Un treno e ancora un altro, una notte dopo l’altra: è in questo curioso modo che Patrick Holland vive il suo primo incontro col Giappone. Giunto qui ad agosto, nel pieno delle commemorazioni per O-bon, dal momento che nessun alloggio è più disponibile, decide di trascorrere le ore dopo il tramonto in vagone, come racconta nei primi capitoli del suo Treni in corsa nelle notti di Kyoto (trad. di Giacomo Falconi, Exorma, 2015, pp. 252, € 15,90, ora in offerta a 13,52), volume dedicato ai ricordi dei suoi soggiorni in Giappone, Cina e Vietnam.
Facendo, dunque, di necessità virtù, lo scrittore poco alla volta si lascia andare al flusso inatteso delle esistenze che si dipanano lungo e attorno i binari, finendo così per scoprire aspetti poco noti della società nipponica e, soprattutto, storie di uomini e donne che hanno forse perso tutto, tranne la dignità. E’ questo, per esempio, il caso di Tsuneko, la poetessa dei marciapiedi, che si manteneva vendendo ritratti di geisha e componendo poesie, o della ragazza malinconica conosciuta in un convoglio diretto verso Osaka:
Salii su un vagone con un unico passeggero: un’adolescente seduta con la testa china, così tanto da appoggiare il mento al petto. Mi immaginai che dovesse sostenere il peso di una grande vergogna o di una profonda stanchezza. I lunghi capelli neri le arrivavano alle ginocchia. Mentre pensavo che si trattava di una posizione davvero scomoda in cui dormire, alzò la testa, mi fissò dritto negli occhi e riappoggiò il mento sul petto. Non aveva bagagli, nemmeno una borsa. Sembrava una ragazzina delle superiori. Anche lei avrà una famiglia, pensai. Era pulita e graziosa, non c’era nemmeno il più piccolo inidizio che potesse essere una senzatetto. Dopo gli anziani, erano infatti i giovani a occupare il secondo gradino tra le categorie sociale per povertà e numero di senzatetto. […]
Mi alzai e appoggiai delicatamente la mano sulla spalla della ragazza.
Le chiesi in giapponese se stesse bene.
Scosse la testa.
“Kanashi desu… Sono triste”, disse.
Le chiesi perché, ma non riuscii a capire la sua risposta. Mi offrii quindi di aiutarla in qualche modo. Anche in questo caso non capii la risposta. Non riuscimmo a comunicare oltre; era questa la portata della nostra relazione, anche se mi sentii subito vicino a lei, come se fossi il suo fratello maggiore. […]
Affascinato dai racconti, Patrick Holland elegge suoi (ideali) compagni di avventure scrittori quali Kawabata, Murasaki Shikibu e Matsuo Bashō, prendendo in prestito il loro sguardo e la loro voce per raccontare quel viaggio imprevedibile che è la vita. Tutti noi, infatti, “siamo qui solo per un attimo e […] diretti altrove: passeggeri, sempre in procinto di partire.”.
Un libro scritto molto bene, è il tipo di letteratura di viaggio acuta e profonda che mi piace. Allo stesso tempo mi ha lasciato perplesso perché 1) ci sono molte imprecisioni ed errori, da visitatore distratto “tempio jinja” invece di “yasaka jinja”, “shoji dori” invece di “shijo dori”; 2) Correggimi se sbaglio, ma andare di notte avanti e indietro sui treni della linea Shinkansen fra Tokyo e Kyoto non è possibile. E mi risulta non fosse possibile neanche anni fa. E nemmeno con treni espressi o locali. Mi sembra più che altro che lo abbia immaginato come espediente narrativo, ma avrebbe dovuto dirlo… Non trovi?
Ciao a presto!