Di notte, dopo che la badante se ne è andata, davanti la tv, Toyo Shibata inizia a comporre poesie per combattere la depressione. Parola dopo parola, dà vita a un’antologia, Kujikenaide (che suona come “Non perdete la speranza”), pubblicata nel 2009, che vende un milione e mezzo di copie. Unico particolare: l’autrice ha novantotto anni. E ora, malgrado ora abbia superato il secolo di vita, sta preparando una nuova raccolta. (altro…)
Categoria: poesia
Haiku a misura di bambino: “Un gatto nero in candeggina finì” di Pino Pace
Da diversi anni ormai in alcune scuole italiane (in special modo elementari) si è presa la buona abitudine di familiarizzare i bambini alla poesia utilizzando anche lo haiku. Come sempre, i più piccoli imparano prima degli adulti e talvolta riescono a creare dei piccoli capolavori di freschezza.
Il volumetto che vi presento oggi, Un gatto nero in candeggina finì dello scrittore per ragazzi Pino Pace (ed. Notes, pp. 40, € 10; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a 8,50 ), con le simpatiche illustrazioni di Tai Pera, (altro…)
Speciale san Valentino: l’amore nella letteratura giapponese
Al liceo, per qualche tempo, le mie amiche ed io avevamo preso l’abitudine di scambiarci nel giorno di san Valentino dei pensierini che testimoniassero il nostro affetto: un biglietto, un cioccolatino a forma di cuore, un oggetto da nulla scambiato sotto il banco.
Ecco, considerate questo speciale san Valentino, dedicato all’amore nella letteratura giapponese presentato in diverse forme (poetica, erotica, ironica, drammatica…), come un piccolo regalo per voi. Per leggerlo e scaricarlo nel vostro computer, è sufficiente cliccare qui e salvarlo sul vostro computer.
I brani e le poesie che troverete sono tratti da opere ed epoche molto diverse tra loro: si va dalle antiche liriche del Kokin Waka shū per arrivare sino a 1Q84 di Murakami. Ho voluto intercalare i testi con le bellissime illustrazioni dell’artista Tanji Yōko, che mi paiono molto evocative e capaci di proiettare lo spettatore in un’avvolgente dimensione onirica, in cui le ragazze sognano sulla luna e una coppia ha sotto gli occhi l’intero cosmo.
Approfitto di questo spazio per ringraziare i miei amici Faiza e Nino, amanti come me degli haiku, per i consigli e le risate, e voi tutti che mi seguite. Buon san Valentino a tutti, che lo festeggiate o meno. 🙂
Immagine tratta da qui.
Proposte da “Più libri, più liberi” (ed. 2011)
Ed ecco, come promesso, una brevissima carrellata delle opere che oggi alla fiera Più libri più liberi hanno colpito la mia attenzione, non necessariamente nel bene o nel male. Non ho purtroppo avuto il tempo di esaminare molte di loro con attenzione, dunque mi limiterò nella maggior parte dei casi a presentarle con le parole dell’editore. Nei prossimi giorni aggiungerò nuovi titoli.
*Narrativa*
- Madam Butterfly [sic] di John Luther Long, a cura di Riccardo Reim (Avagliano, 2009, pp. 96, € 10; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a € 8,50). “Madam Butterfly di John Luther Long è il racconto al quale Giacomo Puccini si ispirò (dopo aver assistito a Londra, nel luglio 1900, alla tragedia che David Belasco ne aveva tratto a sua volta) per il soggetto della sua sesta opera – Madama Butterfly, per l’appunto – che ancora oggi viene trionfalmente replicata ogni anno in tutti i teatri del mondo. Praticamente sconosciuta in Italia, questa “novella giapponese” rappresenta una vera e propria ghiottoneria non soltanto per gli appassionati del genere, ma per tutti coloro (e sono milioni) che abbiano ascoltato almeno una volta Un bel dì vedremo o il celebre coro a bocca chiusa. Il racconto di Long, inoltre, riserva una grossa, imprevedibile sorpresa: un finale del tutto diverso (meno ad effetto, ma assai più moderno) da quello del melodramma pucciniano, uno “scioglimento” che non mancherà di sconcertare e divertire il lettore.”
*Poesia*
- Il mangiatore di cachi che ama gli haiku di Masaoka Shiki (La Vita Felice, pp. 176, € 12; traduttore P. O. Norton; libro ora in offerta su A
mazon.it a € 10,20 cliccando qui). “Shiki ha spesso affermato che un grande maestro di haiku non scriveva durante la sua vita di poeta che duecento o trecento haiku autentici. Di quelli che sono portatori di un’intuizione profonda della realtà immediata ed evidente. Di quelli che ci permettono di sentire, di sondare l’indicibile profondità, di gustare il sottile sapore dell’esistenza umana, colta nell’eternità dell’istante presente. Di quelli che traducono, senza specificare, ma solamente suggerendo l’esperienza di distacco filosofico, poetico se si preferisce, dal mondo, quando tutto diventa semplice, luminoso, meravigliosamente evidente. Quando si percepisce, molto più che il senso, l’armonia delle cose, la loro impeccabile coincidenza. Sono proprio questi haiku che Shiki compose a essere raccolti in quest’opera.”
- Novantanove haiku di Daigu Ryokan (La Vita Felice, pp. 108, € 10; traduttore P. O. Norton; libro ora in offerta su Amazon.it a € 8,50 cliccando qui). “Ryōkan è uno dei massimi poeti della letteratura giapponese e ci ha lasciato una vasta collezione di poesie, nella forma molto diverse dai modelli tradizionali, ma profonde e semplici nel contenuto. Egli viene giustamente chiamato “il poeta dello Zen” perché chi legge le sue poesie può farsi un’idea della dottrina, della pratica e dei risultati dello Zen, i cui insegnamenti fondamentali si possono riassumere con le seguenti parole: meditazione, libertà interiore e compassione. La presente edizione comprende 99 haiku di Ryōkan con testo giapponese a fronte.”
*Bambini*
- L’81 principe di Maria Teresa Ruta, con illustrazioni di Raffaella Brusaglino (ed. Adnav, pp. 40, €12,50; per bambini da otto anni in su). Ispirato alla storia tradizionale di Okuninushi, il racconto “compare nel 712 d.C. nella prima opera letteraria giapponese compilata su ordine imperiale. Maria Teresa Ruta riprende la storia di un mondo antico e la ripropone in una versione per bambini. La favola narra il riscatto di un principe generoso vessato dai suoi fratelli; insieme affrontano il lungo viaggio che li conduce al palazzo della Principessa Iacami, ma solo uno di loro potrà chiederla in sposa. “
*Fotografia*
- Araki di Nobuyoshi Araki (ed. Contrasto, pp. 144, 89 fotografie in bianco e nero, 2008, € 12,50; ora in offerta su Amazon.it a € 10,63 cliccando qui; per sfogliare il volume, guarda questo link). “Cineasta di formazione, Nobuyoshi Araki ha fatto dell’atto fotografico la sostanza della sua esistenza. Prolifico fino all’esasperazione, in una trentina d’anni ha costituito una sorta di autobiofotografia che rivela, senza riluttanza o pudore, il tratto essenziale del suo quotidiano. Affascinato dalle donne, dalla città, in particolare da Tokyo, di cui stila una frenetica ricognizione, è il capofila di una nuova scuola, anzi il modello venerato da una generazione di giovani che insieme a lui cerca, superando l’estetica, una verità legata all’attimo.”
- Hiroscima e Nagasaki [sic; non è un mio errore] a cura di Gian Luigi Nespoli e Giuseppe Zambon (ed. Zambon, pp. 112, € 35, illustrato e bilingue italiano-tedesco): Le esplosioni atomiche sulle due città giapponesi hanno provocato, oltre alla quasi completa distruzione delle stesse, una serie incommensurabile di lutti. Mentre le fotografie del fungo atomico sono state capillarmente diffuse a livello mondiale, a dimostrare la potenza dell’imperialismo, le foto che testimoniano la sofferenza delle vittime sono state censurate e gelosamente archiviate. Soltanto a prezzo di lunghe ed accurate ricerche, siamo in grado di presentare in questo volume, forse in anteprima mondiale, la documentazione fotografica delle atrocità connesse all’impiego dell’arma atomica. Testimonianze, testi letterari e documenti storici completano l’opera.
Un autunno e un inverno ricchi di nuove uscite
Pioverà? Farà freddo? Lo spread continuerà a salire? Non ci è dato sapere nulla di tutto ciò, ma possiamo consolarci almeno un po’ pensando alle molte uscite che ci attendono nei prossimi mesi. A questo proposito, è d0obbligo ricordare che, pochissime settimane fa, è uscito uno dei volumi certo più attesi dell’anno, vale a dire 1q84 di Murakami Haruki (pubblicato a inizio novembre per i tipi dell’Einaudi; pp. 722, € 20; ora in offerta su Amazon.it cliccando qui a € 15), cui è dedicato anche un gruppo di lettura qui nel blog.
A questo nuovo classico presto (più precisamente a gennaio) farà compagnia un altro pezzo forte: la prima vera edizione italiana del capolavoro giapponese per eccellenza, il Genji monogatari di Murasaki Shikibu. Il volume è curato da Maria Teresa Orsi e sarà diffuso con il nome di Storia di Genji. Il principe splendente (Einaudi, pp. 1100, €90).
Qui sotto potete trovare quello che, spero, sia solo un assaggio delle succose novità che i prossimi mesi ci porteranno; se avete qualche informazione in più sui titoli di prossima pubblicazione, non esitate a lasciare un commento. E ora, che si aprano le danze!
Romanzi
- Una storia crudele di Kirino Natsuo (Giano, pp. 235, € 16,50; ora in offerta a 14,03 su Amazon.it cliccando qui), noir fresco di stampa. “Ubukata Keiko,
trentacinquenne scrittrice di successo nota con lo pseudonimo di Koumi Narumi, e da qualche tempo in crisi di creatività, scompare lasciando un’unica traccia di sé: un manoscritto intitolato “Una storia crudele”. Atsuro, il marito avvezzo alle stranezze e alla volubilità della donna, lo trova in bella vista sulla sua scrivania con il seguente post-it appiccicato sopra: “Da spedire al Dott. Yahagi della Bunchosha”. Editor della casa editrice di Koumi Narumi, Yahagi si getta subito a capofitto nella lettura dell’opera, nella speranza di avere finalmente tra le mani il nuovo best seller dell’acclamata autrice. Più si addentra nella lettura, tuttavia, più rimane sconvolto e, leggendo l’annotazione finale dell’opera: “Ciò che è scritto in queste pagine corrisponde alla pura verità. Gli eventi di cui si parla sono accaduti realmente”, non può fare a meno di avvertire un brivido corrergli lungo la schiena. Koumi Narumi narra, infatti, dell’infanzia di Keiko, vale a dire della propria fanciullezza. Descritta come una bambina di dieci anni triste e solitaria. Una sera, sperando forse di trovarvi il padre, si spinge fino a K, un quartiere ad alta concentrazione di bar e locali a luci rosse. Là si sente a un tratto picchiettare con delicatezza sulla spalla. Sorpresa, si volta di scatto e scorge un giovane uomo con in braccio un grosso gatto bianco. Frastornata, incuriosita, Keiko lo segue in un vicoletto buio, dove lo sconosciuto le infila un sacco nero sul capo e la rapisce.
- E venivano tutte per mare di Julie Otsuka (Bollati Boringhieri; trad. di S. Pareschi; pp. 133, € 12). “Una voce forte, corale e ipnotica racconta la vita straordinaria di migliaia di donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America. È lì, su quella nave affollata, che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografi e dei mariti sconosciuti, che immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l’arrivo a San Francisco; la prima notte di nozze; il lavoro sfi brante, chine a raccogliere fragole nei campi e a strofi nare i pavimenti delle donne bianche; la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura; l’esperienza del parto e della maternità, con l’impegno a crescere fi gli che alla fi ne rifi uteranno le proprie origini e la propria storia; il devastante arrivo della guerra, l’attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici e internarli nei campi di lavoro. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall’autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua, dando vita a un libro essenziale e prezioso.”
- La decomposizione dell’angelo di Mishima Yukio (Feltrinelli, pp. 240, € 10).
- Detective Hanshichi. Indagini nei vicoli di Edo oppure Il detective Hanshichi. I misteri della città di Edo (titolo in via di conferma) di Kido Okamoto (O Barra O Edizioni, pp. 164, € 12).
- Storia proibita di una geisha di Iwasaki Mineko e Brown Rande (Newton & Compton, pp. 336, € 9,90): “Un’infanzia felice e solitaria trascorsa in un piccolo paese lontano dal Giappone delle grandi città. Mineko è una bambina schiva e appartata. A sei anni, strappata alla famiglia e con il cuore spezzato, si trasferisce in un’okiya nel distretto di Kyoto e lì intraprende il duro cammino per diventare geisha, imparando l’antica arte del ballo, del canto, del saper parlare e vestire. È l’estenuante studio del cerimoniale rigido e severo di una corte millenaria che rende le donne maestre di etichetta, eleganza e cultura. Mineko studia con tenacia, senza mai distrarsi, coltivando un solo grande sogno: ballare. Diventa la geisha più brava, ricercata e corteggiata. Tutti la vogliono, politici, artisti, star dello spettacolo. Audace e orgogliosa, testarda e fiera, si muove in un mondo che non vuole ribelli, ma lei ha l’ardire di osare e di infrangere regole austere. Con il suo coraggio rompe il velo che da sempre avvolge un universo frainteso: si racconta con eleganza e audacia, ironia e leggerezza, e ci accompagna attraverso le trame e i segreti di una cultura millenaria e ritrosa. Mineko si confessa e denuncia un mondo che vuole rimanere nascosto, ci racconta della fatica e della tenacia per diventare la geisha più amata per poi, al culmine della sua carriera, voltare le spalle al successo e scegliere altro, una famiglia, un figlio, la normale eccezione dell’essere donna.”
Saggistica
- Introduzione alla storia della poesia giapponese di Pierantonio Zanotti (Marsilio, pp. 240). “Il volume offre una panoramica storica dell’evoluzione della poesia
giapponese dalle origini al 2000. La narrazione abbraccia circa 1300 anni di storia e cerca di fornire al lettore, non solo specialista, un quadro completo e dettagliato, ma al tempo stesso agile, sintetico, e di gradevole lettura. Al flusso centrale della narrazione storica, arricchita di riferimenti extraletterari e attenta al ruolo sociale della poesia e alle pratiche della sua composizione ed esecuzione, saranno affiancate schede e approfondimenti su singole opere, autori, o specifiche tipologie testuali.”
- Introduzione allo studio della lingua giapponese di A. Maurizi (Carocci, pp. 252, € 21).
- Lo Zen di A. Tollini (Einaudi, € 24). “Dopo una prima parte introduttiva sullo Zen nel panorama del buddhismo giapponese e sullo Zen in Occidente, il volume affronta il passaggio geografico e culturale di questa tradizione dalla Cina al Giappone del XIII secolo e il suo primo, difficile radicamento nell’arcipelago giapponese. Saranno due le grandi scuole che condizioneranno tutta la successiva storia dello Zen: Rinzai e Soto, di cui Tollini traccia la storia, lo sviluppo dottrinale e ricorda i principali maestri. A seguire, la descrizione del grande sviluppo culturale che fece dello Zen il principale punto di riferimento estetico, letterario e delle arti performative in Giappone, lasciando un segno indelebile sulla sensibilità estetica orientale: un segno che dura fino ai giorni nostri. Il libro è corredato dalle traduzioni dei testi originali dell’epoca, sia dei maestri che di altro tipo, allo scopo di favorire una più diretta e profonda comprensione delle tematiche trattate.”
- Tokyo sisters. Reportage di Julie Rovéro-Carrez e Raphaëlle Choël (O Barra O edizioni; trad. di Giusi Valent, pp. 200, € 15). “La specificità e lo charme della società contemporanea giapponese, e della città di Tokyo in particolare, decodificati attraverso il mondo femminile di adolescenti, casalinghe, business women, donne single e sposate. Scritto in uno stile frizzante e ironico, Tokyo sisters descrive la vita familiare, le abitudini, le aspirazioni, i rituali e i vissuti quotidiani delle donne giapponesi tramite le numerose testimonianze dirette raccolte dalle autrici. Vengono toccati i temi della moda, della sessualità (onnipresente nei manga e nei video giochi, ma tabù all’interno della coppia), del tempo libero e del consumismo: “Per me essere una vera donna è possedere una borsa di Vuitton”, può affermare una giovane disposta a mesi di risparmio pur di acquistare l’oggetto dei suoi desideri. Ne risulta una moderna e curiosa guida antropologica al femminile per orientarsi in una cultura di grande fascino, paradossalmente sospesa tra tradizione ed estremo cambiamento.”
“Kokin waka shū”, o dell’eternità
Chiamiamo «classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani», scriveva Calvino oramai qualche decennio fa.
La definizione mi è tornata alla mente in una sera pungente di novembre, tenendo tra le mani il Kokin Waka shū (edizione italiana curata dalla grande studiosa Ikuko Sagiyama per Ariele, pp. 686, € 34), prima tra le ventuno antologie imperiali di lirica classica giapponese. Quello che, apparentemente, sembrerebbe un volume di liriche, è in realtà uno scrigno che dall’inizio del X secolo d. C. custodisce un inestimabile tesoro letterario, composto da ben millecento composizioni (più undici in origine cancellate), prevalentemente waka, il genere nipponico per eccellenza, che si struttura in brevissime poesie scandite da cinque versi di 5-7-5-7-7 sillabe, dedicate soprattutto allo scorrere delle quattro stagioni e alla tematica amorosa.
Non si tratta di un’opera da leggersi in modo compiuto, dal principio alla fine; andrebbe piuttosto aperta e scrutata come un libro sibillino, a caso, cogliendo suggestioni e arcani qua e là, tenendo così fede alle radici della parola ‘vaticinio’, che in origine indicava il ‘canto del poeta’, di colui che decifra le segrete voci degli spiriti che abitano il mondo, ma sa anche (e meglio) comprendere i singhiozzi o le maledizioni degli uomini. Scrive infatti il poeta Ki no Tsurayuki (872 – 945) nella sua Prefazione:
La poesia giapponese, avendo come seme il cuore umano, si realizza in migliaia di foglie di parole. La gente di questo mondo, poiché vive fra molti avvenimenti e azioni, esprime ciò che sta nel cuore affidandolo alle cose che vede o sente. Si ascolti la voce dell’usignolo che canta tra i fiori o della rana che dimora nell’acqua; chi, tra tutti gli esseri viventi, non compone poesie? La poesia, senza ricorrere alla forza, muove il cielo e la terra, commuove perfino gli invisibili spiriti e divinità, armonizza anche il rapporto tra l’uomo e la donna, pacifica pure l’anima del guerriero feroce.
L’animo, il cuore (kokoro), seme della poesia, deve svilupparsi armoniosamente e fiorire nella kotoba, la parola, dal momento che «il linguaggio deve esaurire pienamente il contenuto del messaggio poetico senza margini di oscurità» (p. 20). Il risultato è un idioma complesso, ricco di finissimi espedienti retorici e lessicali, che genera e al tempo stesso è generato da immagini che preservano ancora oggi nitore e bellezza: il fiore del ciliegio dalla grazia effimera, le maniche del kimono zuppe di lacrime, il fiume Asukagawa che diventa simbolo dell’instabilità e dei destini mutevoli.
E così, procedendo con la lettura, si ha l’impressione che la carta si faccia via via più impalpabile sotto le dita e tutt’attorno sorga un’atmosfera nuova; dai testi riaffiora piano un cosmo dimenticato, che il ricco apparato di note e rimandi del volume aiuta a ricostruire, senza mai scadere nel pedante.
Talvolta, lo scarto tra un componimento e l’altro appare minimo; ecco due uomini forse antitetici, stretti dalla medesima malinconia: l’uno si strugge al canto del grillo, l’altro reclina il capo avvolto dal lamento delle oche selvatiche. Eppure, proprio in quel sottile discrimine vive – e non semplicemente: sta – tutto un carattere, una storia, un’esistenza.
L’autunno è qui:
le foglie cadute hanno steso
una spessa coltre intorno alla mia dimore,
e nessuno si fa strada
per venire a trovarmi.Aki wa kinu
momiji wa yado ni
furishikunu
michi fukiwakete
tou hito wa nashi
Lirica dopo lirica, constatiamo con felice sorpresa che davvero non c’è nulla di nuovo sotto il sole: ci sembra di conoscere bene quei sospiri, le lunghi notti di tristezza e i duri giorni d’affanno cantati oramai più di mille anni fa; e persino le rughe profonde dei poeti sono le stesse che incidono i nostri volti.
Nuove note per antiche parole: intervista a Ramona Ponzini
Un tranquillo pomeriggio di settembre, davanti al computer, a scrivere. Distrattamente, apro l’ennesima pagina del browser e clicco su un link. D’improvviso, la stanza si riempie di una musica strana, nuova, che non ho mai sentito prima. Campanelli, versi giapponesi, una melodia avvolgente e, al tempo stesso, distante, antica.
Ho appena conosciuto Ramona Ponzini e la sua bellissima voce, e ancora non lo so.
Quello che mi è parso un canto remoto, eppure vivo nella carne e nelle sonorità, proviene in effetti dal passato. A partire dal 2004 Ramona ha sviluppato insieme ai My Cat Is An Alien (Maurizio and Roberto Opalio) il progetto Painting Petals On Planet Ghost (PPOPG; http://www.mycatisanalien.com/PPOPG.htm), volto a scoprire e sperimentare le potenzialità musicali della poesia giapponese, sposandole a contaminazioni inattese.
I sorprendenti risultati sono racchiusi in tre album, il primo dei quali, Haru (Time-Lag Records; vedi sopra la copertina), del 2005, s’ispira ai versi e alla letteratura dell’epoca Heian (794-1185), ed in modo particolare a una delle più antiche antologie poetiche giapponesi, il Kokinshū (Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne); non manca un tributo al celebre incipit del Makura no Sōshi (Note del guanciale) di Sei Shōnagon.
Nel 2008 è il turno di Fallen Cammellias (A silent place), che riprende alcuni tanka (composizioni liriche strutturate in 5-7-5-7-7 sillabe) della poetessa primonovecentesca Yosano Akiko, attingendo soprattutto alla raccolta Midaregami. L’anno dopo, in Haru no omoi (PSF Records; qui a destra la copertina), vengono riuniti alcuni brani estratti dai dischi precedenti, con l’aggiunta di due pezzi inediti, ancora una volta ispirati ai tanka di Yosano Akiko.
Ramona Ponzini non si ferma qui, e collabora anche con artisti quali Z’EV e Lee Ranaldo dei Sonic Youth, eseguendo in giapponese ― sua lingua musicale ed artistica d’elezione ― improvvisazioni live e testi da lei composti, come nel caso dell’album Ankoku.
Oggi sono felice di poterla intervistare e di scoprire qualcosa di più riguardo le sue interessanti ricerche. Prima di leggere il seguito dell’articolo, vi suggerisco di ascoltare qualcuno dei brani presenti in http://paintingpetalsonplanetghost.bandcamp.com.
Biblioteca giapponese (d’ora in poi Bg): Innanzitutto, Ramona, ti ringrazio per la disponibilità. Alla tua giovane età hai già all’attivo importanti traguardi (una laurea coronata da una tesi sugli esordi letterari della poetessa Yosano Akiko; collaborazioni di valore con numerosi artisti; interventi sul tuo lavoro pubblicati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone…). Oltre che alla tua bravura, naturalmente, una parte del tuo successo è legata al progetto Painting Petals On Planet Ghost: puoi raccontarci come è nata l’idea di battere nuove strade attingendo alla poesia giapponese?
Ramona Ponzini (d’ora in poi RP): Il progetto Painting Petals on Planet Ghost nasce dopo anni di interazione sinergica tra me e i My Cat Is An Alien. Ho conosciuto i fratelli Opalio nel 2001 e sono rimasta subito affascinata dal loro approccio anticonvenzionale alla musica e all’arte in generale. All’epoca mi occupavo di teatro sperimentale ma ho seguito costantemente i loro concerti, tenuto sott’occhio le innumerevoli uscite e dopo qualche anno è iniziato il nostro sodalizio artistico. Painting Petals on Planet Ghost scaturisce dall’esigenza di coniugare l’anima più lirica e melodica dei MCIAA con il lavoro di ricerca da me condotto, e che ancora sto conducendo, sulla poesia giapponese come fonte privilegiata di testi musicabili. Il punto di partenza sono proprio le liriche in giapponese: di solito seleziono i testi, li traduco per i ragazzi affinché possano comprendere il motivo che mi ha spinto a scegliere determinate liriche, nonché il loro significato, poi passiamo a concentrarci all’unisono sulla musicalità intrinseca della lingua e della metrica delle poesie per poter creare quel tessuto sonoro che viene a costituirsi quale perfetta culla per i testi e le melodie.
Bg: Cosa pensi che i versi giapponesi possano comunicare oggi agli ascoltatori occidentali, tanto più che essi sono spesso digiuni di poesia nipponica?
RP: Painting Petals on Planet Ghost rappresenta il punto di congiunzione tra il mio lavoro di studiosa della lingua e della letteratura del sole levante e la mia personalità artistica: parafrasando Joan La Barbara, in quanto musicista mi occupo dei “suoni come presenza fisica”, li scolpisco attraverso la voce, e lascio che il flusso dei pensieri e la visualizzazione dei gesti sonori portino alla creazione del risultato finale. Credo fortemente che non sia sempre essenziale per il fruitore di musica capire alla lettera il testo di una canzone: l’essenza del mio lavoro risiede nel tentativo di far scoprire all’ascoltatore la funzione di base della voce come primario mezzo di espressione. PPOPG è un progetto che rispecchia una fuga verso l’interiorità più delicata e poetica, uno scavo intimista che lascia spazio alla pura catarsi: la musicalità che scaturisce dalla lingua giapponese sotto forma di poesia ne è il mezzo sublime.
Bg: All’inizio del ventesimo secolo, Yosano Akiko era ritenuta una poetessa trasgressiva e una donna fuori dal comune: pioniera del femminismo, anti militarista e scrittrice estremamente prolifica. Come mai hai voluto ispirarti a lei per il tuo album Fallen Cammellias e per la realizzazione di altri brani?
RP: Sin dal liceo (ma anche all’università), scorrendo l’indice delle varie antologie letterarie, mi sono sempre chiesta come mai queste fossero così digiune di nomi femminili. Era davvero possibile che i più grandi autori delle più grandi opere fossero esclusivamente uomini? Così ho iniziato a cercare, ad andare oltre quelli che erano i programmi scolastici e ho scoperto Gaspara Stampa, Elsa Morante, Amalia Guglielminetti, Kate Chopin, Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Jane Austen, Emily Brontë, Sylvia Plath, Murasaki Shikibu, Yosano Akiko, per citare solo alcuni nomi. Credo sia dovere di ogni donna leggere, innanzitutto, Una stanza tutta per sé della Woolf e Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, ma principalmente indagare e scoprire che anche noi abbiamo lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte, di tutte le arti, dalla poesia alla pittura, dalla musica al cinema; la nostra funzione creativa non si espleta solo nel mettere al mondo dei bambini, non può bastarci e in realtà non ci è mai bastato (anche se vogliono farci credere il contrario). Un esempio su tutti: Yosano Akiko, per l’appunto. Ha cresciuto undici figli eppure è una delle più grandi poetesse del ventesimo secolo.
Bg: Ascoltando i tuoi pezzi si rimane colpiti dalla sensazione di essere proiettati in una dimensione senza tempo; la ragione forse sta nell’aver sposato dei testi poetici – talvolta secolari – a sonorità nuove. Inserire questi versi in un tessuto musicale contemporaneo è un modo per tentare di renderli più attuali e dunque maggiormente apprezzabili anche dal pubblico?
RP: Credo che il nocciolo della questione risieda nella natura stessa della musica in quanto arte: l’Arte per eccellenza, secondo Nietzsche, il punto di sutura tra l’Uomo e il Dionisiaco.
In Musica e parola il filosofo ha sostenuto: “Mettere la musica completamente al servizio di immagini, e di concetti, utilizzarla come mezzo allo scopo di dar loro forza e chiarezza, questa è la strana arroganza del concetto di “opera”; (…) Perché la musica non può mai diventare un mezzo anche se la si vessa, se la si tormenta; come suono, come rullo di tamburo, ai suoi livelli più rozzi e più semplici essa supera ancora la poesia e la abbassa ad un proprio riflesso. (…) Certamente la musica mai può diventare mezzo al servizio del testo, ma in ogni caso supera il testo; diventa dunque sicuramente cattiva musica se il compositore spezza in se medesimo ogni forza dionisiaca che in lui prende corpo, per gettare uno sguardo pieno d’ansia sulle parole (…).”
Volendo bilanciare quelli che sono i due elementi del contendere, reputo che l’interazione sinergica, nonché paritaria, tra musica e poesia faccia sì che il testo poetico arrivi all’ascoltatore in maniera più immediata e viscerale, fino a toccare le corde più profonde dell’anima.
Bg: Oltre ad essere una bravissima cantante, sei certamente un’amante della letteratura giapponese: quali opere e autori ami, escludendo i testi e gli artisti su menzionati?
RP: La lista potrebbe essere molto lunga! Per dovere di cronaca credo sia giusto partire da quelle che sono state le mie letture al liceo: Yoshimoto Banana, in un primo tempo, e poi Kawabata Yasunari e Tanizaki Jun’ichirō. Tanikazi ha segnato profondamente la mia formazione letteraria, in particolare i primi racconti brevi, quali Shisei (Il tatuaggio) e Shōnen (Adolescenti), ma soprattutto opere come Bushūkō hiwa (Vita segreta del signore di Bushū) e Hakuchū kigo (Morbose fantasie), con la loro “estetica della crudeltà” continuano ad essere un’inesauribile fonte di stimoli e d’ispirazione. Rischio di essere scontata ma non posso non citare Mishima Yukio con Kinkakuji (Il padiglione d’oro), Tayō to tetsu (Sole e acciaio) e Eirei no koe (La voce degli spiriti eroici). Potrei mai omettere Murasaki Shikibu e il Genji monogatari? No. Categoricamente impossibile. Sarà sempre una delle più grandi opere della letteratura mondiale, non solo giapponese.
Bg: Rimanendo in tema: c’è qualche opera o qualche scrittore cui vorresti rivolgere le tue attenzioni musicali in futuro? Quali progetti hai in cantiere?
RP: Al momento sto lavorando sulle liriche di Takamura Kōtarō: è in uscita proprio in questi giorni un vinile intitolato Transaparent winter, per l’etichetta inglese Blackest Rainbow, che presenta due pezzi ispirati ai testi del poeta dell’epoca Shōwa, ma rielaborati e dilatati, frutto di un lavoro di improvvisazione e composizione istantanea che catapulta le sonorità tipiche di PPOPG in una dimensione più sperimentale rispetto ai primi tre album.
Il 23 novembre parteciperò insieme ai MCIAA e allo scrittore inglese Ken Hollings (autore di Benvenuti su Marte) ad uno show radiofonico alla londinese Resonance: il titolo della performance è ‘Ghost Blood Spectrum’ e per l’occasione selezionerò delle liriche giapponesi incentrate su quella che definisco “l’estetica del sangue”. Il 25 novembre sarò in concerto con Painting Petals On Planet Ghost al Cafe OTO di Londra, venue di culto per la musica sperimentale contemporanea (http://cafeoto.co.uk/my-cat-is-an-alien.shtm).
Bg: Grazie ancora, Ramona, e in bocca al lupo per i tuoi progetti.
“Non lo vince la pioggia/ Non lo vince il vento”: una poesia di Miyazawa Kenji
A volte mi stupisco di come mi capiti tra le mani il libro giusto al momento giusto; ecco, stavolta è il caso di questa bellissima poesia di Miyazawa Kenji , scovata nella pagina Facebook de Les Bouquinistes:
Non lo vince la pioggia
Non lo vince il vento
Non lo vince la neve, o la calura dell’estate
Ha un corpo forte
Non ha desideri
Non perde mai la calma
Ride sempre di un sorriso tranquillo
Ogni giorno mangia quattro scodelle di riso bruno, del miso e un po’ di verdure
In tutte le cose, non tiene in considerazione se stesso
Osserva attento, ascolta, capisce
E non dimentica
Vive in una piccola capanna dal tetto d’erba, all’ombra di un bosco di pini nelle campagne
Se ad est c’è un bimbo malato, va a curarlo
Se a ovest c’è una madre stanca, va a sorreggere il suo covone di riso
Se a sud c’è qualcuno vicino alla morte, gli va a dire che non serve aver paura
Se a nord c’è una lite o una disputa legale, esclama: smettetela con tali sciocchezze
In tempo di siccità versa le sue lacrime
Se l’estate è fredda va in giro dandosene pensiero
Tutti dicono che è una testa vuota
Nessuno lo elogia
E nessuno è preoccupato per causa suaQuesta è la persona
Che io voglio diventareMiyazawa Kenji
Ame ni mo makezu
Kaze ni mo makezu
Yuki ni mo natsu no atsusa ni mo makezu
Jōbu na karada wo mochi
Yoku wa naku
Kesshite ikarazu
Itsu mo shizuka ni waratte iru
Ichi nichi ni genmai yon gō to
Miso to sukoshi no yasai wo tabe
Arayuru koto wo
Jibun wo kanjō ni irezu ni
Yoku mikiki shi wakari
Soshite wasurezu
Nohara no matsu no hayashi no kage no
Chiisa na kayabuki no koya ni ite
Higashi ni byōki no kodomo areba
Itte kanbyō shite yari
Nishi ni tsukareta haha areba
Itte sono ine no taba wo oi
Minami ni shinisō na hito areba
Itte kowagaranakute mo ii to ii
Kita ni kenka ya soshō ga areba
Tsumaranai kara yamero to ii
Hideri no toki wa namida wo nagashi
Samusa no natsu wa oro-oro aruki
Minna ni deku-no-bō to yobare
Homerare mo sezu
Ku ni mo sarezu
Sō iu mono ni
Watashi wa naritai
Foto tratta da qui.
Un Giappone color seppia: “L’uccello nero del Sol Levante” di Paul Claudel
All’inizio del secolo scorso, raggiungere il Giappone si profilava un’impresa ardita, che richiedeva settimane di viaggio e una grande determinazione. Buona parte dei coraggiosi si spinsero fino ai confini del mondo soltanto per ragioni economiche; nello sparuto gruppo dei curiosi – che pur esisteva ed aveva una sua dignità – figurava anche Paul Claudel, poeta, drammaturgo e diplomatico francese, che dalla fine del 1921 sino quasi alla primavera del 1927 risiedette (con qualche interruzione) nel Sol Levante, in veste di ambasciatore.
Nato nel 1868 – l’anno che inaugurò l’era Meiji e il rapido processo di modernizzazione -, Claudel giunse in Giappone ormai maturo, dopo aver risieduto e lavorato in molte nazioni; ciò gli permise di guardare alla cultura nipponica con un’ampiezza di vedute certamente poco comune all’epoca, come ben testimoniano i numerosi saggi raccolti ne L’uccello nero del Sol Levante (a cura di Maria Antonietta Di Paco Triglia, ed. il Cerchio, pp. 148, € 15).
In queste pagine trovano ospitalità gli argomenti più disparati, in grado di far breccia nella vita e nell’animo dello shijin taishi (il diplomatico-poeta, come veniva chiamato): e così ci si avventura tra le cronache dei solenni funerali dell’imperatore o fra quelle della devastazione, fisica ed emotiva, provocata dal terremoto di Tokyo del settembre 1923; si rimane incantati dalle affascinanti leggende degli autoctoni e dalla poesia nipponica, allora semisconosciuta in Europa. E ancora: si riflette sulla politica, la letteratura, l’antropologia e le forme di devozione locali, tanto differenti da quelle del cattolicissimo Claudel. Una consistente parte degli scritti raccolti nel volume, infine, è dedicata ad uno dei più grandi amori dell’autore, il teatro: i principali espedienti narrativi, scenici e drammatici del kabuki, del nō e del bunraku vengono analizzati con acume e vivo interesse.
Lo sguardo dell’autore d’oltralpe vaga qua e là per l’orizzonte giapponese, riuscendo a cogliere i tratti salienti dei fenomeni, per portarli poi alla luce con sincera ammirazione attraverso una prosa ricca e suggestiva, capace di fecondare la fantasia del lettore, sino a farlo immergere nel Giappone fantasmagorico e nostalgico dei lontani anni Venti.
“Pagine giapponesi”: il mio incontro sui libri nipponici in Italia e sulle influenze del Sol Levante nella nostra letteratura
Lo sapevate che significativi scrittori del nostro paese, quali Sanguineti, Calvino, Saba e Pasolini, si sono ispirati alla cultura e alla letteratura giapponese in diverse loro opere? E sapevate anche che il più celebre adattamento cinematografico nostrano di un romanzo giapponese porta la firma di Tinto Brass?
Se avete voglia di scoprirne di più in proposito, siete tutti invitati all’incontro che terrò mercoledì 1 giugno, alle ore 18, presso Doozo art book & sushi (Via Palermo 51-53, Roma), dal titolo Pagine giapponesi, in cui traccerò una breve storia della pubblicazione di volumi giapponesi nel nostro paese e parlerò delle suggestioni nipponiche rintracciabili nei libri di alcuni scrittori italiani (oltre a quelli citati all’inizio del post, ricordo Baricco, Parise, D’Annunzio, Vasio, etc.).
Questa è la presentazione ufficiale dell’evento:
Nel 1854, dopo un isolamento volontario durato circa due secoli, il Giappone apre di nuovo le sue frontiere e inzia a stipulare trattati commerciali con le nazioni straniere: non solo ciò favorisce la conoscenza e lo studio del Sol Levante in occidente, ma determina anche la nascita di un importante movimento culturale, il japonisme, che si propone di adattare all’arte europea figure, caratteristiche e stilemi derivati da quella nipponica, spesso attraverso il filtro dell’esotismo. Da questi fermenti non è immune neppure l’Italia, dove, dalla fine del XIX sec., si sviluppa interesse per le “giapponeserie”: si pensi, per esempio, alla “Madama Butterfly” di Puccini e all'”Iris” di Mascagni, oppure ad alcuni versi di D’Annunzio, Saba e Govoni.
Parallelamente, la pubblicazione di testi estremo-orientali – in un primo momento riguardanti soprattutto storie di guerra o d’amore – inizia a muovere i primi passi, ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale (in particolare dagli anni Ottanta) la produzione letteraria giapponese riesce ad acquisire sempre più spazio nell’editoria nostrana e un maggior numero di lettori, grazie all’impegno di ottimi traduttori e alla creazione di apposite collane (prima fra tutte, “Mille gru” di Marsilio).
Nel corso degli anni, il fascino della cultura nipponica si è andato consolidando, come testimonia l‘esperienza di numerosi scrittori (Calvino, Baricco, Parise, Sanguineti, Vasio, Bacchini, ecc.), che hanno saputo fecondare in modo originale la nostra letteratura con suggestioni provenienti dal Giappone.
Qui a lato: James Tissot, La Japonaise au Bain, 1864