammirazione per il fiuto di Hanshichi e, ancor di più, simpatia per il suo carattere. Burbero, pragmatico, a volte ironico sino al sarcasmo e capace di sorridere dei suoi errori (come ne La stanza sopra i bagni), l’uomo sa però mostrarsi all’occorrenza sensibile e generoso, dal momento che, pur credendo fermamente nella giustizia, non ne è mai soggiogato. La “lunga faccia magra decisamente singolare, con un naso prominente e occhi espressivi […] gli [dà] l’aria di un attore di kabuki”: e Hanshichi, in fondo, attore lo è davvero per la capacità di adattarsi a qualunque situazione con naturalezza. L’ispettore, infatti, sa stare a suo agio tra samurai, religiosi e comuni cittadini, sfruttando a suo favore vizi e virtù di ogni classe sociale, facendo leva se necessario sull’onore di una dama o sul timore delle percosse da parte di un giovane furfante.

Tutti i racconti di Hanshichi sono ambientati nella Edo (la vecchia Tokyo) del pieno Ottocento, tra gli anni Quaranta e Ottanta, quando ancora non era stata pienamente travolta dal turbine della modernizzazione. Ed è lei, in fondo, la vera protagonista delle storie: una città senz’altro pittoresca, con le sue strade affollate e gli improvvisi, stupefacenti scorci, ma anche rumorosa, ambigua, contraddittoria, pronta a dare riparo nei suoi bassifondi a malviventi di ogni risma o inquietanti spettri assetati di vendetta. Una città di vicoli morti e di angoli lividi, che certo avrebbe conquistato il Tanizaki del Libro dell’ombra, e della quale Kidō appare nostalgicamente innamorato. E’ probabilmente per questa ragione che le sue pagine appaiono vivide, stilizzate, eppure così piene di poesia, anche quando la sua penna si sofferma a descrivere quartieri malfamati e attività umilissime. Persino il rintocco di una campana che scuote le stelle nella notte, il passo leggero di un ladro sul muschio o i calli dei mignoli attragono l’attenzione dell’autore, impaziente di ricreare pennellata dopo pennellata un mondo tanto vagheggiato quanto perduto.

Le giornate avevano cominciato ad accorciarsi, e quando la campana della sera suonò le sei, l’interno della piccola casa era ormai quasi buio. Okame venne sulla veranda con una fiaschetta di sakè, alcuni involtini e qualche fascio di susuki, le cui fronde frusciavano nella fredda brezza serale che si faceva sentire fin dentro al kimono senza fodera di Hanshichi. Era ora di cena, sicché il detective si fece comprare da Okame, in un negozio del posto, alcune anguille cotte alla griglia di cui offrì una parte alla sua ospite e alla figlia, sentosi a disagio a mangiare da solo.
Terminata la cena, il detective tornò nella veranda con uno stuzzicadenti dondolante dalle labbra e alzò gli occhi al vasto oceano del cielo blu scuro che si stendeva sopra di lui, irregolarmente diviso dalle gronde sovrapposte delle case nella stradina. La luna piena non si era ancora alzata, ma a oriente il pallido brillio giallino al limite di alcune nubi annunciava il suo arrivo. La rugiada che aveva cominciato a cadere mentre cenava all’interno, scintillava ora sulle foglie avvizzite di due campanule in vaso esiliate nel giardino, apparentemente non più bene accolte in casa.

(brano tratto da La dama di compagnia, p. 220)

Immagine tratta dall’Edo Meisho Zue (I siti famosi di Edo illustrati), pubblicato tra il 1829 e il 1836.

Un bisbiglio nel silenzio: “Tokyo soul” di Mariella Soldo

Solitamente, riservo poco spazio ad autori che scrivono del Sol Levante.  Non amo pagine riempite di geisha, samurai e altri ameni luoghi comuni.

Tempo fa, proprio per il timore di vedere la sofferenza di un popolo ridotta a mero pretesto narrativo, mi sono tenuta ben lontana dalla serie di eventi e opere (più o meno) artistiche per commemorare il terremoto dell’11 marzo 2011. I discorsi vuoti e fini a se stessi erano sempre in agguato.

Con il racconto Tokyo soul (che potete leggere qui) di Mariella Soldo non è stato così. Ogni parola mi è parsa sincera, sentita, fragile. Forse perché, in quei giorni di primavera acerba, ho provato lo stesso dolore e la medesima paura di perdere per sempre un’amica preziosa, che – anche a diecimila chilometri di distanza – cercava a suo modo di proteggermi.

 

Un gennaio spettrale: è arrivata l’antologia “Onryō, avatar di morte”

Libri riguardanti l’immaginario giapponese spettrale purtroppo in Italia non si vedono spesso; ma quando fanno capolino in una collana editoriale storica come Urania della Mondadori, allora c’è da prestare attenzioni. Questo mese, infatti, è uscita l’antologia Onryō, avatar di morte, a cura di Danilo Arona e Massimo Soumaré (che ringrazio per la segnalazione). Questa la presentazione del volume tratta dal sito dell’editore:

In piena rivoluzione informatica, nel mondo tecnologico gli esseri inquietanti che la tradizione chiama onryo si manifestano ancora. Sono uomini e donne morti in circostanze particolari i cui avatar hanno conservato la capacità di fare del male. In questa superba antologia dove il futuro si mescola a riti antichissimi, ce ne raccontano le crudeli avventure specialisti come Danilo Arona, Alessandro Defilippi, Stefano Di Marino, Angelo Marenzana, Samuel Marolla e autori giapponesi del calibro di Hiroko Minagawa, Nanami Kamon, Yoshiki Shibata e Sakyo Komatsu, il grande scrittore scomparso nel 2011.

Proposte da “Più libri, più liberi” (ed. 2011)

Ed ecco, come promesso, una brevissima carrellata delle opere che oggi alla fiera Più libri più liberi hanno colpito la mia attenzione, non necessariamente nel bene o nel male. Non ho purtroppo avuto il tempo di esaminare molte di loro con attenzione, dunque mi limiterò nella maggior parte dei casi a presentarle con le parole dell’editore. Nei prossimi giorni aggiungerò nuovi titoli.

*Narrativa*

  • Madam Butterfly [sic] di John Luther Long, a cura di Riccardo Reim (Avagliano, 2009, pp. 96, € 10; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a € 8,50). “Madam Butterfly di John Luther Long è il racconto al quale Giacomo Puccini si ispirò (dopo aver assistito a Londra, nel luglio 1900, alla tragedia che David Belasco ne aveva tratto a sua volta) per il soggetto della sua sesta opera – Madama Butterfly, per l’appunto – che ancora oggi viene trionfalmente replicata ogni anno in tutti i teatri del mondo. Praticamente sconosciuta in Italia, questa “novella giapponese” rappresenta una vera e propria ghiottoneria non soltanto per gli appassionati del genere, ma per tutti coloro (e sono milioni) che abbiano ascoltato almeno una volta Un bel dì vedremo o il celebre coro a bocca chiusa. Il racconto di Long, inoltre, riserva una grossa, imprevedibile sorpresa: un finale del tutto diverso (meno ad effetto, ma assai più moderno) da quello del melodramma pucciniano, uno “scioglimento” che non mancherà di sconcertare e divertire il lettore.”

*Poesia*

  • Il mangiatore di cachi che ama gli haiku di Masaoka Shiki (La Vita Felice, pp. 176, € 12; traduttore P. O. Norton; libro ora in offerta su Amazon.it a € 10,20 cliccando qui). “Shiki ha spesso affermato che un grande maestro di haiku non scriveva durante la sua vita di poeta che duecento o trecento haiku autentici. Di quelli che sono portatori di un’intuizione profonda della realtà immediata ed evidente. Di quelli che ci permettono di sentire, di sondare l’indicibile profondità, di gustare il sottile sapore dell’esistenza umana, colta nell’eternità dell’istante presente. Di quelli che traducono, senza specificare, ma solamente suggerendo l’esperienza di distacco filosofico, poetico se si preferisce, dal mondo, quando tutto diventa semplice, luminoso, meravigliosamente evidente. Quando si percepisce, molto più che il senso, l’armonia delle cose, la loro impeccabile coincidenza. Sono proprio questi haiku che Shiki compose a essere raccolti in quest’opera.”
  • Novantanove haiku di Daigu Ryokan (La Vita Felice, pp. 108, € 10; traduttore P. O. Norton; libro ora in offerta su Amazon.it a € 8,50 cliccando qui). “Ryōkan è uno dei massimi poeti della letteratura giapponese e ci ha lasciato una vasta collezione di poesie, nella forma molto diverse dai modelli tradizionali, ma profonde e semplici nel contenuto. Egli viene giustamente chiamato “il poeta dello Zen” perché chi legge le sue poesie può farsi un’idea della dottrina, della pratica e dei risultati dello Zen, i cui insegnamenti fondamentali si possono riassumere con le seguenti parole: meditazione, libertà interiore e compassione. La presente edizione comprende 99 haiku di Ryōkan con testo giapponese a fronte.”

*Bambini*

  • L’81 principe di Maria Teresa Ruta, con illustrazioni di Raffaella Brusaglino (ed. Adnav, pp. 40, €12,50; per bambini da otto anni in su). Ispirato alla storia tradizionale di Okuninushi, il racconto “compare nel 712 d.C. nella prima opera letteraria giapponese compilata su ordine imperiale. Maria Teresa Ruta riprende la storia di un mondo antico e la ripropone in una versione per bambini. La favola narra il riscatto di un principe generoso vessato dai suoi fratelli; insieme affrontano il lungo viaggio che li conduce al palazzo della Principessa Iacami, ma solo uno di loro potrà chiederla in sposa. “

 

*Fotografia*

  • Araki di Nobuyoshi Araki (ed. Contrasto, pp. 144, 89 fotografie in bianco e nero, 2008, € 12,50; ora in offerta su Amazon.it a € 10,63 cliccando qui; per sfogliare il volume, guarda questo link). “Cineasta di formazione, Nobuyoshi Araki ha fatto dell’atto fotografico la sostanza della sua esistenza. Prolifico fino all’esasperazione, in una trentina d’anni ha costituito una sorta di autobiofotografia che rivela, senza riluttanza o pudore, il tratto essenziale del suo quotidiano. Affascinato dalle donne, dalla città, in particolare da Tokyo, di cui stila una frenetica ricognizione, è il capofila di una nuova scuola, anzi il modello venerato da una generazione di giovani che insieme a lui cerca, superando l’estetica, una verità legata all’attimo.”
  • Hiroscima e Nagasaki [sic; non è un mio errore] a cura di Gian Luigi Nespoli e Giuseppe Zambon (ed. Zambon, pp. 112, € 35, illustrato e bilingue italiano-tedesco): Le esplosioni atomiche sulle due città giapponesi hanno provocato, oltre alla quasi completa distruzione delle stesse, una serie incommensurabile di lutti. Mentre le fotografie del fungo atomico sono state capillarmente diffuse a livello mondiale, a dimostrare la potenza dell’imperialismo, le foto che testimoniano la sofferenza delle vittime sono state censurate e gelosamente archiviate. Soltanto a prezzo di lunghe ed accurate ricerche, siamo in grado di presentare in questo volume, forse in anteprima mondiale, la documentazione fotografica delle atrocità connesse all’impiego dell’arma atomica. Testimonianze, testi letterari e documenti storici completano l’opera.

Quel non dire fluttuante: recensione di M. Soldo a “Qualcosa di simile”

Avete presente quelle storie che, una volta terminate, continuano a vivere in voi, meglio se in una zona ombrosa e un poco torbida della coscienza? Ecco, a me questo capita soprattutto con Ogawa Yoko e, non a caso, con i racconti riuniti in  Qualcosa di simile di Francesca Scotti (ed.  Italic Pequod, pp. 144 , €  14; sito ufficiale: www.qualcosadisimile.it) che alla scrittrice nipponica (e non solo a lei) si ispirano, serbando però una decisa impronta personale. Ma lasciamo parlare Mariella Soldo, che del libro ci offre una bella recensione:

Quel non dire fluttuante

 

Ci sono scritture e trame che emergono con forza dal vaso confuso della letteratura contemporanea, scritture che hanno un compito difficilissimo: raccontare con maestria il mondo e permettere al lettore, paradossalmente, di allontanarsi da esso.

Quando ho aperto la raccolta di racconti di Francesca Scotti, Qualcosa di simile, senza leggere una frase o una singola parola, avevo già la sensazione di essere altrove. Forse è l’effetto di un titolo, indicatore di quell’imprecisione che serve alla letteratura per poter andare oltre, come qualcosa di simile che sfugge per diventare parte del tutto.

I dieci racconti della Scotti non hanno titolo, ma sono contrassegnati da un numero. L’assenza di un’indicazione apre finestre che si sovrappongono l’un l’altra. Alcuni riferimenti ritornano, nei racconti, riferimenti indicibili, misteri irrisolti, enigmi senza nome, quindi, perché nominarli?

Non farò riferimento alle trame, preferisco piuttosto dare rilievo all’essenza della scrittura dell’autrice, in cui si avverte l’influenza di quel mondo fluttuante, che rappresenta una caratteristica della letteratura giapponese.

L’economia della parola non tradisce la profondità del senso e l’inafferrabilità dello svolgimento dell’azione. Frasi nitide, che hanno bisogno di quella semplicità perfetta per poter non dire, sospendono la scrittura, proiettandola in quella fessura invisibile del mondo, in cui l’indicibile è la chiave della narrazione.

Follia, violenza celata, chiaroscuri dell’anima, sentimenti velati, masochismo e sadismo sono alcuni dei temi che l’autrice tocca, con abile maestria.

Dopo aver terminato l’ultimo racconto, il lettore conserverà per giorni le melodie dei racconti di Francesca Scotti, perché è proprio la musica, con le note di un violoncello o di un piano, a rendere quelle atmosfere dalla sensualità silenziosa e velata.

Mariella Soldo

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