Il primo impatto – lo confesso – non è stato del tutto convincente: eppure Tokyo redux (trad. di Stefano Tettamanti e Maria Cristina Castellucci, Feltrinelli, pp. 28, € 0,99), ebook estratto da Il viaggio di un cuoco di Anthony Bourdain, possiede un suo perché. Nel breve saggio, il celebre chef, innamorato della cucina nipponica, descrive il suo viaggio alla scoperta delle delizie di Tokyo e dintorni (in primis, il famigerato fugu, ossia il potenzialmente letale pesce palla).
Si tratta senza dubbio di un’opera d’intrattenimento, ma non per questo del tutto banale o inutile. Bourdain, infatti, rivela un pregio non comune fra coloro che si occupano occasionalmente (o persino accidentalmente) del Giappone: si limita (non sempre, ahimè) a parlare di ciò che conosce e sa valutare meglio, vale a dire l’ambito gastronomico. Lo fa alla sua maniera, in modo istintivo, appassionato, talvolta persino iperbolico, ma cercando di essere quantomeno rispettoso. Inoltre, cosa rara in un libro di memorie a tema giapponese, i piatti e gli alimenti sono citati con il nome locale e spesso accompagnati da una breve descrizione.
Lo chef americano apprezza la dedizione, la perizia e la cura dei colleghi giapponesi, e si mostra interessato tanto alle tecniche e agli accostamenti dei cibi, quanto agli aspetti meno noti dell’alimentazione estremo-orientale, dedicando, per esempio, alcune pagine alla dieta seguita dai lottatori di sumo. Se nelle vesti di antropologo Bourdain lascia un po’ a desiderare, per fortuna sembra abbandonare tutti (o quasi) gli stereotipi quando ha un paio di bacchette fra le mani, consapevole che
[n]on esiste posto al mondo (almeno fra quelli in cui sono stato o di cui ho sentito parlare) che stimoli altrettanto profondamente i centri del piacere più intimi del cervello di un cuoco [quanto il Giappone]. Nessun’altra gastronomia, per dirla più chiaramente, è così lineare: gli elementi più semplici, puri e freschi del piacere della degustazione vengono isolati e raffinati fino all’estrema essenzialità.
Tokyo redux è, in conclusione, proprio questo: un breve, sentito inno alle gioie del palato e della convivialità.
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